Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23669 del 11/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/11/2011, (ud. 20/09/2011, dep. 11/11/2011), n.23669

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1021/2009 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DELLA

LIBERTA’ 20, presso lo studio dell’avvocato IMPOSIMATO Ferdinando,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SAVELLI CLAUDIO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AMIR S.P.A., HERA RIMINI S.R.L., in persona dei legali rappresentanti

pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CARLO MIRABELLO

17, presso lo studio dell’avvocato ZARDO Fulvio, che li rappresenta e

difende unitamente agli avvocati MISCIONE MICHELE, ARCANGELI ALBERTO,

giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 395/2007 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 15/09/2008 R.G.N. 377/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

20/09/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato MIRENGHI MICHELE per delega IMPOSIMATO FERDINANDO;

udito l’Avvocato MISCIONE MICHELE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Pretore di Rimini – giudice del lavoro – P. A. premetteva di avere lavorato alle dipendenze della s.p.a.

A.M.I.R. di Rimini, dal 10 ottobre 1991 al 30 aprile 1998, con la qualifica di letturista.

Esponeva di essere stato licenziato in data 30 aprile 1998, dopo che, a seguito di lettera dell’8 febbraio 1997, con la quale il Direttore Generale della datrice di lavoro gli aveva contestato “modalità di esecuzione dei compiti assegnati assolutamente inadeguate e tali da non soddisfare l’esito del lavoro e le richieste degli uffici”, era stato trasferito presso il Centro Operativo di (OMISSIS) con mansione provvisoria di aiutante di squadra.

Aggiungeva che, sottoposto nel mese di giugno 1997 a visita, da parte del medico di fabbrica – che rifiutava la consegna dell’attestato del risultato della visita medesima-, in data 23 ottobre 1997, durante lo svolgimento delle mansioni di aiutante di squadra, alle quali era stato, peraltro, confermato, subiva un grave infortunio sul lavoro, per il quale era stato ricoverato presso l’Ospedale di (OMISSIS), dimesso dal quale aveva ricevuto la prescrizione del medico di fabbrica di ulteriori 20 giorni di riposo e cura.

Soggiungeva che, ripresa l’attività in data 28 novembre 1997, la società datrice di lavoro lo aveva adibito a mansioni “più leggere”, ma, il successivo 10 febbraio 1998, era stato sottoposto a nuova visita medica, da parte del medico di fabbrica, che lo aveva dichiarato “non idoneo alle mansioni derivanti dal suo impiego alla squadra” ed aveva consigliato la sua adibizione a lavorazioni che non comportassero “movimentazioni e sollevamento di carichi a mano, eccessivi, movimenti incongrui e posture abnormi”; tuttavia, nonostante il parere del medico, dal 20 febbraio al 17 aprile 1998 egli aveva continuato ad essere adibito alle mansioni di aiutante di capo squadra, il più delle volte, uscendo da solo.

Precisava che, con lettera del 16 aprile, pervenutagli il successivo 18 aprile 1998, la A.M.I.R. risolveva il rapporto di lavoro.

Ritenendo illegittimo il provvedimento espulsivo, con il ricorso in parola conveniva in giudizio la società datrice di lavoro, chiedendo declaratoria/nullità, illegittimità e/o inefficacia del provvedimento di trasferimento – a suo avviso di natura disciplinare- presso il centro operativo di (OMISSIS) con mansione di aiutante di squadra operativa in data 8 febbraio 1997, nonchè declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli il 18 aprile 1998, con le conseguenze previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18.

Radicatosi il contraddittorio, la società convenuta contestava la domanda sotto vari profili.

Con sentenza del 13 maggio 2003, il giudice unico del Tribunale di Rimini, succeduto, per legge, al Pretore, in accoglimento della domanda dichiarava l’illegittimità del licenziamento del 16 aprile 1998, ordinando alla convenuta di reintegrare il lavoratore nel proprio posto di lavoro e condannando la medesima, al pagamento di una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino alla data di effettiva reintegrazione.

Avverso tale decisione la s.p.a. A.M.I.R. e la s.r.l. Hera Rimini (cui era stato ceduto – in data 27 dicembre 2002, con decorrenza 1 gennaio 2003 – un ramo di azienda), proponevano appello, cui resisteva il P., proponendo, a sua volta, appello incidentale condizionato.

Espletata ctu medico legale, con sentenza del 18 giugno 2007-15 settembre 2008, l’adita Corte d’appello di Bologna, in accoglimento del gravame, rigettava la domanda del P., proposta con il ricorso introduttivo/ e dichiarava assorbito quello incidentale; compensava le spese di entrambi i gradi, ponendo a carico di Hera Rimini s.r.l.

le spese di ctu.; condannava P.A. a rimborsare agli appellanti le somme ricevute in esecuzione della sentenza di primo grado.

A sostegno della decisione osservava, quanto al dedotto illegittimo trasferimento presso il settore “reti centro operativo di (OMISSIS)”, che in realtà si era in presenza di un semplice mutamento di mansioni e che, in ogni caso, anche se si fosse trattato di un trasferimento, esso risultava ampiamente giustificato dallo stato di salute del dipendente; quanto al licenziamento, analogamente – come emergeva dalla espletata ctu – esso era inevitabile non essendo il lavoratore in condizione di svolgere le sue mansioni nè erano reperibili nell’ambito aziendale mansioni confacenti al suo stato di salute.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre il P. con otto motivi, ulteriormente illustrati da memoria, ex art. 378 c.p.c..

Resistono A.M.I.R. S.p.A. e Hera Rimini s.r.l. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 156, 161, 429 e 437 c.p.c., sostiene che la sentenza impugnata sarebbe nulla per pretesa mancata lettura del dispositivo in udienza e propone, all’uopo, querela di falso ex art. 221 c.p.c..

Il motivo è infondato.

Invero – come da consolidata giurisprudenza di questa Corte – nelle controversie soggette al rito del lavoro, l’omessa lettura del dispositivo all’udienza di discussione determina la nullità della sentenza, da farsi valere secondo le regole proprie del mezzo di impugnazione esperibile, in base al principio generale sancito dall’art. 161 cod. proc. civ., comma 1, senza che il giudice di secondo grado, che abbia rilevato tale nullità, ove dedotta con l’appello, possa nè rimettere la causa al primo giudice – non ricorrendo alcuna delle ipotesi di rimessione tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 cod. proc. civ. – nè limitare la pronunzia alla mera declaratoria di nullità, dovendo decidere la causa nel merito; pertanto, qualora il giudice d’appello proceda all’esame delle altre censure dedotte con l’impugnazione, difetta l’interesse a far valere come motivo di ricorso per cassazione la nullità della sentenza di primo grado in quanto non dichiarata dal giudice d’appello, perchè l’eventuale rinvio ad altro giudice d’appello porterebbe allo stesso risultato già conseguito con la pronuncia su tutti i motivi di impugnazione (ex plurimis, Cass. n. 5659/2010).

Con il secondo motivo il P., denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., nonchè della L. 20 maggio 1970, art. 7 e dell’art. 17 del c.c.n.l. Federgasac, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, lamenta che il Giudice d’appello non avrebbe considerato che, prima del licenziamento, avrebbe avuto un trasferimento da un’unità ad un’altra e che tale preteso trasferimento sarebbe stato disciplinare o avrebbe comportato “declassamento”, con conseguente diritto alla riassegnazione delle mansioni precedentemente svolte o ad altre equivalenti.

Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 2103 c.c., nonchè della L. n. 300 del 1970, art. 7 (art. 360 c.p.c., n. 3), sostiene che, se anche al provvedimento di trasferimento e declassamento non si volesse riconoscere natura disciplinare, il medesimo sarebbe comunque illegittimo, essendo stato adibito a mansioni incompatibili con il proprio stato di salute, con conseguente suo diritto ad essere riassegnato alle mansioni precedentemente svolte o ad altre equivalenti, compatibili comunque con il suo stato di salute, oppure ad altre di più elevato contenuto professionale.

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) e, segnatamente, in relazione alle risultanze istruttorie.

Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 3; art. 1464 c.c., nonchè motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) in relazione all’accertata sua inidoneità a svolgere confacente attività lavorativa, sulla base di un elaborato di consulenza tecnica apodittico e contraddittorio.

Con il sesto motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 3; L. n. 300 del 1970, art. 5; artt. 1453, 1464, 2087, 2110 e 2103 c.c., nonchè pretesa omessa insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), sostiene che al momento del licenziamento sarebbero esistiti “compiti meno gravosi che saturavano comodamente una posizione lavorativa” e che, pertanto, il licenziamento – contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice d’appello – sarebbe privo di giustificazione.

Con il settimo motivo il ricorrente, denudando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, sostiene che, se si fosse aspettato ancora a licenziarlo, sarebbe potuto guarire ed in tal caso sarebbe stato non più inidoneo, tenuto conto della temporaneità della inidoneità, relativa, comunque, a lavori pesanti.

Gli esposti motivi, valutati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono privo di fondamento, avendo il Giudice a quo dato ampio riscontro alle doglianze riproposte dal P. in questa sede.

Invero, quanto alla ritenuta sussistenza di un trasferimento da una unità produttiva ad un’altra del P., la Corte territoriale ha osservato – con accertamento di fatto non censurabile in questa sede – che, nella specie, non era configurabile un tale trasferimento, ma solo un mutamento di mansioni, senza alcun declassamento, atteso che il settore “reti centro operativo di (OMISSIS)” non poteva essere identificato come una unità produttiva autonoma, poichè esso rientrava nella medesima unità produttiva della “Direzione Generale”, alla quale era addetto il P. in qualità di usciere.

Peraltro – soggiunge la Corte territoriale – doveva considerarsi, in ogni caso, assorbente il rilievo che – anche a volere configurare un trasferimento – questo sarebbe stato legittimo, in quanto attuato per ragioni tecniche, organizzative e produttive, da ravvisarsi nella accertato svolgimento, da parte del lavoratore, dei compiti assegnatigli in maniera approssimativa, superficiale e con risultati insoddisfacenti. Conseguentemente il mutamento di mansioni (ed anche l’eventuale trasferimento) del P. aveva tutt’altro che connotati “punitivi, essendo giustificato da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, in ragione del fatto che era finalizzato ad eliminare la disorganizzazione e la disfunzione del servizio di usciere.

Quanto al licenziamento il Giudice d’appello ha tenuto ad evidenziare come il nominato CTU avesse confermato l’inidoneità fisica del lavoratore, al momento del recesso, escludendo qualsiasi colpa della datrice di lavoro; ciò in quanto nella sua relazione il Consulente aveva escluso che il comportamento della Società fosse stato la causa della inidoneità stante il fatto dimostrato che il P. aveva lavorato come aiutante di squadra con mansioni complete (come scavare, usare martelli ecc.) per soli 4 mesi (probabilmente meno dato il periodo di ferie estive) prima dell’infortunio del 23/10/97, con blocco lombare acuto.

A ciò andava aggiunto che, avendo lo stesso medico competente (preposto per legge – cfr. D.Lgs. n. 626 del 1994 – alla salvaguardia della salute dei lavoratori) giudicato “idoneo” al lavoro il P. alla data del 3 giugno 1997, doveva essere esclusa la consapevolezza della società datrice di lavoro di una inidoneità, che a quel momento non esisteva, sicchè doveva essere escluso – a fortiori – un intento discriminatorio al momento dell’assegnazione di mansioni di aiutante.

E poichè – prosegue il Giudice a quo – presso l’AMIR, non vi erano posti disponibili corrispondenti al livello di inquadramento del P. (D1), nè altri posti di diversa qualificazione, come risultante dalla prodotta documentazione, conseguiva che il licenziamento intimato allo stesso P. doveva essere dichiarato legittimo, anche ai sensi degli artt. 1453 e 1464 cod. civ., in quanto si era verificata una situazione influente sulla qualità e quantità della prestazione lavorativa contrattualmente dovuta.

Privo di consistenza è, infine, anche l’ottavo motivo, con cui il ricorrente, denunciando nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., stante l’omessa pronuncia in ordine alla domanda contenuta nell’appello incidentale condizionato ritualmente proposto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, lamenta che la Corte d’Appello non avrebbe dovuto dichiarare assorbita la sua domanda incidentale condizionata di richiesta di risarcimento del danno per aggravamento di malattia a causa della soc. datrice di lavoro.

Invero – come innanzi esposto – il CTU ha affermato che della malattia del P. la società non era in alcun modo responsabile e la Corte d’Appello ha condiviso in pieno l’accertamento di fatto.

Coerentemente, pertanto, la sentenza impugnata ha respinto la domanda di risarcimento, una volta accertata e motivata la non imputabilità dell’ipotizzato danno.

In conclusione, l’appello principale va accolto e la sentenza impugnata va riformata, con conseguente rigetto della domanda, proposta da P.A. con il ricorso introduttivo.

L’alterno esito dei giudizi di merito, comprovanti l’obiettiva difficoltà dell’apprezzamento dei fatti, giustifica la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2011

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