Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23668 del 28/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/10/2020, (ud. 19/11/2019, dep. 28/10/2020), n.23668

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14872/2012 RG, proposta da:

C.G., rappresentato e difeso dall’avv.to Carolina

D’Agostino, in virtù di procura a margine al ricorso, elettivamente

domiciliato, in Roma, Viale delle Milizie, n. 34, presso lo studio

dell’avv.to Fabio Piacentini;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso le sentenze nn. 445 e 446 del 2011 della Commissione

Tributaria Regionale della Calabria, depositate, entrambe, in data

19.12.2011, non notificate.

Udita la relazione svolta dal Consigliere Rosita d’Angiolella nella

camera di consiglio del 19 novembre 2019.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La Commissione Tributaria Regionale della Calabria (di seguito, per brevità, CTR), con le sentenze in epigrafe, rigettava gli appelli proposti da C.G. avverso le sentenze della Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza (di seguito per brevità, CTP) con le quali (sentenza n. 348/04/2010 e sentenza n. 349/04/2010) era stato rigettato il ricorso proposto dal contribuente, avverso gli avvisi di accertamento ai fini Irpef, Irap ed Iva, per l’anno 2005, scaturiti da un accertamento induttivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, ai fini delle imposte dirette, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55 ai fini Iva.

La CTR, con le pronunce in epigrafe, aveva ritenuto la legittimità dell’accertamento induttivo che, seppur sorto come accertamento analitico, aveva determinato il reddito in base a presunzioni gravi, precise e concordanti derivanti dai dati e dalle notizie raccolte nel corso della verifica contabile.

C.G., ha proposto ricorso cumulativo per la cassazione delle due sentenze in epigrafe, affidandosi a cinque motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Nell’articolata esposizione dei motivi, il ricorrente chiede la cassazione di entrambe le sentenze impugnate per i motivi che, di seguito, si riportano in sintesi:

“1. Violazione e falsa applicazione art. 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Si censura la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro in quanto la stessa non ha rilevato la mancata costituzione dell’Agenzia delle Entrate, parte necessaria nel processo. Dalla non costituzione scaturisce la non contestazione dei fatti posti a base dell’appello prodotto da parte del contribuente. Da ciò ne scaturisce che il giudice avrebbe dovuto porre a fondamento della sua decisione quanto detto da parte appellante in quanto non contestato da parte avversa (Cassazione 27696/2008- 12331/2007…).

2. Violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 nel 1973, art. 42 (art. 360 c.p.c., n. 3).

2.1. Si censura la sentenza (…) laddove ha ritenuto erroneamente legittimo il solo richiamo al p. v. c. redatto dai funzionari dell’Agenzia delle entrate, ai fini della motivazione degli accertamenti impugnati; senza tenere conto della specifica eccezione formulata dal contribuente e che cioè trattasi di un contribuente semplificato e quindi nei suoi confronti non è applicabile il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 15 essendo escluso da questo obbligo per effetto dell’art. 18 dello stesso decreto (…).

2.2. (…) si limitava a formulare una integrale ed acritico rinvio al verbale dei verificatori (…).

2.3. Il rinvio (…) in sede di motivazione sarebbe addirittura tale da scardinare il modello procedimentale delineato dal legislatore (…).

2.4. Si censura l’assunto della commissione tributaria regionale di Catanzaro quando afferma “le irregolarità rilevate fanno ritenere che la contabilità della ditta, per formalmente regolare, sia tuttavia inattendibile e tale da rendere legittima la ricostruzione induttiva dei ricavi” ma non spiega in che cosa consistono le irregolarità. (…)

2.5. Si censura il comportamento della commissione tributaria che ha deciso di rigettare puramente semplicemente le ragioni di appello senza alcun esame e valutazione critica (…).

3. Vizio di motivazione. Insufficienza – Illogicità, in relazione a fatto controverso e decisivo del giudizio sotteso al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e art. 2727 c.c. (art. 360, n. 5).

3.1 (…) la commissione (…) non si è resa conto che le presunte rimanenze non contabilizzate provenivano dallo spalmamento agli anni indietro delle presunte giacenze riscontrate nell’anno

2008 – data di verifiche redazione del p. v. c. (…) la documentazione allegata agli atti processuali deve essere presa in considerazione proprio per annullare l’accertamento dell’anno 2005 e dell’anno 2006 poichè in quegli anni non esisteva p.v.c. (…). 3.2 Si censura la decisione…. quando sostiene la legittimità dell’accertamento induttivo in conseguenza del rifiuto di esibire e comunque sottrarre all’ispezione una o più scrittore contabili (…) il collegio regionale non ha sviluppato un adeguato iter motivazionale atto a formare il proprio convincimento circa la legittimità degli accertamenti adottati all’ufficio, palesandosi un evidente carenza di motivazione nonchè un’illogicità manifesta della stessa censurabile in codesta sede in virtù dell’evidente arbitrarietà della soluzione giudiziaria adottata (…).

4. Vizio di motivazione. Omessa, insufficiente – Illogicità in relazione al fatto controverso decisivo del giudizio sotteso all’art. 2697 c.c. (art. 360, n. 5).

4.1(…) la sentenza (…) è censurabile (…) nella parte in cui il giudice di appello, non motiva sul punto controverso è decisivo ossia circa l’eccepita violazione dell’art. 2697 c.c. in virtù del quale l’onere probatorio… era a carico dell’ufficio finanziario (…).

5. Vizi processuali rilevabili d’ufficio in ogni stato in grado. 5.1. Violazione L. n. 212 del 2000, art. 12 – la verifica si è protratta oltre i termini previsti dalla norma soprarichiamata senza alcuna ragione specifica e controversa per cui gli atti devono essere dichiarati nulli e conseguentemente tutti quelli da esso derivati (…)

5.2. Violazione D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 – gli avvisi di accertamento sono pervenuti al contribuente a mezzo del servizio postale, ma senza il rispetto della norma richiamata nè del codice di rito sulle notificazioni. (…) Ne consegue che gli avvisi di accertamento notificati a mezzo del servizio postale, senza l’indicazione del soggetto notificante, impedisce al ricorrente ed allo stesso giudice di acclarare la “capacità notificatoria” dello stesso conducendo ad una inesistenza della notifica ancorchè il contribuente abbia espletato attività processuale”.

2. La trascrizione in sintesi delle doglianze del ricorrente evidenzia come, in tutti e cinque i motivi, sono state articolate più censure, evocando, contestualmente, la violazione dei diversi parametri previsti all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 e, nello stesso tempo, mettendo in discussione l’accertamento di merito compiuto dai secondi giudici (v. motivo n. 3 e 4).

2. Il ricorso cumulativo pure contenendo motivi eterogenei, taluni dei quali inammissibili consente, tuttavia, in determinati casi, di collegare le censure proposte ai vizi denunciati, evitando in tal modo la declaratoria inammissibilità del ricorso complessivamente considerato (in tal senso Sez. U, Sentenza n. 9100 del 06/05/2015).

3. La CTR, in entrambe le sentenze impugnate, ha ben argomentato sulla natura dell’accertamento, evidenziando che l’Amministrazione pur avendo avviato l’accertamento con l’analisi della contabilità ha, poi, legittimamente determinato il maggior reddito con metodo induttivo puro ai sensi e per gli effetti del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. c). Tale decisione risulta, in realtà, conforme all’orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di accertamento dei redditi d’impresa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 la ricorrenza dei presupposti per l’accertamento induttivo (anche nella ipotesi di inattendibilità dell’intera contabilità) non comporta l’obbligo dell’ufficio di avvalersi di tale metodo di accertamento, ma costituisce una mera facoltà che non preclude, pertanto, la possibilità di procedere ad una valutazione analitica dei dati comunque emergenti dalle scritture dell’imprenditore (ex plurimis, cfr. Sez. 5, Sentenza n. 18934 del 17/07/2018, Rv. 649719-01); anche con riguardo agli elementi presuntivi presi in considerazione per confermare la legittimità dell’accertamento, la CTR ha fatto buon governo dei principi in materia secondo cui il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2, lett. c), autorizza l’accertamento del reddito di impresa sulla scorta di presunzioni “supersemplici”, cioè prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 3, le quali determinano un’inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del contribuente la deduzione di elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’ufficio (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 15027 del 02/07/2014).

4. Quanto, alla presunta violazione del principio di non contestazione (primo motivo), come ognun sa, il principio evincibile dall’art. 115 c.p.c. può trovare applicazione solo con riferimento alle parti costituite mentre, nella specie, l’Amministrazione finanziaria era rimasta intimata e non costituita.

5. Egualmente non sussiste la violazione di legge denunciata con il secondo motivo, in quanto ai fini dell’ammissibile motivazione “per relationem” dell’atto impositivo è senz’altro sufficiente il rinvio dell’avviso di accertamento al p.v.c. notificato al contribuente (cfr. Sez. 6-5, Ordinanza n. 29002 del 05/12/2017, Rv. 646527-01; Sez. 5, Ordinanza n. 27628 del 30/10/2018, Rv. 651080-01; Sez. 5, Sentenza n. 24252 del 27/11/2015, Rv. 637592-01).

6. Il terzo motivo è inammissibile, così come il quarto.

A fronte della compiutezza delle ragioni delle due decisioni qui gravate, la percezione che si ha nell’esame di tali motivi, è che il ricorrente si duole perchè la ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito non risponde alla sua prospettazione, segnatamente con riguardo alla valutazione delle risultanze documentali fatta nel giudizio di merito; i motivi in esame, nella loro complessive doglianze, appaiono sottendere, cioè, un’inammissibile richiesta di revisione delle valutazioni e delle conclusioni raggiunte dal giudice di merito, che, tuttavia, sono insindacabili in questa sede, rendendo i motivi inammissibili. Spetta, infatti, in via esclusiva al giudice di merito, e non al giudice di legittimità, il compito di valutare le fonti del suo convincimento, di controllare la concludenza delle prove e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute idonee a dimostrare – secondo il suo libero apprezzamento – la veridicità dei fatti sottesi, dando prevalenza all’una o all’altra a seconda della maggiore o minore evidenza probatoria. All’uopo si rammentano i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte in base ai quali il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (cfr. Cass., Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790-01; Sez. 6-3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017, Rv. 643690-01).

7. Anche il quinto motivo non si sottrae al difetto di autosufficienza; i vizi denunciati non sono correttamente dedotti, non risultando dove e come tali questioni siano state sottoposte al giudice di appello, nè riportando gli elementi ed i riferimenti per individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio denunciato, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo di legittimità (ex plurimis, Sez. 6-1, Ordinanza n. 23834 del 25/09/2019, Rv. 65541901).

8. Il ricorso va, dunque, rigettato.

9. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate liquidate in complessivi 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione Civile, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2020

 

 

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