Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23662 del 27/10/2020

Cassazione civile sez. III, 27/10/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 27/10/2020), n.23662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9604-2018 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIETRO

BORSIERI 12, presso lo studio dell’avvocato GRAZIA TIBERIA POMPONI,

rappresentata e difesa dall’avvocato POMPEO GIOVANNI MUSIO;

– ricorrente –

contro

BI & DI SRL, in persona del suo l.r.p.t. geom. B.C.,

considerata domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO BANCHINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2163/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 26/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

2/07/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Su ricorso della BI & DI S.r.l. il Tribunale di Parma emise, nei confronti di M.A., il decreto ingiuntivo n. 1865/2006, in virtù della promessa di pagamento risultante dall’assegno bancario, privo di data, n. (OMISSIS), tratto dalla Banca Monte Parma S.p.a. per l’importo di Lire 15.000.000, intestato a BI & DI S.r.l., la quale aveva assunto che tale assegno si riferiva ai lavori da essa effettuati nell’anno 1997 nell’immobile di proprietà dell’ingiunta, sito in (OMISSIS).

La M. propose opposizione innanzi al medesimo Tribunale avverso quel d.i., sostenendo di avere esattamente adempiuto ogni obbligazione inerente all’acquisto dell’immobile di cui sopra dalla società opposta, impresa costruttrice.

Aggiunse che, successivamente alla compravendita del 28 febbraio 1996, la BI & DI S.r.l. non aveva effettuato alcuno dei lavori in questione, essendo tutti già stati ampiamente saldati, mentre gli interventi successivi al rogito erano derivati da puntuali contestazioni di vizi avanzate dalla medesima M. nell’ottobre 1996.

L’assegno in parola era, invece, stato consegnato al geom. B.C., legale rappresentante della società opposta, nel luglio 1996, in quanto lo stesso aveva prospettato la possibilità di ottenere il certificato di abitabilità come mansarda per i locali del sottotetto, che non avevano i requisiti di legge per ottenere la certificazione di abitabilità. Posto che detta abitabilità non era stata ottenuta, l’assegno doveva l’assegno doveva essere restituito alla M., la quale concluse per la revoca del d.i. opposto.

Si costituì in giudizio la BI & DI S.r.l. contestando l’atto di opposizione avversario, del quale chiese il rigetto.

Il Tribunale di Parma accolse l’opposizione, revocò il d.i. e condannò l’opposta al pagamento delle spese di lite.

Ritenne il primo Giudice che si era in presenza, come da consolidata giurisprudenza, di una promessa di pagamento, con l’effetto di sollevare il promissario dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale, da presumersi – fino a prova contraria esistente e valido. Conseguentemente la promessa era priva di effetti ove fosse stato accertato giudizialmente che detto rapporto non fosse sorto, fosse invalido ovvero estinto.

La relevatio ab onere probandi era, invece, stata rinunciata implicitamente con la richiesta di ammissione di prova testimoniale sull’esistenza del rapporto fondamentale da parte dell’opposta, che non aveva idoneamente provato la consistenza e l’entità dei lavori eseguiti, e, pertanto, in difetto di prova dell’esistenza del rapporto fondamentale, l’opposizione doveva essere accolta.

Avverso tale sentenza la BI & DI S.r.l. propose appello, cui resistette l’appellata.

La Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 2163/2017, pubblicata il 26 settembre 2017, accolse l’impugnazione proposta e, per l’effetto, confermò il d.i. opposto emesso dal Tribunale di Parma e condannò la M.A. alle spese del doppio grado del giudizio di merito.

Avverso la sentenza della Corte di merito M.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico articolato motivo e ha depositato memoria.

La BI & DI S.r.l. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo è così rubricato: “Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, in relazione agli artt. 1988 e 2697 c.c.”.

1.1. Con riferimento alla lamentata violazione o falsa applicazione degli artt. 1988 e 2697 c.c., la ricorrente deduce che la controparte, pur trovandosi nella condizione processuale di poter beneficiare dei vantaggi probatori derivanti dall’applicazione dell’art. 1988 c.c., avrebbe rinunciato agli stessi, assumendo così gli oneri probatori che, ai sensi dell’art. 2697 c.c., spettano a chi si afferma creditore. Sostiene che dal comportamento processuale della BI & DI S.r.l., che ha svolto, nel corso del giudizio di primo grado, attività istruttoria volta a provare il rapporto fondamentale dalla stessa indicata, “si deve ricavare l’implicita, inequivocabile, manifestazione di volere rinunciare ai benefici e ai vantaggi derivanti dall’applicazione dell’art. 1988 c.c. e di subire le conseguenze dell’eventuale fallimento della prova”. Ad avviso della M., l’attività istruttoria svolta dall’attuale controricorrente “risulta essere in evidente contraddizione e contrasto con la dichiarazione della stessa BI & DI S.r.l. di non volersi assumere oneri probatori che non le competono, inserita in comparsa di costituzione e risposta avversaria”; tale dichiarazione sarebbe stata erroneamente considerata dal Giudice di appello dichiarazione inequivocabile di “… di non volere rinunciare al vantaggio di cui al citato art. 1988 c.c.”, laddove, invece, la dichiarazione in parola, sarebbe una clausola di stile che non impedirebbe di ritenere verificatasi, nel caso all’esame, una rinuncia implicita ai vantaggi probatori derivanti dall’applicazione della norma appena menzionata.

Conclusivamente, sostiene che la Corte di merito non ravvisando, erroneamente, nel comportamento processuale di BI & DI S.r.l., una rinuncia implicita ai vantaggi probatori derivanti dall’applicazione dell’art. 1988 c.c., con conseguente inversione dell’onere della prova, avrebbe, attribuito, erroneamente, alla M. l’onere di provare l’inesistenza, l’invalidità o l’estinzione del rapporto fondamentale e, non ritenendo assolto detto onere, avrebbe, sempre erroneamente, accolto l’appello presentato dalla più volte menzionata società.

1.1.2. La doglianza è inammissibile, in quanto la Corte di merito ha ritenuto, sulla base di un accertamento in fatto, che la clausola in questione sia di stile e che non via sia stata un’implicita rinuncia al vantaggio dell’inversione dell’onere della prova, e tale valutazione non può essere messa in discussione in questa sede.

1.2. Con riferimento al dedotto omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, la ricorrente lamenta che la Corte di merito abbia omesso di considerare fatti che, se considerati, avrebbero comunque consentito di rilevare che la M., pur non essendo gravata del relativo onere probatorio, avrebbe provato l’inesistenza del rapporto fondamentale, superando così la presunzione di cui all’art. 1988 c.c..

Al riguardo la ricorrente fa riferimento ad una serie di documenti e a deposizioni testimoniali che, a suo avviso, dimostrerebbero che al momento del rogito avrebbe già integralmente corrisposto quanto dovuto all’attuale controricorrente e che nel sottotetto e nella taverna non sarebbe stato effettuato alcun intervento diverso da quelli predisposti da BI & DI S.r.l. per rimediare ai vizi, ai difetti e alle difformità lamentate dai coniugi M.- Ma..

1.2.1. Anche tale censura è inammissibile.

Oltre a difettare di specificità, per quanto attiene ai documenti richiamati, dei quali non è stato però riportato nel motivo il tenore letterale, almeno per quanto rileva in questa sede, la doglianza è complessivamente inammissibile, in quanto, sotto l’apparente deduzione del vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, mira, in realtà, ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, non consentita in questa sede (Cass., sez. un., 27/12/2019, n. 34476), evidenziandosi che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053) e che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., ord., 7/04/2017, n. 9097; Cass., ord., 7/12/2017 n. 29404). E’ stato peraltro pure condivisibilmente precisato da questa Corte che l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 2/08/2016, n. 16056).

2. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

3. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

4. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore della società controricorrente, in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2020

 

 

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