Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23662 del 24/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 24/09/2019, (ud. 28/02/2019, dep. 24/09/2019), n.23662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16522-2018 proposto da:

B.D., B.T., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

ANGELO EMO, 106, presso lo studio dell’avvocato CIRO CASTALDO,

rappresentati e difesi dagli avvocati MICHELE BOCCIA, GIUSEPPE

BOCCIA;

– ricorrenti –

contro

N.M., B.M.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 27909/2017 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 23/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/02/2019 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 Con ordinanza n. 27909/2017, questa Corte Suprema ha respinto il ricorso proposto da B.D. e B.T. contro la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 9056/2013 in una lite in materia di vedute che li vedeva contrapposti ai vicini N.M. e B.M.F.. La Corte di legittimità ha ritenuto che la doglianza dei ricorrenti (originari attori, risultati soccombenti anche in appello) consistesse nella avvenuta creazione da parte dei vicini di opere sulla loro proprietà immobiliare e in particolare nella “realizzazione di un terrazzo in luogo di una originaria copertura in lamiera che avrebbe sostanziato – secondo la prospettazione dei ricorrenti – una ulteriore possibilità di veduta ed affaccio sulla loro proprietà”. Ha quindi considerato che già esisteva una servitù di veduta sul fondo degli attori attraverso il terrazzo dell’edificio N.- B. (in precedenza della Norimberga srl, fabbrica di giocattoli) e che la possibilità di esercitare una più comoda veduta non costituisce aggravamento.

2 Contro la citata ordinanza i B. ricorrono per revocazione.

I N.- B. non hanno svolto difese in questa sede. non hanno svolto difese in questa sede.

Il relatore ha proposto la trattazione in pubblica udienza.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con l’unico motivo si deduce, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., n. 4, un errore di fatto risultante dagli atti e documenti di causa: l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte Suprema consisterebbe, ad avviso dei ricorrenti, nell’avere equivocato sul motivo di ricorso, perchè il fatto dedotto non riguardava la realizzazione di un terrazzo in luogo dell’originaria copertura in lamiera, ma la creazione o comunque l’aggravamento di una preesistente servitù di veduta mediante edificazione sul terrazzo con apertura di quattro finestre.

Precisano che tale errore è decisivo, perchè ha costituito il motivo essenziale e determinante della pronuncia di legittimità, che senza l’errore sarebbe stata diversa; rilevano inoltre che il fatto supposto come vero (cioè la realizzazione di un terrazzo in luogo di una originaria copertura in lamiera) non aveva costituito un punto controverso della causa e che l’errore rivestiva i caratteri dell’evidenza, obiettività e immediata rilevabilità.

Il ricorso è inammissibile.

Come costantemente affermato da questa Corte, l’errore di fatto che può dare luogo a revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice ad affermare l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, la cui sussistenza (o insussistenza) risulti invece in modo incontestabile dagli atti, e l’erronea percezione postula l’esistenza di un contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti rispettivamente l’una dalla sentenza impugnata, l’altra dagli atti processuali. Il suddetto errore, inoltre, non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche; deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata diversa. Con riguardo, infine, all’errore di fatto che può legittimare la domanda di revocazione della sentenza di cassazione, esso deve riguardare gli atti “interni” al giudizio di legittimità (ossia quelli che la Corte deve, e può, esaminare direttamente con la propria indagine di fatto all’interno dei motivi di ricorso) e deve incidere unicamente sulla sentenza di cassazione, giacchè, ove esso fosse configurabile come causa determinante della decisione impugnata in Cassazione, il vizio correlato potrebbe dare adito soltanto alle impugnazioni esperibili contro la pronuncia di merito (tra le varie, Sez. L, Sentenza n. 9396 del 21/04/2006 Rv. 588503; Sez. 3, Sentenza n. 3190 del 14/02/2006 Rv. 590611; Sez. 3, Sentenza n. 13915 del 28/06/2005 Rv. 582706.

Si è altresì affermato che ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, il nesso causale tra errore di fatto e decisione, nel cui accertamento si sostanzia la valutazione di essenzialità e decisività dell’errore revocatorio, non è un nesso di causalità storica, ma di carattere logico-giuridico, nel senso che non si tratta di stabilire se il giudice autore del provvedimento da revocare si sarebbe, in concreto, determinato in maniera diversa ove non avesse commesso l’errore di fatto, bensì di stabilire se la decisione della causa sarebbe dovuta essere diversa, in mancanza di quell’errore, per necessità logico-giuridica (Sez. 1, Sentenza n. 6038 del 29/03/2016 Rv. 639274; Sez. 2, Sentenza n. 3935 del 18/02/2009 Rv. 606656).

Ebbene, l’errore di percezione oggi denunziato difetta di essenzialità e decisività perchè è evidente che se anche la Corte di cassazione avesse correttamente individuato il motivo di ricorso attinente, non già alla realizzazione di un terrazzo in luogo di una originaria copertura in lamiera, ma alla costruzione al posto del terrazzo di un manufatto dotato di quattro vedute verso il fondo degli attori, la decisione – contrariamente a quanto oggi genericamente si assume a pag. 8 del ricorso per revocazione – non sarebbe stata diversa: infatti, stabilire se vi sia o meno aggravamento di servitù di veduta a seguito di interventi realizzati sul fondo dominante integra una tipica indagine in fatto rientrante nelle prerogative del giudice di merito ormai non più sindacabile neppure sotto il profilo motivazionale (v. art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nuova versione) e la Corte territoriale aveva escluso l’aggravamento, come dà atto la stessa ordinanza 27909/2017 a pag. 4 righi 5 e ss e come si evince dalla stessa sentenza di appello.

Si è dunque fuori dal campo dell’errore revocatorio denunziabile in cassazione come delineato dalla giurisprudenza di legittimità e quindi l’ordinanza n. 27909/2017si sottrae alle censure dei B..

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, ma senza aggravio di spese, in assenza di attività difensiva dell’altra parte.

Considerato che trattasi di ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019

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