Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23652 del 10/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 10/10/2017, (ud. 20/04/2017, dep.10/10/2017),  n. 23652

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. DELL�UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24993-2014 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE QUATTRO

FONTANE 161, presso lo studio dell’avvocato PAOLO QUATTROCCHI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO PAOLO TOLA

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.L.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.L.

LAGRANGE 1, presso lo studio dell’avvocato PIETRO GOLISANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI BATTISTA FUMAROLA

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

T.M.T.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2266/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/04/2017 dal Consigliere Dott. 4 GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione notificato il 10 maggio 2007, P.L.E. ha evocato in giudizio, davanti al Tribunale di Milano, S.G. e T.M.T. deducendo che il primo si era spogliato in favore della seconda del suo unico cespite immobiliare, così pregiudicando le ragioni creditorie dell’attore. Quest’ultimo, infatti, in precedenza, con atto dell’8 ottobre 2002, aveva introdotto un procedimento arbitrale deducendo che in data 28 ottobre 2001 le parti del giudizio, unitamente ad altri soci della S.p.A. ICG, si erano accordate per definire i rapporti sociali e rispetto a tale impegno le controparti erano rimaste inadempienti. Il collegio arbitrale, con decisione del 10 dicembre 2004, aveva dichiarato tenuti, S.G. e altri a corrispondere in favore di P. la somma di Euro 465.000. Sulla base di tali premesse P. aveva richiesto la dichiarazione di nullità o comunque, la revocazione, ai sensi dell’art. 2901 c.c., dell’atto del 25 giugno 2003 con il quale S. aveva trasferito alla T. l’usufrutto di una villa con piscina sita nel comune di (OMISSIS), bene del quale la T. era già titolare della nuda proprietà, dando atto che l’importo di Euro 182.850 risultava già ricevuto dalla T., che rilasciava quietanza liberatoria, mentre il S. si riservava il diritto di abitare nell’immobile;

con sentenza del 14 febbraio 2011 il Tribunale di Milano, in accoglimento della domanda subordinata proposta all’attore, dichiarava inefficace l’atto del 25 giugno 2003 nei confronti di P., ai sensi dell’art. 2901 c.c.;

avverso tale decisione proponevano appello, sia S., con atto di citazione del 30 maggio 2011, sia la T., con atto datato 1 giugno 2011 e riunite le cause, la Corte d’Appello, con sentenza depositata il 17 giugno 2014, respingeva gli atti d’impugnazione condannando gli appellanti in solido al pagamento delle spese di lite;

contro tale decisione propone ricorso per cassazione S.G. sulla base di tre motivi. Resiste in giudizio P.L. con controricorso ed entrambe le parti depositano memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, rilevando che contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la contestazione formulata da controparte con la memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1 non poteva ritenersi specifica, per essersi il creditore limitato a contestare che “il signor S. avrebbe tratto liquidità per effettuare parziali pagamenti all’attore, proprio dal corrispettivo della cessione di usufrutto cui è causa”. Tale dichiarazione non costituisce contestazione in ordine alla circostanza specifica del pagamento dell’importo complessivo di Euro 154.000, versato attraverso consegna della somma di Euro 77.000 nel novembre 2003 e dell’importo di Euro 77.000 nel novembre 2004. Pertanto la contestazione risultava generica e riferita ad un fatto diverso rispetto alla circostanza che la cessione della nuda proprietà costituiva lo strumento per reperire le somme necessarie ad estinguere parzialmente la debitoria. Analogamente risulta tardiva e generica la contestazione contenuta nella successiva memoria, ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 3 in cui P. si limita a dedurre che “spettava a controparte la piena prova delle proprie affermazioni… ivi comprese quelle inerenti ad ipotetici pagamenti”;

la censura è infondata. Poichè nel ricorso per cassazione è denunciato il profilo relativo alla specificità dell’eccezione il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda (Sez. 6 – 3, Sentenza n. 25308 del 28/11/2014 (Rv. 633637 – 01). Nel caso di specie l’attore ha allegato il proprio credito, senza decurtare eventuali pagamenti parziali. In sostanza, P. ha implicitamente allegato ed escluso la sussistenza di pagamenti parziali, deducendo di essere creditore dell’intero importo, con la conseguenza che non ricorreva un ulteriore onere di contestazione ex art. 115 c.p.c.;

con il secondo motivo lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, costituito dalla mancanza di risorse diverse da quelle ottenute con la cessione del diritto di usufrutto, al fine di effettuare pagamenti in favore del creditore. La Corte territoriale non ha preso in esame la circostanza di fatto, provata in giudizio dal S., che le risorse utilizzate per il pagamento in favore del P. erano riferibili solo all’atto impugnato, tenuto conto dell’assenza di altre fonti di reddito (estratti conto della T., prestito ricevuto dal fratello di questa, T.G., pagamento effettuato da questi alla T. e da quest’ultima in favore di S., tutti documentati);

la questione è superata ed assorbita dal rigetto del motivo precedente;

con il terzo motivo deduce nullità della sentenza per omessa pronunzia sul motivo di appello relativo alla condanna di S. e della T. al pagamento delle spese di lite, in relazione all’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4. Il ricorrente aveva impugnato la sentenza di primo grado, anche con riferimento alla condanna, in solido, al pagamento delle spese. Il primo giudice aveva applicato il criterio della soccombenza senza considerare che la domanda principale di P., tesa alla dichiarazione di nullità o invalidità dell’atto di compravendita, non era stata accolta, mentre il Tribunale aveva pronunziato sulla domanda subordinata d’inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c. e tale profilo avrebbe costituito l’ipotesi di reciproca soccombenza che avrebbe potuto giustificare la compensazione delle spese, almeno parziale;

il motivo è fondato, attesa la mancata pronuncia della Corte territoriale sul motivo di appello con il quale S. aveva impugnato la decisione del Tribunale anche con riferimento alla condanna, in solido, al pagamento delle spese per avere omesso di valutare che la domanda principale di P., di nullità o invalidità dell’atto di compravendita, non era stata accolta. Poichè non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto la Corte nel decidere nel merito ex art. 384 c.p.c. rigetta il motivo di appello poichè rispetto all’accoglimento della domanda subordinata revocatoria l’appellante è comunque soccombente, pertanto la decisione del Tribunale appare corretta sul punto. Non risulta, quindi, violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (Sez. 5 -, Ordinanza n. 8421 del 31/03/2017, Rv. 643477 – 02);

ne consegue che il ricorso deve essere accolto in relazione al terzo motivo e, decidendo nel merito, il motivo di appello deve essere rigettato, con condanna di S. e T., in solido tra loro, al pagamento spese del giudizio di appello, nella misura già determinata dalla corte territoriale e del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo, a carico del solo ricorrente S..

PQM

 

La Corte accoglie terzo motivo, rigetta il primo e secondo motivo di ricorso;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito rigetta il motivo di appello relativo alle spese e condanna S. al pagamento delle spese in favore di P., liquidandole in Euro 12.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2017

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