Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23653 del 11/11/2011

Cassazione civile sez. I, 11/11/2011, (ud. 06/10/2011, dep. 11/11/2011), n.23653

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20273-2006 proposto da:

M.I. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30, presso l’avvocato SAMMARCO

ANGELO ALESSANDRO, che lo rappresenta e difende, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BIPIELLE – SOCIETA’ DI GESTIONE DEL CREDITO S.P.A. (C.F.

(OMISSIS)), nella qualità di rappresentante processuale della

BANCA POPOLARE ITALIANA SOC. COOP., già Banca Popolare di Lodi Soc.

Coop. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 3, presso

l’avvocato GIANNI SAVERIO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ZANCHI MICHELE, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 483/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/02/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato PASTACALDI MARCO, con

delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. – Con citazione del 17 giugno 1998, M.I. convenne dinanzi al Tribunale di Milano la Banca popolare di Lodi soc. coop. a r.l. (di seguito: B.P.L.), esponendo che: a) a seguito di istanza del 9 giugno 1995, egli aveva ottenuto dalla B.P.L. un’apertura di credito in conto corrente di un miliardo di lire per la durata di un anno, garantita da pegno sulle quote pari all’ottanta per cento del capitale della s.r.l. Alma Due, appartenenti a lui ed alla moglie P.M.L.; b) egli aveva utilizzato detto finanziamento, nella misura di L. 700.000.000, per l’acquisto di n. 14.250 azioni e di n. 4.000 obbligazioni warrant della s.p.a.

Assicurazioni generali; c) egli, nonostante avesse ordinato alla B.P.L. la vendita di parte di tali titoli, si era visto opporre un rifiuto da parte della Banca, motivato dal fatto che anche su questi titoli era stato costituito il pegno a garanzia della predetta apertura di credito; d) successivamente, in data 15 novembre 1996, la B.P.L. aveva proceduto alla vendita coattiva di detti titoli, utilizzando il ricavato a decurtazione della sua esposizione debitoria.

Tanto esposto, il M. chiese: la dichiarazione di inefficacia della vendita coattiva; la condanna della B.P.L. a consegnargli titoli nella stessa quantità e qualità; la condanna della stessa Banca a risarcirgli i danni, da liquidarsi in separata sede, conseguenti all’ingiustificato impedimento alla movimentazione di detti titoli; la condanna della Banca medesima a risarcirgli i danni nella misura corrispondente alla differenza tra il controvalore dei titoli alla data della sentenza e quello alla data del 15 novembre 1995.

Costituitasi, la B.P.L. contestò la fondatezza di tali domande, sostenendo che il pegno irregolare dei titoli industriali, nella misura di L. 700.000.000, era previsto dagli accordi iniziali stipulati dalle parti con la scrittura del 17 maggio 1995 – sottoscritta dal M., nonchè dalla polizza di pegno del 6 luglio 1995, firmata in bianco dallo stesso M. e successivamente riempita dalla Banca, in conformità con gli accordi, con l’indicazione delle azioni e delle obbligazioni warrant della s.p.a. Assicurazioni generali.

A seguito di tali contestazioni, il M. propose querela di falso avverso la scrittura del 17 maggio 1995, denunciando: l’abusivo riempimento della scrittura, quanto all’indicazione anche dei titoli azionari per L. 700.000.000, quali beni costituiti in pegno; la falsità della data del 17 maggio 1995 e del numero della polizza – n. (OMISSIS) – sostenendo che egli aveva firmato un’unica richiesta di apertura di credito in data 9 giugno 1995 sul modulo n. 727840, con indicazione della costituzione di pegno soltanto sulle quote della s.r.l. Alma Due.

Il Tribunale adito, con la sentenza n. 15736/2003 del 13 maggio 2003, rigettò la querela e tutte le domande del M., ritenendo indimostrata la falsità dei documenti prodotti dalla B.P.L. con riferimento al pegno in contestazione.

2. – Avverso tale sentenza il M. propose appello dinanzi alla Corte d’Appello di Milano, riproponendo le domande e le difese di cui al giudizio di primo grado e chiedendo l’esibizione delle due copie della richiesta di apertura di credito richiamate dal teste N.A..

Nel resistere all’impugnazione, la B.P.L. propose appello incidentale, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità della proposta querela di falso – in quanto il M. aveva dedotto l’abusivo riempimento del foglio firmato in bianco absque pactis e non centra pacta – e la reiezione dell’appello.

La Corte di Milano, con la sentenza n. 483/06 del 24 febbraio 2006, respinse l’appello.

In particolare, per quanto in questa sede ancora rileva, i Giudici a quibus: a) hanno accolto l’appello incidentale proposto dalla B.P.L. in quanto, nella specie, ricorreva l’ipotesi di riempimento di foglio firmato in bianco contra pacta e non absque pactis: infatti, lo stesso M. aveva dedotto che l’asserito riempimento abusivo della scrittura del 19 maggio 1995 si era realizzato con l’aggiunta, alla garanzia della costituzione in pegno delle quote della s.r.l.

Alma Due, della costituzione in pegno anche delle azioni e delle obbligazioni warrant della s.p.a. Assicurazioni generali; b) hanno affermato che, nell’ipotesi di riempimento di foglio firmato in bianco contra pacta e non absque pactis, non v’è materia di querela di falso e che la dimostrazione dell’assunto della non conformità del riempimento ai patti – il cui onere incombe su chi lo deduce – può essere data con qualsiasi mezzo probatorio (vengono richiamate le sentenze della Corte di cassazione nn. 16007 del 2003, 7975 del 2000 e 7664 del 1992); c) hanno affermato altresì che il M. non aveva provato detto assunto sulla base delle seguenti considerazioni: c1) dalle dichiarazioni del teste N. A. – ex dipendente della B.P.L. e, perciò, attendibile, anche perchè escusso molto tempo dopo la cessazione del suo rapporto di lavoro – “si desume che il pegno irregolare di azioni era stato pattuito dalle parti fin dall’inizio del rapporto e, comunque, la piena rispondenza del documento in data 19.5.1995 alle intese delle parti”; c2) la veridicità di tali dichiarazioni testimoniali si desume da rilevanti indizi: in primo luogo, il M. non aveva contestato gli estratti conto inviatigli della B.P.L. nei mesi di agosto e di settembre 1995, nei quali accanto ai titoli della Assicurazioni generali, v’era la dicitura “in garanzia”; in secondo luogo, se fosse vero che la garanzia del fido era costituita dalle sole quote della s.r.l. Alma Due, risulterebbe inspiegabile la sottoscrizione in bianco di un altro modulo di polizza, oltre quello relativo a dette quote, concernente appunto le azioni e le obbligazioni warrant; infine, con la comunicazione interna della B.P.L. nella stessa data del 19 maggio 1995 “si illustra l’operazione in discussione negli stessi termini e alle stesse condizioni di cui alla scrittura contestata”; d) hanno respinto l’istanza di esibizione delle altre due copie della richiesta di fido, formulata dal M., in quanto “La divergenza di numero di pratica è stata adeguatamente spiegata dal teste N. ed è comunque circostanza, nel quadro probatorio complessivo, assai trascurabile”; e) hanno aggiunto che “In ogni caso, eventuali dubbi sul denunciato abusivo riempimento, trattandosi del fatto costitutivo delle domande del M., gioverebbero alla B.P.L. e sarebbero perciò ininfluenti sulla decisione”; f) hanno infine affermato la legittimità del pegno in questione, qualificandolo come pegno di cosa futura e richiamando al riguardo la sentenza della Corte di cassazione n. 8517 del 1998.

3. – Avverso tale sentenza M.I. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di censura.

Resiste, con controricorso, la s.p.a. Bipielle-Società di gestione del credito, quale rappresentante processuale della Banca Popolare Italiana soc. coop. a r.l., già Banca popolare di Lodi soc. coop. a r.l..

MOTIVI DELLA DECISIONE 1. – Con il primo motivo (con cui deduce: “Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”), il ricorrente – premessa la propria ricostruzione dei rapporti intercorsi con la B.P.L. critica la sentenza impugnata, esclusivamente sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo, tra l’altro, che, contrariamente a quanto affermato dai Giudici a quibus: a) il teste N. non è attendibile, essendo caduto in contraddizione durante il suo esame sia quanto all’affermato smarrimento di una delle tre copie del modulo di pegno, sia quanto alla “correzione” del numero di polizza;

b) gli estratti conto dell’agosto e del settembre 1995 furono da lui stesso contestati energicamente; c) le comunicazioni interne tra uffici della B.P.L. non possono far prova nei suoi confronti.

Con il secondo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione della clausola generale di buona fede ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 degli artt. 1358, 1315, 1366 e 1856 cod. civ.. Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”), con il terzo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 dell’art. 1849 cod. civ.. Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”), con il quarto (con cui deduce:

“Violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 dell’art. 1851 cod. civ.. Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia ai sensi dell’ art. 360 c.p.c., n. 5”) e con il quinto motivo (con cui deduce: “Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”) – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione oggettiva – il ricorrente critica ancora la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici a quibus: a) hanno omesso di pronunciarsi o, comunque, di motivare sulla dedotta responsabilità della B.P.L. per contrasto con la clausola generale di buona fede, per aver rifiutato di vendere immediatamente – nonostante le istruzioni impartitele – e per aver invece venduto con un anno di ritardo i titoli azionari ed obbligazionari illegittimamente sottoposti a pegno, così provocandogli un danno da interessi passivi per circa L. 400.000.000; b) hanno omesso di considerare che il rifiuto di procedere alla ordinata vendita dei titoli predetti si pone in contrasto sia con l’art. 1849 cod. civ., il quale prevede che “il contraente, anche prima della scadenza del contratto, possa ritirare in parte i titoli o le merci date in pegno, previo rimborso proporzionale delle somme anticipate”, sia con l’art. 1851 cod. civ.;

c) hanno infine omesso di considerare che, alla fattispecie, non è applicabile l’istituto del pegno di cosa futura, il quale presuppone – a differenza di quanto avvenuto nella specie – che la cosa oggetto di pegno sia stata già individuata nella sua natura, specie e quantità, mentre nella specie, al momento della costituzione della garanzia, il ricorrente non aveva ancora deciso quali e quanti titoli avrebbe acquistato.

2. – Il ricorso non merita accoglimento: il primo ed il quinto motivo sono inammissibili, mentre i motivi dal secondo al quarto sono infondati.

2.1. – Il primo motivo – con il quale si deducono esclusivamente vizi di motivazione della sentenza impugnata – è inammissibile, perchè con esso si prospettano, in realtà, una ricostruzione dei rapporti intercorsi tra il ricorrente e la B.P.L. ed una valutazione delle risultanze probatorie meramente difformi da quelle operate dai Giudici dell’appello, e volte a sostenere che, nella specie – contrariamente a quanto ritenuto dagli stessi Giudici – v’era materia deducibile con la querela di falso, in quanto il denunciato riempimento abusivo della scrittura firmata in bianco con l’aggiunta della costituzione in pegno anche dei titoli azionari della s.p.a.

Assicurazioni generali, era stato realizzato dalla B.P.L. in assenza di previe pattuizioni in tal senso.

E’ noto che, secondo il costante orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, non potendo invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame dei fatti e la valutazione delle prove operati dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., ex plurimis e tra le ultime, le sentenze nn. 6288 del 2011 e 27162 del 2009).

Nella specie, i Giudici a quibus hanno affermato l’esistenza di patti conclusi dalle parti volti a comprendere nella garanzia pignoratizia, oltre alle quote della s.r.l. Alma Due, anche i predetti titoli azionari della s.p.a. Assicurazioni generali, strutturando la motivazione al riguardo sulla base dell’esame e della valutazione di una prova diretta – la deposizione del teste N.A., giudicato attendibile con motivazione espressa e specifica – e di specifici plurimi riscontri indiziari a supporto della ritenuta veridicità dei contenuti di tale deposizione.

Ciò posto, le critiche mosse dal M. a tale motivazione sono – alla luce dei principi giurisprudenziali dianzi richiamati – inammissibili: in primo luogo, perchè il motivo manca di autosufficienza, nella parte in cui tali critiche sono indirizzate ai contenuti della deposizione testimoniale di N.A., delle dichiarazioni del quale vengono riprodotti soltanto alcuni stralci e non la verbalizzazione integrale, ciò tanto più in quanto la maggiore critica che viene mossa alla motivazione su tale deposizione sta nel rilievo che la Corte di Milano avrebbe ingiustamente ritenuto attendibile il teste nonostante le contraddizioni in cui sarebbe caduto durante il suo esame; in secondo luogo, perchè il motivo è stato strutturato mediante una premessa – che prospetta una ricostruzione dello svolgimento del rapporto M. – B.P.L. radicalmente difforme da quella operata dai Giudici a quibus – alla quale seguono le critiche alla sentenza impugnata, laddove la motivazione non collima con detta ricostruzione. E’, dunque, evidente che, con il motivo in esame, il ricorrente, lungi dal denunciare omissioni o insufficienze della motivazione della sentenza impugnata, opera una nuova e diversa valutazione degli elementi probatori in modo a se favorevole – favorevole cioè alla sussistenza dell’abusivo riempimento del foglio firmato in bianco -, pretendendone inammissibilmente l’avallo di questa Corte.

2.2. – Quanto al secondo, terzo e quarto motivo del ricorso, deve essere preliminarmente rigettata l’eccezione, sollevata dal contro ricorrente, di inammissibilità di tali motivi – per essere stati conclusi con la formulazione del quesito di diritto di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., inapplicabile alla specie ratione temporis, la sentenza impugnata essendo stata pubblicata in data 24 febbraio 2006, anteriore all’entrata in vigore (2 marzo 2006) del citato articolo -, in quanto detta formulazione, in presenza di una norma che non ancora la imponeva a pena di inammissibilità, deve considerarsi effettuata ad abundantiam e, perciò, tamquam non esset.

Tuttavia, gli stessi motivi sono infondati.

Dai nn. 2, 3 e 4 delle conclusioni definitive trascritte nell’epigrafe della sentenza impugnata, risulta che il M. ha chiesto: “2) Conseguentemente dichiarare in via principale la Banca Popolare di Lodi responsabile della vendita coatta di n. 14250 azioni e di n. 4000 warrant della Soc. Assicurazioni generali SpA di proprietà dell’attore condannando la convenuta alla restituzione del “tantundem eiusdem generis et qualitatis”, in ragione della nullità della predetta vendita coatta; 3) Dichiararsi, sempre di conseguenza ed in via principale, tenuta e, quindi, condannarsi la Banca convenuta al risarcimento di tutti i danni patiti e patiendi dall’attore sia per fatto illecito ex art. 2043 c.c. per l’accertata falsità di cui sub 1, sia per inadempimento contrattuale consistente nell’aver impedito (lucro cessante) la movimentazione dei titoli in costanza del fido concesso ovverosia nell’impossibilità di utilizzo ex art. 1843 c.c., comma 1 etc. del fido concesso ai fini dell’operatività sul mercato mobiliare della borsa valori, unico scopo del finanziamento de quo, danni da determinarsi in separata sede, con gli interessi di legge e la rivalutazione monetaria; 4) In subordine, nel caso di mancata consegna dei titoli sopra specificati, condannare la convenuta a risarcire comunque il danno emergente da quantificare nel plusvalore verificatosi sul mercato mobiliare, con riferimento alle suddette azioni dal 15.11.1995 (vendita coatta) alla data della decisione Orbene, la ratio decidendi della sentenza impugnata sta in ciò, che la Corte di Milano ha innanzitutto affermato che, nella specie, trattandosi – secondo quanto dedotto dallo stesso odierno ricorrente – di ipotesi di riempimento di foglio firmato in bianco contra pacta e non absque pactis, manca l’oggetto della querela di falso ed ha perciò accolto l’appello incidentale della B.P.L. che aveva chiesto di dichiarare inammissibile la querela riproposta dal M. con la prima domanda delle conclusioni definitive – “1) Riconoscere e dichiarare come falso e pertanto nullo e di nessun giuridico effetto il contenuto del documento impugnato …” -, ed ha poi escluso, nel merito, che detto riempimento fosse stato effettuato contra pacta, aggiungendo che, “In ogni caso, eventuali dubbi sul denunciato abusivo riempimento, trattandosi del fatto costitutivo delle domande del M., gioverebbero alla B.P.L. e sarebbero perciò inlnfluenti sulla decisione”.

Da ciò consegue che i Giudici a quibus – escluso il denunciato riempimento abusivo, ribadita la legittimità della garanzia qualificata come pegno di cosa futura, e sottolineato che il “denunciato riempimento abusivo” rappresenta il “fatto costitutivo delle domande del M.” – hanno, implicitamente ma esattamente, ritenuto assorbite tutte le su riportate domande del M., in quanto proposte soltanto o in via consequenziale “alla dichiarata falsità e nullità del documento impugnato” e “per l’accertata falsità di cui sub 1” (domande sub 2 e sub 3) , o in via condizionata alla mancata riconsegna dei titoli (domanda sub 4). In altri termini, i giudici dell’appello, esclusa la responsabilità della B.P.L. quanto alla costituzione del pegno (anche) sui predetti titoli azionari e obbligazionari acquistati dal M., ne hanno fatto conseguire la legittimità sia del rifiuto opposto dalla Banca alla richiesta di quest’ultimo di vendita degli stessi titoli sia della successiva vendita coattiva.

2.3. – Quanto al quinto motivo – con il quale si deducono esclusivamente vizi della motivazione in ordine alla omessa considerazione che, alla fattispecie, non è applicabile l’istituto del pegno di cosa futura, il quale presuppone, a differenza di quanto avvenuto nella specie, che la cosa oggetto di pegno sia stata già individuata nella sua natura, specie e quantità, mentre nella specie, al momento della costituzione della garanzia, il ricorrente non aveva ancora deciso quali e quanti titoli avrebbe acquistato -, lo stesso è inammissibile, perchè esso denuncia, in realtà, la falsa applicazione dell’istituto del pegno di cosa futura ad una fattispecie concreta estranea a tale istituto, sicchè avrebbe dovuto essere dedotto come erronea applicazione di norme di diritto.

3. – Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 6 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2011

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