Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23667 del 11/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/11/2011, (ud. 28/06/2011, dep. 11/11/2011), n.23667

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. AMOROSO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3645-2007 proposto da:

C.P., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato VISCONTI DARIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

CONTRO

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE E DELL’UNIVERSITA’ E RICERCA, MINISTERO

DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona dei Ministri pro tempore,

domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 850/2006 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 02/11/2006 r.g.n. 1312/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/06/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI AMOROSO;

udito l’Avvocato CARLO VISCONTI;

udito l’Avvocato SALVATORE MESSINEO (per l’Avv.ra);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso ex art. 414 c.p.c., depositato il 21.09.2001, il sig. C.P., insegnante di violoncello presso il Conservatorio di Musica (OMISSIS), adiva il Tribunale di Pescara, in funzione di giudice del lavoro, al fine di ottenere l’annullamento e/o l’inefficacia del provvedimento di destituzione adottato in data 19.06.2000 dall’allora Ministero della Pubblica Istruzione nonchè la reintegrazione nel posto di lavoro ricoperto fino alla data del 22.03.1998 con condanna delle Amministrazioni resistenti al pagamento, a titolo di risarcimento del danno subito, di una somma pari alle mensilità maturate e maturande dal mese di marzo 1999 fino alla data di reintegrazione effettiva con rivalutazione e interessi, nonchè al risarcimento del danno biologico asseritamente patito per il periodo di inattività.

Con sentenza n. 908 del 26.04.2005, il Tribunale adito respingeva il ricorso in quanto destituito di ogni fondamento giuridico.

2. Avverso tale decisione, il C. proponeva impugnazione con ricorso depositato in data 14.10.2005.

Con sentenza n. 850/06, a Corte d’Appello di L’Aquila respingeva l’avversa domanda e, per l’effetto, confermava la sentenza resa dal giudice di primo grado.

3. Questa pronuncia è impugnata con ricorso per cassazione dall’originario ricorrente con tre motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata che ha anche depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata nonchè il vizio di motivazione in relazione agli artt. 112, 132 e 118 disp. att. c.p.c.. Si duole del fatto che dalla narrativa della sentenza impugnata non sia dato desumere con sufficiente chiarezza le domande svolte nel processo, le difese delle parti e le ragioni delle decisioni adottate sulle stesse. In particolare non risultano nè trascritte le conclusioni delle parti, nè indicati o richiamate, nè esaminate le ulteriori deduzioni a sostegno del gravame in appello; ciò che impedisce la verifica della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. nonchè vizio di motivazione. Deduce in particolare che il procedimento disciplinare non è stato proseguito, promosso e concluso nel termine di 180 e 90 giorni in violazione del principio dell’immediatezza della contestazione. Essendo stata la sentenza penale pronunciata in data 23 febbraio 1999 risulta – secondo il ricorrente – che il procedimento disciplinare si è concluso oltre i termini di legge e cioè nel giugno del 2000, sussistendo così l’inosservanza del termine decadenziale.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ancora nullità della sentenza e violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. oltre che vizio di motivazione. Deduce che la sentenza impugnata è apodittica e disancorata da qualsiasi richiamo specifico. Si tratta di una motivazione così astratta da rendere impossibile la ricostruzione dell’iter logico argomentativo seguito dal giudice d’appello, anche perchè disancorato da qualsiasi fonte specifica di prova. Deduce anche che la sentenza penale di patteggiamento non ha efficacia nei giudizi civili e amministrativi.

Dopo le conclusioni rassegnate, consistenti nella richiesta di cassazione della sentenza impugnata, il ricorrente elenca in sequenza sei quesiti di diritto.

2. Il ricorso non può essere accolto.

3. Da una parte deve considerarsi che la tecnica redazionale della formulazione dei quesiti di diritto seguita dal ricorrente non è compatibile con il disposto dell’art. 366 bis c.p.c.. Manca infatti o quanto meno non è evidente il riferimento del quesito di diritto al motivo di censura. Il quesito di diritto deve costituire una sintesi delle argomentazioni svolte a sostegno del motivo di ricorso; deve quindi essere ben evidente il riferimento del quesito a motivo.

Laddove invece nella specie il ricorrente trascrivendo in sequenza plurimi quesiti di diritto dopo aver rassegnato le conclusioni, in numero peraltro superiore rispetto ai motivi svolti, non consente in modo evidente tale raccordo del quesito di diritto al motivo di censura.

4. In ogni caso i primi due quesiti di diritto sono infondati.

Da una parte la mancata trascrizione delle conclusioni delle domande e delle conclusioni delle parti non è causa di nullità della sentenza.

D’altra parte in tanto il giudice del merito deve verificare la tempestività dell’esercizio del potere disciplinare e l’osservanza dei termini previsti per lo svolgimento del procedimento disciplinare in quanto ci sia una censura svolta dal dipendente assoggettato al procedimento disciplinare. Invece il secondo quesito è formulato in termini meramente astratti e non raccordati alla vicenda concreta.

5. Gli altri quattro quesiti di diritto sono comunque inammissibili perchè formulati in termini assolutamente generici e non dirimenti delle questioni di diritto poste nel giudizio. E’ vero che il giudice del merito deve valutare complessivamente le prove testimoniali raccolte in causa come anche è tenuto esaminare le eccezioni e le difese delle parti considerando in particolare l’obbligo della pubblica amministrazione di osservare il principio di proporzionalità della sanzione all’illecito. Come anche il giudice del merito è tenuto a porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti. Ma l’esattezza di tali affermazioni di carattere generale, proprio per il carattere astratto, non svela alcun vizio della sentenza impugnata e quindi i quesiti di diritto così formulati sono inammissibili.

6. Il ricorso quindi nel suo complesso va rigettato.

Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorario d’avvocato e spese generali.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2011

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