Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23657 del 31/08/2021

Cassazione civile sez. I, 31/08/2021, (ud. 21/05/2021, dep. 31/08/2021), n.23657

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1772/2016 proposto da:

Fitness Studio di F.T. S.r.l., già ditta individuale

Fitness Studio di T.F., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale

di Villa Pamphili n. 59, presso lo studio dell’Avvocato Roberto

Sannibale, rappresentata e difesa dall’Avvocato Massimo Fantin

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in persona del Presidente

della Regione pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza

Colonna n. 355, presso l’Ufficio distaccato della Regione,

rappresentata e difesa dall’Avvocato Beatrice Croppo, giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

Banca Mediocredito del Friuli Venezia Giulia S.p.a., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Francesco Slacci n. 2-b, presso lo studio dell’Avvocato

Corrado De Martini, che lo rappresenta e difende, unitamente agli

Avvocati Egidio Annechini, e Andrea Bellotto, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1611/2014 del Tribunale di Udine depositata il

3/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/5/2021 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Udine, con sentenza n. 1611/2014, rigettava la domanda presentata da Fitness Studio di F.T. s.r.l. perché fosse accertato il permanere dei requisiti per godere delle agevolazioni già concesse per l’acquisto e ultimazione di un capannone, funzionale alla sua attività di commercializzazione di macchine e attrezzi per palestre, e, in accoglimento invece della domanda riconvenzionale avanzata dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, condannava la società attrice alla restituzione del finanziamento ricevuto.

2. La Corte d’appello di Trieste, con ordinanza emessa ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., comma 1, e depositata in data 12 novembre 2015, dichiarava l’inammissibilità dell’appello principale proposto da Fitness Studio, atteso che la destinazione concreta ed effettiva dell’immobile oggetto della sovvenzione all’uso inizialmente prospettato di deposito e magazzino nell’ambito dell’attività di commercio di articoli sportivi non era stata mai provata nel corso del giudizio di primo grado.

3. Per la cassazione in principalità di quest’ultima ordinanza o, in alternativa, della sentenza del Tribunale di Udine ha proposto ricorso Fitness Studio di F.T. s.r.l. prospettando tre motivi di doglianza, ai quali hanno resistito con controricorso la Regione Friuli Venezia Giulia e la Banca Mediocredito del Friuli Venezia Giulia s.p.a.. Fitness Studio di F.T. s.r.l. e Banca Mediocredito del Friuli Venezia Giulia s.p.a. hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, ex art. 111 Cost. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, (o, in via gradata ai sensi dei nn. 3 o 5 medesima norma), la nullità dell’ordinanza pronunciata dalla Corte d’appello ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., comma 1, per omessa motivazione sulle questioni di fatto costituenti i motivi di appello nonché il thema decidendum devoluto alla cognizione del giudice ad quem: la Corte distrettuale, nel formulare la prognosi sulla meritevolezza dell’appello, avrebbe fondato la propria valutazione non sulle stesse ragioni, riguardanti questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata e nemmeno su ragioni diverse inerenti le stesse o altre questioni di fatto appartenenti al thema decidendum, ma avrebbe valorizzato circostanze che non solo non costituivano oggetto del thema decidendum, ma non potevano pacificamente essere messe in discussione ai danni di Fitness Studio s.r.l..

Più precisamente la Corte d’appello ha ritenuto – a dire del ricorrente – che il gravame non meritasse trattazione perché l’appellante aveva dedotto, ma non provato, l’effettività titolarità dei requisiti oggettivi e soggettivi legittimanti l’erogazione del contributo regionale all’atto della richiesta di sovvenzione, malgrado l’oggetto del giudizio non fosse mai stato l’accertamento del possesso di tali requisiti, ma piuttosto il mantenimento della destinazione commerciale dell’immobile sovvenzionato a seguito della mutata qualifica da impresa commerciale ad artigiana.

In questo modo la Corte distrettuale avrebbe omesso di pronunciarsi sulla violazione dell’art. 112 c.p.c. denunciata con l’appello, laddove si era rappresentato che il primo giudice, senza fare riferimento alle ragioni poste a base del provvedimento di revoca, aveva basato la propria decisione su propri convincimenti alieni al thema decidendum e così aveva eterointegrato ex post l’atto amministrativo e i petita delle parti convenute.

4.2 Il secondo motivo di ricorso assume, a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, che entrambi i provvedimenti impugnati abbiano violato il disposto dell’art. 112 c.p.c. fondando la decisione di rigettare la domanda su fatti mai dedotti dalle parti e non rinvenibili nella motivazione che sorreggeva il censurato provvedimento di revoca del contributo regionale.

In presenza di un giudizio di natura sostanzialmente impugnatoria, il giudice si sarebbe dovuto limitare a verificare se vi era stata un’effettiva violazione del D.P.Reg. n. 250 del 2002, art. 16, comma 3, lett. a), dato che la revoca era stata disposta perché l’impresa non esercitava nell’immobile oggetto di agevolazione l’attività per la quale aveva chiesto e ottenuto la stessa, ma una diversa attività artigiana di fabbricazione di articoli sportivi, mentre rimaneva preclusa la valutazione del ricorrere dei presupposti per la perdita o la revoca per altra causa del finanziamento.

Il Tribunale, nel ritenere invece che la società attrice avesse violato il vincolo di destinazione, aveva illegittimamente integrato l’atto amministrativo impugnato, fornendogli un diverso substrato fattuale, motivazionale e giuridico, in violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c..

4.3 Il terzo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 244 c.p.c. e art. 2697 c.c., perché il giudizio di infondatezza della domanda si era basato su un’erronea dichiarazione di inammissibilità delle prove orali richieste e una totale omessa valutazione delle prove documentali offerte.

Il Tribunale, malgrado fosse chiamato a verificare la fondatezza della revoca della sovvenzione per violazione del D.P.Reg. n. 250 del 2002, art. 16, comma 3, lett. a), non avrebbe preso adeguatamente in esame – in tesi – la documentazione prodotta, da cui emergeva, da un lato, che Fitness Studio di F.T. s.r.l. aveva destinato il finanziamento allo scopo dichiarato con la domanda iniziale, dall’altro che la compagine finanziata non aveva totalmente cessato l’attività commerciale per iniziare la nuova e diversa attività di fabbricazione di attrezzature sportive, ma aveva semplicemente modificato l’attività prevalente dell’impresa, continuando senza soluzione di continuità l’attività di commercio all’ingrosso di attrezzatura da palestra presso il capannone acquistato con il finanziamento.

Risultava inoltre illegittima la mancata ammissione dei capitoli di prova testimoniale la cui specificità l’attuale, geografica e temporale doveva essere apprezzata tenendo conto tanto degli atti di causa e delle deduzioni dei contendenti, quanto della rilevanza delle circostanze agli specifici fini della lite promossa.

Il primo giudice avrebbe compiuto anche un’erronea esegesi della L.R. FVG n. 36 del 1996, in relazione al D.P.Reg. n. 250 del 2002, art. 4, comma 7 e art. 16, comma 3, lett. a), in quanto tali norme fanno riferimento alla qualifica soggettiva che il richiedente deve avere al momento della presentazione della domanda, ma non vietano il mantenimento del finanziamento una volta che, dopo la sua erogazione, si decida di svolgere un’attività promiscua senza cessazione dell’attività beneficiata dal legislatore regionale.

5. I motivi vanno esaminati congiuntamente, in ragione della loro parziale sovrapponibilità.

5.1 Non sono ammissibili in questa sede tutte le censure rivolte all’ordinanza pronunziata, ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 1, dalla Corte d’appello.

Ciò non solo rispetto ai profili illustrati all’interno del secondo e terzo motivo (che investono asseriti vizi di ultrapetizione, nell’esame del materiale probatorio e delle istanze istruttorie e nell’interpretazione della normativa regionale in materia), dato che a mente del comma 3 della norma in discorso in presenza di una declaratoria di inammissibilità dell’appello il ricorso per cassazione deve essere presentato “contro il provvedimento di primo grado”, ma anche in relazione alla prima doglianza, con cui si lamenta un vizio intrinseco all’ordinanza della Corte distrettuale, in ragione del mancato vaglio del rilievo di nullità della prima sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c..

L’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348-ter c.p.c. non è infatti ricorribile per cassazione, nemmeno ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, ove si denunci l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, attesa la natura complessiva del giudizio prognostico che la caratterizza, necessariamente esteso a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza ed a tutti i motivi di ciascuna di queste, ponendosi, eventualmente, in tale ipotesi, solo un problema di motivazione della decisione – necessariamente complessiva – assunta (Cass., Sez. U., 1914/2016).

Nel predicare l’esistenza di un vizio di motivazione il primo mezzo non tiene poi conto del contenuto dell’ordinanza impugnata, come il ricorso per cassazione deve invece necessariamente fare.

In vero la Corte distrettuale, proprio ponendosi nella prospettiva interpretativa proposta dall’appellante (vale a dire che il thema decidendum doveva ritenersi circoscritto alla stretta verifica di sussistenza dei presupposti in fatto e diritto posti a fondamento del provvedimento amministrativo impugnato), ha registrato l’effettivo ricorrere dei presupposti previsti dal D.P.Reg. n. 250 del 2002, art. 16, comma 3, lett. a) (norma a mente della quale il contributo regionale è revocato nel caso di “mancata destinazione del finanziamento agli scopi previsti dalla legge regionale e dal presente regolamento”), a cui aveva fatto riferimento il provvedimento amministrativo di revoca; ciò a dimostrazione del fatto la doglianza concernente la violazione dell’art. 112 c.p.c. non aveva una ragionevole probabilità di essere accolta, perché, quand’anche si fosse inteso limitare il thema decidendum nel senso voluto dall’appellante, la revoca sarebbe stata comunque giustificata, dato che non risultava dimostrata la destinazione concreta ed effettiva all’uso inizialmente prospettato di deposito e magazzino nell’ambito dell’attività di commercio di articoli sportivi.

5.2 Il secondo mezzo, per la residua parte, non è fondato.

La tesi secondo cui l’unico thema decidendum era la verifica di sussistenza dei presupposti in fatto e diritto posti a fondamento del provvedimento amministrativo impugnato non è condivisibile, né è coerente con le domande proposte dalle parti nei rispettivi atti introduttivi.

Il Tribunale, nell’affermare che la controversia apparteneva alla giurisdizione ordinaria, ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il giudizio in materia di contributi e sovvenzioni pubbliche appartiene al giudice ordinario qualora “l’intervento dell’amministrazione in sede di revoca ha avuto per oggetto solo la verifica di condizioni predeterminate dalla normativa, senza valutazioni discrezionali in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico” e, subito dopo, ha aggiunto che il thema decidendum era costituito dalla verifica di un “comportamento in tesi costituente violazione di obblighi (di destinazione) assunti aderendo alle condizioni dell’erogazione”.

I due rilievi intendono sottolineare che il giudizio traeva la propria natura dall’accertamento dei presupposti per veder riconosciuto il diritto a mantenere la pubblica sovvenzione e non dalla verifica della fondatezza dell’atto amministrativo di revoca e valgono non solo ai fini del riconoscimento della giurisdizione ordinaria, ma anche per individuare l’oggetto della controversia.

Una simile individuazione non si presta a censure.

In vero, se il privato destinatario di finanziamenti o sovvenzioni pubbliche vanta, nei confronti dell’autorità concedente, una posizione di diritto soggettivo relativa alla concreta erogazione delle somme di denaro oggetto del finanziamento o della sovvenzione ed alla conservazione degli importi a tale titolo già riscossi, questo comporta non solo l’attribuzione al giudice ordinario della competenza a conoscere delle controversie instaurate o per ottenere gli importi dovuti (ma in concreto non erogati), ovvero per contrastare l’amministrazione che, servendosi degli istituti della revoca, della decadenza o della risoluzione, abbia ritirato il finanziamento o la sovvenzione sulla scorta di un preteso inadempimento, da parte del beneficiario, degli obblighi impostigli dalla legge, ma anche che l’oggetto del giudizio riguardi la sussistenza o meno del diritto a ottenere o trattenere il finanziamento e non sia limitato alla verifica degli aspetti già presi in esame dal provvedimento amministrativo impugnato.

E proprio in questa prospettiva si sono mosse ambedue le parti, le quali, lungi dal limitarsi a presentare domande funzionali all’accertamento della legittimità o illegittimità del provvedimento di revoca emesso, hanno chiesto l’una (la società attrice) che venisse “accertato e dichiarato che in capo a Fitness Studio di F.T. permangono i requisiti per godere delle agevolazioni di cui in atti” e l’altra (la Regione Friuli-Venezia Giulia) di condannare l’attore al pagamento della somma dovuta in restituzione del finanziamento revocato (si vedano in questo senso le conclusioni rassegnate avanti al Tribunale di Udine e riportate a pag. 2 della sentenza di primo grado).

Venivano quindi in rilievo tutti i presupposti del diritto alla conservazione del finanziamento previsti dalla normativa regionale e non solo quelli espressamente presi in esame nel provvedimento amministrativo di revoca.

5.3 Il terzo motivo di ricorso, per la parte riguardante il provvedimento del primo giudice, risulta in parte inammissibile, in parte infondato.

La doglianza concernente l’omessa valutazione delle prove documentali non evidenzia alcuna criticità in punto di diritto in capo alla decisione impugnata, ma è espressione di un mero dissenso rispetto ad un apprezzamento di fatto che, essendo frutto di una determinazione discrezionale del giudice di merito, non è sindacabile da questa Corte.

Una volta appurato che il giudice ordinario ben poteva accertare la legittimità della revoca in presenza di una qualsiasi delle condizioni di legge, a prescindere dalle constatazioni dell’autorità amministrativa, è sufficiente rilevare, quanto all’ammissiione delle prove testimoniali, che nessuna violazione dell’art. 244 c.p.c. può essere predicata rispetto a un provvedimento che non ha dato ingresso a capitoli privi dei necessari riferimenti temporali e spaziali, visto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la richiesta di provare per testimoni un fatto esige non solo che questo sia dedotto in un capitolo specifico e determinato, ma anche che sia collocato univocamente nel tempo e nello spazio, al duplice scopo di consentire al giudice la valutazione della concludenza della prova ed alla controparte la preparazione di un’adeguata difesa (Cass. 1808/2015). Il Tribunale ha disatteso le richieste istruttorie facendo corretta applicazione di questi principi e spiegando nella sostanza che, a fronte di risultanze documentali ritenute dimostrative della violazione del vincolo di destinazione dell’immobile da una determinata data, non assumeva rilievo una prova orale che, per la sua genericità spazio-temporale, risultava inidonea a superare gli elementi già acquisiti.

5.4 Infine, non si presta a censure l’osservazione del primo giudice secondo cui la modifica dell’attività prevalente dell’impresa (da commerciale a produttiva nella forma di attività artigianale) era incompatibile con il permanere del diritto alla sovvenzione.

Il D.P.Reg. n. 250 del 2002, art. 4 infatti, laddove prevede (al comma 1) che possano “beneficiare” degli incentivi previsti dal regolamento le piccole e medie imprese che “svolgono” l’attività nel settore del commercio, del turismo e dei servizi ed esclude (al comma 7) dal suo ambito applicativo le imprese artigiane, utilizza una terminologia di tenore lato e generale che deve essere intesa come riferita alle condizioni necessarie tanto per il riconoscimento quanto per il mantenimento del diritto.

6. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15% per ciascuno dei controricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2021

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