Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23662 del 21/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 21/11/2016, (ud. 15/06/2016, dep. 21/11/2016), n.23662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1743-2012 proposto da:

C.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato MARIO

CONTALDI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

SERGIO VIALE, ALESSANDRO SCIOLLA;

– ricorrente –

contro

B.G., P.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1730/2010 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 25/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito l’Avvocato Andrea SEGATO con delega depositata in udienza

dell’Avvocato CONTALDI Mario, difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per infondatezza del ricorso e

conseguente rigetto del ricorso.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

B.G. conveniva in giudizio nel 2003 innanzi al Tribunale di Torino, Sezione Distaccata di Ciriè, C.P. e G..

L’attore chiedeva la declaratoria di insussistenza di ogni suo inadempimento e, quindi, di validità del contratto preliminare di compravendita inter partes del (OMISSIS) avente ad oggetto il terreno di cui in atti sito in (OMISSIS) (F. (OMISSIS)).

Per tale terreno l’attore – promissario acquirente aveva versato la somma di Euro 113.620,52 e, poichè l’atto era sottoposto alla condizione sospensiva dell’inserimento dell’appezzamento, giusto piano urbanistico di variante, nella zona residenziale edificabile e la parte residua del prezzo era dovuta a saldo entro sessanta giorni dalla approvazione del predetto piano urbanistico, era avvenuto che i convenuti, promittenti-venditori, dopo diffida all’adempimento ed al versamento del saldo avevano, ritenuto di dichiarare risolto ex art. 1454 c.c. l’anzidetto preliminare.

In via subordinata l’attore chiedeva dichiararsi il contratto de quo valido e non risolto per inadempimento della parte promissaria acquirente ed emettersi sentenza costituiva ai sensi dell’art. 2932 c.c..

Si costituiva in giudizio la C.G. che resisteva all’avversa domanda, chiedendone il rigetto e proponendo – in via riconvenzionale – la declaratoria di inadempimento del contratto de quo da parte dell’attore con accertamento del diritto a ritenere la versata caparra confirmatoria ovvero, in via subordinata, ritenere estinta per impossibilità l’obbligazione assunta.

Interrotta la causa per decesso dell’originario convenuto C.P., la stessa veniva riassunta nei confronti dell’erede P.G., che rimaneva contumace.

L’adito Tribunale, con sentenza n. 16/2007, accoglieva la domanda riconvenzionale, dichiarava la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del B., del quale venivano rigettate le domande proposte, con condanna dello stesso al risarcimento del danno ed alla refusione delle spese di lite.

Avverso la suddetta sentenza, di cui chiedeva la riforma, interponeva appello il B..

Resisteva al gravame, di cui chiedeva il rigetto, la C.G., che proponeva in via subordinata appello incidentale per la declaratoria di impossibilità dell’obbligazione e sua estinzione.

L’adita Corte di Appello di Torino, con sentenza n 1730/2010, in parziale accoglimento dell’appello principale, respingeva la domanda riconvenzionale della C. di risoluzione del contratto de quo per inadempimento del B. e di condanna del medesimo al risarcimento del danno con eliminazione delle relative statuizioni date in primo grado, rigettando l’appello principale nel resto e quello incidentale, con declaratoria di integrale compensazione delle spese del doppio grado del giudizio.

Per la cassazione della succitata decisione ricorre la C. con atto affidato a quattro ordini di motivi.

Non hanno svolto attività difensiva le parti intimate.

Nell’approssimarsi dell’udienza ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la parte ricorrente.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1371 c.c., nonchè omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione circa un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere la Corte considerato come condizione sospensiva del trasferimento (anzichè come un modo ed un termine per l’adempimento) anche l’approvazione del P.E.C. (e non solo l’approvazione del P.R.G.).

Il motivo non può essere accolto.

La gravata decisione non è incorsa nel denunciato errore di diritto, nè la sentenza impugnata si espone a censura in relazione alla lamentata carenza motivazionale.

Anzi la stessa decisione, con motivazione immune da vizi logici e facendo buon governo delle norme e dei principi ermeneutici applicabili, ha fornito una più che plausibile ricostruzione – in fatto – della fattispecie e, quindi, dato la consequenziale esatta soluzione alla controversia in punto di diritto.

Invero la Corte territoriale ha ben evidenziato che il contratto del 23.3.2000 era soggetto a ben due condizioni e, di queste due, non si era certamente avverata “neppure alla data di invio delle due diffide”, ritenute inefficaci, la condizione di approvazione del PEC ai sensi dell’art. 2, comma 4 dell’atto.

Conseguentemente è del tutto infondata la censura in diritto di cui al motivo qui scrutinato, che va, pertanto, respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la Corte distrettuale erroneamente travisato la sentenza di primo grado, la quale, in realtà, non aveva affatto affermato che la condizione sospensiva era impossibile.

Con il motivo si chiede oggi una nuova interpretazione della sentenza di primo grado (compito precipuo della Corte territoriale).

Il tutto nella dichiarata prospettiva di accreditare una supposizione della parte ricorrente, secondo la quale “il giudice di primo grado altrimenti avrebbe dichiarato la sopravvenuta inefficacia del contratto ai sensi dell’art. 1354 c.c.”.

La censura, tesa ad una ipotetica reinterpretazione della parte di quanto il giudice di primo grado avrebbe detto, è del tutto inammissibile non potendo porsi innanzi a questa Corte una, questione, eventualmente rilevante nel giudizio di secondo grado, relativa alla interpretazione della prima sentenza, questione che – per di più – non risulta neppure proposta in appello.

Il motivo è, quindi, inammissibile.

3.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1218, 1453 e 1454 c.c., nonchè omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 per avere la Corte territoriale escluso un inadempimento imputabile al promissario acquirente nonostante questi, pur essendosi attivato nell’aprile del 2001 per l’acquisto di un terreno confinante (onde raggiungere i 5mila mq. minimi per l’edificabilità) avesse poi omesso nei due successivi anni di presentare il progetto PEC.

Si prospetta, quindi, nel motivo il conseguente errore della mancata declaratoria di risoluzione di diritto del contratto una volta scaduto infruttuosamente il termine di trenta giorni concesso con diffida.

Il motivo attinge a tutta una serie di elementi oggetto di corretta valutazione, nel merito, da parte della Corte distrettuale.

Al riguardo per di più e conclusivamente va riaffermato il principio per cui “la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito emerga una totale obliterazione di elementi” (Cass. civ., S.U., Sent. 25 ottobre 2013 n. 24148).

Nè, d’altra parte, “il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 può equivalere e risolversi nella revisione del “ragionamento decisorio” (Cass. civ., Sez. L., Sent. 14 no novembre 2013, n. 25608).

Il motivo è, quindi, inammissibile.

4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta (in via subordinata) il vizio di violazione degli artt. 1218 e 1256 c.c., nonchè omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 per non avere la Corte distrettuale ritenuto che, anche a volere considerare che la clausola contrattuale configurasse una condizione sospensiva, dovendo la stessa essere interpretata alla luce della situazione di fatto e di diritto esistente al momento della stipula, la successiva introduzione del PRG di una superficie minima di mq. 5mila rendeva la condizione, almeno temporaneamente, impossibile, con la conseguente estinzione, ex art. 1256 c.c., comma 2, dell’obbligazione gravante si promittenti venditori.

Il motivo, di non semplice intelligibilità, si basa su una serie di enunciazioni ipotetiche e condizioni circa la possibile e/o dovuta e/o prospettata interpretazione della condizione.

Per tal solo modo, perplesso, di proposizione il motivo non potrebbe di per sè essere accolto.

Lo stesso motivo, poi, adduce promiscuamente in un indistinto contenitore di non semplice identificazione censure relative a vizio di violazioni di legge e a vizio per carenza motivazionale con ciò violando i noti principi che, regolando i criteri di corretta proposizione del ricorso per cassazione, esigono la dovuta pertinenza e specifica congruità del motivo di ricorso (Cass. n. 15592/2007).

Il motivo è in ogni caso infondato poichè non coglie nè aggredisce la ratio sostanziale della decisione gravata la quale ha ben evidenziato che “in coerenza con la (sua) ricostruzione” il contratto preliminare prosegue comunque nel suo vigore “non essendo divenuta impossibile l’ulteriore condizione” che ne subordina la stipula.

Nè e fondata la prospettazione di una condizione “almeno temporaneamente impossibile” giustificante il dedotto venir meno dell’obbligazione.

Il motivo va, quindi, respinto.

5.- Il ricorso deve, dunque, essere rigettato.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2016

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