Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23668 del 24/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 24/09/2019, (ud. 27/11/2018, dep. 24/09/2019), n.23668

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26145/2012 R.G. proposto da

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Chiale di C.F. & C. s.n.c., in persona del legale

rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria centrale – Sezione

di Torino n. 1019/06/11, depositata il 29 settembre 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 novembre

2018 dal Consigliere Nonno Giacomo Maria.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con sentenza n. 1019/06/11 del 29/09/2011, la Commissione tributaria centrale (CTC) – Sezione di Torino respingeva l’impugnazione proposta dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 6315/11/94 della Commissione tributaria di secondo grado e concernente un avviso di rettifica della dichiarazione IVA relativa all’anno 1982, con recupero di un credito d’imposta ritenuto non spettante dall’Ufficio;

1.1. come si evince dalla sentenza della CTC e dal ricorso introduttivo: a) la ricorrente aveva impugnato l’avviso di rettifica in quanto aveva omesso di compensare il proprio credito IVA risultante dalla dichiarazione relativa all’anno d’imposta 1982 con le somme dovute a seguito del condono e, conseguentemente, aveva riportato nella successiva dichiarazione il relativo credito; b) la Commissione tributaria di primo grado accoglieva parzialmente il ricorso presentato dalla società contribuente, facendo presente che l’imposta illegittimamente detratta andava restituita all’Erario, ma la Chiale s.n.c. aveva diritto, su domanda di parte, al rimborso della somma indebitamente versata; c) la Commissione tributaria di secondo grado accoglieva l’appello incidentale della contribuente, annullando la rettifica dell’Ufficio perchè volta a recuperare somme già versate all’Erario; d) tale ultima sentenza era impugnata dall’Agenzia delle entrate davanti alla CTC;

1.2. su queste premesse, la CTC motivava il rigetto dell’impugnazione osservando che il diniego di rimborso da parte dell’Ufficio non era corretto, in quanto il mero errore formale, conseguente alla mancata o non corretta compilazione della domanda, non poteva pregiudicare la richiesta di rimborso della detrazione spettante alla società contribuente, la quale non aveva proceduto a compensazione;

2. l’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;

3. la Chiale s.nc. non si costituiva in giudizio e restava, pertanto, intimata.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. va pregiudizialmente evidenziato che il ricorso erariale è stato notificato, nel rispetto del termine lungo previsto dall’art. 327 c.p.c., in assenza di notifica della sentenza impugnata, sia nel domicilio eletto presso il difensore sia presso la sede della società;

1.1. è noto che “in tema di ricorso per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali, si applica, con riguardo al luogo della sua notificazione, la disciplina dettata dall’art. 330 c.p.c.; tuttavia, in ragione del principio di ultrattività dell’indicazione della residenza o della sede e dell’elezione di domicilio effettuate in primo grado, sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 2, è valida la notificazione eseguita presso uno di tali luoghi, ai sensi del citato art. 330 c.p.c., comma 1, seconda ipotesi, ove la parte non si sia costituita nel giudizio di appello, oppure, costituitasi, non abbia espresso al riguardo alcuna indicazione” (Cass. S.U. n. 14916 del 20/07/2016);

1.2. ne consegue che, nel caso di specie, è stata validamente eseguita unicamente la notificazione del ricorso presso il difensore domiciliatario; notifica, peraltro, non andata a buon fine in ragione del trasferimento del domicilio di detto difensore e, dunque, per fatto non imputabile al notificante, trattandosi di notificazione effettuata nei confronti di un difensore che svolge la sua attività in altro circondario (cfr. Cass. S.U. n. 17352 del 24 luglio 2009);

1.3. è stato, peraltro, evidenziato che “in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa” (Cass. S.U. n. 14594 del 15/07/2016);

1.4. nel caso di specie, il ricorrente ha appreso dell’esito negativo della notificazione solo in data 24/01/2013, come risulta dalla distinta di restituzione prodotta dallo stesso, e ha provveduto a riattivare tempestivamente il procedimento notificatorio in data 21/02/2013, nel rispetto del termine di trenta giorni indicato dalla menzionata sentenza delle Sezioni Unite;

1.5. ne consegue che il ricorso per cassazione deve considerarsi ammissibile;

2. con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce la violazione o falsa applicazione del D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 28, comma 4, conv. con modif. nella L. 7 agosto 1982, n. 516, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che la società contribuente non avrebbe potuto riportare il credito IVA nella dichiarazione relativa all’anno 1982 in quanto la definizione agevolata delle liti pendenti, cui la stessa ha aderito, implica la rinuncia a tale credito;

3. con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate contesta la violazione o falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 37 e 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando l’erroneità della statuizione della CTC che, confermando la sentenza della Commissione tributaria di secondo grado, ha ritenuto l’insussistenza dei presupposti per la rettifica, non essendo mai stata depositata dal contribuente istanza di rimborso;

4. con il terzo motivo di ricorso, si contesta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto decisivo per il giudizio, dolendosi sostanzialmente delle medesime questioni sollevate con il secondo motivo;

5. i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, involgendo questioni connesse, sono complessivamente fondati;

5.1. come evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte, “in tema di condono fiscale per l’IVA e con riguardo alla disciplina di cui al D.L. n. 10 luglio 1982, n. 429 (convertito nella L. 7 agosto 1982, n. 516), l’inosservanza, da parte del contribuente, dell’onere, previsto dal citato D.L. , art. 28, comma 4, di rinunciare espressamente, nella dichiarazione integrativa, all’eventuale credito d’imposta risultante dalla dichiarazione per il 1981 non determina, in assenza di un’espressa previsione in tal senso, la nullità della predetta dichiarazione integrativa, bensì l’effetto di lasciare l’amministrazione libera di scegliere tra l’accettazione della definizione automatica del rapporto e l’esercizio del potere di accertamento, con la conseguenza che, una volta riconosciuta da parte dell’amministrazione la validità della dichiarazione integrativa (ancorchè senza espressa rinuncia al credito), il contribuente perde la possibilità di azionare il diritto al rimborso, che non può coesistere con la definizione automatica dell’imponibile” (così Cass. n. 2711 del 12/02/2004; sost. conf. Cass. n. 1016 del 28/01/2002; con riferimento al condono di cui alla L. 30 dicembre 1991, n. 413, operante con modalità analoghe, si vedano Cass. n. 18808 del 30/08/2006; Cass. n. 27093 del 18/12/2006; Cass. n. 665 del 15/01/2007; Cass. n. 13503 del 27/07/2012);

5.2. nel caso di specie, risulta dal ricorso (che riproduce l’avviso di rettifica) e dalla sentenza impugnata che la società contribuente ha presentato dichiarazione integrativa di condono relativamente al D.L. n. 429 del 1982, art. 28, con conseguente rinuncia al credito IVA eventualmente eccedente;

5.3. tale ultimo credito non può, dunque, essere portato in detrazione nella dichiarazione IVA 1982, come indebitamente fatto dalla Chiale s.n.c., trattandosi di credito non più esistente, che, diversamente da quanto ritenuto dalla CTC, rende legittimi la rettifica e il conseguente recupero da parte dell’Amministrazione finanziaria;

5.4. nè la possibilità di portare in detrazione un credito espressamente rinunciato può trovare giustificazione nell’eventuale errore in cui, come risulta sempre dal ricorso e dalla sentenza di merito, la Chiale s.n.c. sarebbe incorsa per non avere compensato il proprio preesistente credito IVA con quanto dovuto a titolo di condono;

5.5. invero, la società contribuente avrebbe potuto eventualmente ottenere, da parte dell’Amministrazione finanziaria, il rimborso di quanto indebitamente corrisposto a seguito della dichiarazione integrativa di condono, ma tale istanza non risulta essere stata mai formulata;

6. in conclusione, vanno accolti i motivi di ricorso; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e rinviata alla CTR del Piemonte, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019

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