Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23654 del 27/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/10/2020, (ud. 22/09/2020, dep. 27/10/2020), n.23654

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17899-2018 proposto da:

K.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato LIVIO NERI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE di BRESCIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1635/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 30/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. TERRUSI

FRANCESCO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

K.M., maliano, ricorre per cassazione, con due motivi, illustrati da memoria, avverso la sentenza con la quale la corte d’appello di Brescia ha confermato il diniego di protezione internazionale e umanitaria;

il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I. – col primo mezzo il ricorrente denunzia l’omesso esame di fatto decisivo a proposito della domanda di protezione sussidiaria, stante la mancata valutazione del coinvolgimento e della conseguente uccisione del padre del ricorrente in uno scontro a fuoco tra contrapposte fazioni militari (“berretti verdi” e “berretti rossi”) nel paese di provenienza;

il motivo è inammissibile poichè teso a una rivalutazione dei profili di merito della controversia;

non è vero difatti che la corte d’appello abbia mancato di considerare il fatto storico specificato nel motivo di ricorso: semplicemente ha considerato quel fatto privo di decisività ai fini della domanda di protezione, poichè, da un lato, il ricorrente non era stato coinvolto personalmente nell’episodio narrato, per cui l’episodio non poteva costituire elemento oggettivo tale da giustificare un rischio personale e diretto per la sua incolumità, e poichè, dall’altro, esso (episodio), essendosi verificato secondo il richiedente nel 2012, postulava un’inferenza inattuale, essendo la situazione politica del Mali infine profondamente mutata rispetto a quell’anno, con rinnovato clima politico tale da escludere l’eventualità di una possibile persecuzione;

di tale valutazione, plausibile e logica, il ricorrente si limita a chiedere alfine una mera revisione;

II. – col secondo mezzo è dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, del t.u. imm., artt. 5 e 19, dell’art. 10 Cost., e degli artt. 3 e 8Cedu, in relazione ai presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari: il ricorrente censura la sentenza per aver mancato di effettuare il giudizio di bilanciamento richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte, con particolare riferimento (a) alla pregressa situazione di vulnerabilità in patria, egli essendo stato esposto a un pericolo di vita e avendo assistito all’uccisione del padre e di un amico di famiglia, (b) al trattamento subito in Libia quale paese di transito, (c) ai riconosciuti comprensibili motivi insiti nella condizione di migrante, (d) al livello di integrazione raggiunto in Italia in base ali attestati di svolgimento di corsi di lingua italiana, di corsi per il conseguimento di licenza media, di corsi sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, di corsi di informatica di base, di attività di volontariato presso il comune di Brescia;

il motivo è inammissibile;

ai fini della protezione umanitaria rileva ratione temporis il principio che impone di fondare il giudizio su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale; ciò in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (dopo Cass. n. 4455-18, v. adesso Cass. Sez. U n. 29549-19);

una simile corrispondente valutazione è stata fatta dalla corte d’appello mediante la considerazione che nella regione del Mali, di provenienza del ricorrente, non sussiste (in base alle ufficiali fonti di conoscenza) una situazione di violenza generalizzata e grave, nè una contrapposizione tra gruppi terroristici o altro, e che la partecipazione del richiedente ai corsi di istruzione e l’attività di volontariato in Italia non è pertanto sufficiente ai fini della protezione;

il ricorrente contesta l’esito della valutazione comparativa, insistendo sull’esposizione a pericolo di vita in patria (cosa che la corte del merito ha motivatamente escluso), sul trattamento subito in Libia (paese di transito) in rapporto alla condizione di migrante e sul livello di integrazione raggiunto in Italia;

le ridette censure non sono tuttavia idonee a evidenziare errori di diritto, risolvendosi in un generico tentativo di revisione del giudizio di fatto; in particolare è stata come detto motivatamente esclusa dalla corte d’appello la condizione attuale di violenza generalizzata e grave nel paese di provenienza; il trattamento subito in Libia, paese di transito, è stato dal ricorrente dedotto genericamente, senza cioè specifico riguardo a eventuali conseguenze di ordine personale (sanitario o psicologico) tali da poter rilevare per gravità alla stregua di fattore perdurante di vulnerabilità soggettiva; il livello di integrazione, peraltro attestato dalla mera frequentazione di corsi di apprendimento, è da solo notoriamente insufficiente a fondare una domanda di protezione umanitaria (Cass. Sez. U n. 29549-19 cit.).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2020

 

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