Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23651 del 21/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 21/11/2016, (ud. 22/09/2016, dep. 21/11/2016), n.23651

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29233/2011 proposto da:

MINISTERO DIFESA, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– ricorrente –

contro

B.A.M.R., C.F. (OMISSIS), G.R. C.F.

(OMISSIS), P.A. C.F. (OMISSIS), GR.MA. C.F.

(OMISSIS), M.M.A. C.F. (OMISSIS), PA.LU. C.F.

(OMISSIS), PA.FR. C.F. (OMISSIS), MO.DO. C.F.

(OMISSIS), R.L. C.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliate

in ROMA, VIA DI PIETRALATA 320-D, presso lo studio dell’avvocato

GIGLIOLA MAZZA RICCI, che le rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ALBERTO GUARISO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

PE.PA.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 117/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/02/2011 r.g.n. 2078/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2016 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – La Corte di Appello di Milano ha respinto l’appello proposto dal Ministero della Difesa avverso la sentenza del Tribunale di Pavia che aveva accolto le domande degli attua(i controricorrenti, tutti ex dipendenti della s.r.l. Il Torrione e condannato il Ministero, quale obbligato solidale del D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 29, al pagamento delle somme dovute ai lavoratori a titolo di retribuzione del mese di giugno 2007, TFR e competenze di fine rapporto.

2 – La Corte territoriale, respinta l’eccezione di incompetenza funzionale e territoriale, ha ritenuto la applicabilità alle pubbliche amministrazioni del richiamato art. 29 ed ha rilevato che il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 1, comma 2, deve essere interpretato tenendo conto dei limiti fissati dall’art. 6 della legge delega, che escludeva la applicazione non “alle pubbliche amministrazioni oggettivamente intese ma solo in quanto datori di lavoro nei rapporti con i dipendenti”. Ha poi aggiunto che essendo il Ministero un obbligato solidale non trova applicazione alla fattispecie il divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione contenuto nella L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 22.

3 – Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero della Difesa sulla base di un unico motivo. B.A.M.R. e gli altri litisconsorti indicati in epigrafe hanno resistito con tempestivo controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Il ricorso denuncia con un unico motivo “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2 e della L. n. 30 del 2003, art. 6”. Sostiene il Ministero che l’art. 29, nella parte in cui prevede la responsabilità solidale del committente imprenditore o datore di lavoro, è applicabile al solo “contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’art. 1655 c.c.” al quale fa riferimento il comma 1 della stessa disposizione. Aggiunge che l’art. 1, comma 2, del D.Lgs. è chiaro nell’escludere la applicabilità alle pubbliche amministrazioni dell’intera disciplina dettata dal testo normativo e, quindi, non consente di limitare la esclusione ai soli casi in cui gli enti rivestano il ruolo di datore di lavoro. Precisa, infine, che la ratio dell’art. 29 è quella di indurre gli imprenditori privati ad una maggiore ponderazione nella scelta della impresa cui affidare l’esecuzione di lavori o servizi e detta finalità per gli appalti pubblici è assicurata dalla normativa specifica di settore.

2 – E’ infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa dei controricorrenti.

Nel giudizio di legittimità, infatti, è preclusa la proposizione di nuove questioni di diritto solo quando esse presuppongano o comunque richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto, mentre deve ritenersi consentito dedurre per la prima volta in tale sede questioni di diritto che lascino immutati i termini, in fatto, della controversia così come accertati e considerati dal giudice del merito (Cass. 14.10.2005 n. 20005).

3 – Il ricorso è fondato.

Questa Corte con sentenza n. 15432 del 7 luglio 2014 ha ritenuto la inapplicabilità del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, ai contratti di appalto stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni ed il principio di diritto è stato poi ribadito, in motivazione, dalle recenti sentenze 23.5.2016 n. 10664 e 24.5.2016 n. 10731, con le quali, peraltro, si è escluso che detto principio potesse essere esteso anche alle società di diritto privato tenute al rispetto della procedura di evidenza pubblica e si è precisato che la inapplicabilità agli enti pubblici della responsabilità solidale discende direttamente dalla espressa previsione contenuta nell’art. 1, comma 2, del richiamato decreto e non dalla assoggettabilità dell’appalto alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 163 del 2006 e dal D.P.R. n. 207 del 2010 (oggi sostituiti dal D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50), di per sè non incompatibile con quanto disposto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29.

Il Collegio intende dare continuità a detto orientamento, poichè gli argomenti utilizzati dalla Corte territoriale a sostegno della diversa opzione esegetica non sono condivisibili.

3.1 – Del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 1, nel prevedere che “il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale” è chiaro nell’individuare il destinatario della esclusione, riferita all’intero decreto, innanzitutto nell’ente pubblico.

Non si può sostenere, come sostenuto da parte della giurisprudenza di merito, che i due termini distinti inseriti dell’art. 1, comma 2, costituirebbero “un’endiadi” in quanto il legislatore delegato, conformandosi a quanto previsto dalla L. n. 30 del 2003, art. 6, avrebbe solo voluto impedire “al personale delle pubbliche amministrazioni” l’utilizzo delle nuove tipologie contrattuali.

La esegesi prospettata contrasta con il chiaro tenore letterale della norma che, nell’affermare la inapplicabilità della normativa dettata dal decreto, sia alle pubbliche amministrazioni che al loro personale, non fa altro che recepire e rendere più esplicita la indicazione data dal legislatore delegante, il quale aveva previsto con il richiamato art. 6 che “le disposizioni degli artt. da 1 a 5 non si applicano al personale delle pubbliche amministrazioni ove non siano espressamente richiamate”.

Se si scorrono i principi dettati dagli articoli richiamati nella disposizione ci si avvede che solo alcuni di essi possono essere propriamente riferiti al “personale”, perchè attinenti a rapporti di lavoro già instaurati, mentre per quelli relativi alle tipologie di lavoro flessibile, alla loro disciplina, agli obblighi posti a carico del datore di lavoro (effettivo o apparente) la esclusione deve necessariamente essere riferita al soggetto non legittimato alla conclusione del contratto, che precede la instaurazione del rapporto di dipendenza o di collaborazione, o al contraente a carico del quale l’obbligo viene posto ed è, quindi, improprio esprimere la stessa facendo riferimento al “personale”.

Non sussiste, pertanto, alcun contrasto fra l’art. 1, comma 2, del D.Lgs. e la legge delega, perchè il primo, in realtà, si limita ad esplicitare ciò che era già contenuto nella L. n. 30 del 2003, art. 6.

3.2 – Osserva, inoltre, il Collegio che il richiamo alla legge delega può orientare l’interprete nella esegesi di una norma che sia formulata in termini non chiari, ma non consente di attribuire alla stessa un significato che si ponga in aperto contrasto con il tenore letterale della disposizione da interpretare.

In tal caso, infatti, la non coincidenza fra la legge delega ed il decreto legislativo delegato deve essere denunciata dinanzi alla Corte Costituzionale per violazione dell’art. 76 Cost., violazione che, peraltro, il Collegio ritiene non ravvisabile nella fattispecie, sia per le ragioni esposte al punto che precede, sia sulla base degli argomenti già indicati da questa Corte nella sentenza n. 15432 del 2014.

Con la richiamata pronuncia si è osservato che il vizio di eccesso di delega riguarda esclusivamente i rapporti fra legge delegante e decreto legislativo delegato, sicchè viene meno nei casi in cui il legislatore, intervenendo nuovamente sul testo normativo, trasformi la natura della norma da legge in senso materiale a legge in senso formale, affrancandola dal vizio di eccesso di delega.

Si è, quindi, precisato, attraverso il richiamo alla ordinanza della Corte Costituzionale n. 5 del 2013, che la disciplina della responsabilità solidale del committente, dettata dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, è stata oggetto di plurimi interventi del legislatore, successivi ed estranei al rapporto di delegazione, che hanno fatto venire meno, in relazione alla disciplina applicabile ratione temporis alla fattispecie, ogni rilevanza dell’eventuale vizio originario.

Non rileva, poi, che detti interventi non abbiano interessato la norma che qui viene in rilievo, ossia il comma 2 dell’art. 1, bensì l’art. 29 ed altre disposizioni del D.Lgs..

In merito osserva il Collegio che l’art. 1, in quanto norma generale di esclusione della applicabilità alla pubblica amministrazione dell’intera disciplina contenuta nel decreto, salve le espresse eccezioni, è parte integrante della normativa di ogni singolo istituto, sicchè l’intervento legislativo che riguardi una determinata tipologia contrattuale, lasciando inalterata la predetta esclusione, determina anche rispetto a quest’ultima gli effetti sopra indicati in relazione al rapporto di delegazione.

3.3 – Una volta escluso che dell’art. 1, comma 2 del D.Lgs., possa essere interpretato nei termini indicati dalla Corte territoriale, è sufficiente il richiamo alla norma generale per affermare la inapplicabilità alle pubbliche amministrazioni della responsabilità solidale del committente prevista dell’art. 29, dal comma 2.

Alle medesime conclusioni, comunque, si giunge esaminando la disciplina dettata dalla norma in commento, poichè, come osservato dal ricorrente, non può essere valorizzata l’assenza dell’art. 29, nel comma 2, di qualsivoglia richiamo alla natura privata dell’appalto.

Va detto, infatti, che il comma 1 richiama con chiarezza il contratto di appalto, come disciplinato dal codice civile, e che il comma 3 bis, relativo alla costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze del committente, non è applicabile agli enti pubblici.

Orbene anche la disposizione da ultimo richiamata, di sicuro non invocabile nei confronti della pubblica amministrazione, si riferisce genericamente al “contratto di appalto” e ciò priva di spessore la valorizzazione dell’elemento letterale nella interpretazione del comma 2, posto che nella esegesi di una disciplina normativa unitaria non è corretto estrapolare dall’intero contesto una parte della disposizione, valutandola senza tener conto del tenore degli altri commi che compongono la norma oggetto di interpretazione.

3.4 – Osserva poi il Collegio che del D.L. 28 giugno 2013, n. 76, art. 9, convertito dalla L. 9 agosto 2013, n. 99, ha previsto che “Le disposizioni di cui del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 29, comma 2 e successive modificazioni, trovano applicazione anche in relazione ai compensi e agli obblighi di natura previdenziale e assicurativa nei confronti dei lavoratori con contratto di lavoro autonomo. Le medesime disposizioni non trovano applicazione in relazione ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2. Le disposizioni dei contratti collettivi di cui al D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 29, comma 2 e successive modificazioni, hanno effetto esclusivamente in relazione ai trattamenti retributivi dovuti ai lavoratori impiegati nell’appalto con esclusione di qualsiasi effetto in relazione ai contributi previdenziali e assicurativi”.

Questa Corte, pur escludendo la retroattività della disposizione in parola, ha ritenuto di poterla utilizzare a fini interpretativi e dalla stessa ha tratto conferma della esattezza della esegesi data al testo normativo vigente in epoca antecedente alla entrata in vigore della nuova disposizione.

Anche dette conclusioni sono condivisibili.

E’ noto che la legge può essere qualificata di interpretazione autentica, a prescindere dai lavori preparatori e dal titolo del testo normativo, quando la legge medesima sia rivolta ad imporre con efficacia retroattiva una data interpretazione di una precedente norma, sicchè la stessa non può essere suscettibile di applicazione autonoma, dovendosi necessariamente integrare con la norma interpretata, nel senso che la disciplina da applicarsi ai singoli casi concreti deve essere desunta da quest’ultima e dalla norma interpretativa.

Il carattere interpretativo autentico può essere riconosciuto solo qualora, analizzando il contenuto della norma, si individuino: da un lato l’indicazione di una data esegesi di una disposizione antecedente cui la norma si ricollega; dall’altro un precetto con il quale il legislatore impone la interpretazione, escludendone ogni altra, non solo per il futuro ma anche per il passato, e privando, in tal modo, l’interprete della possibilità di pervenire ad una diversa conclusione quanto al significato da attribuire alla norma interpretata.

Non vi è dubbio che nella fattispecie non ricorrano detti indispensabili requisiti, poichè il tenore della nuova disposizione, con la quale il legislatore ha espressamente previsto la inapplicabilità dell’art. 29 agli appalti stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, non consente di affermare che l’intervento sia stato finalizzato anche ad imporre una interpretazione della normativa previgente, con efficacia retroattiva.

Tuttavia non può per ciò solo affermarsi il carattere innovativo della disposizione giacchè il legislatore può anche formulare in modo più chiaro ed appropriato una norma preesistente, dettando una nuova disciplina che provveda a regolare per il futuro la materia attraverso precetti non dissimili da quelli previgenti. Parimenti non è impedita al legislatore la produzione di una norma che, sia pure senza vincolare per il passato l’interprete e senza fare esplicito riferimento alla esegesi di una data disposizione, “produca fra le sue conseguenze, in virtù dell’unità ed organicità dell’ordinamento giuridico, anche quella di chiarire il significato di detta disposizione..” (Cass. 29.7.1974 n. 2289).

In altri termini il legislatore, a fronte di incertezze interpretative, può emanare una nuova normativa che abbia la finalità di rendere esplicito il precetto già desumibile dalla disciplina previgente, senza, però, imporre la interpretazione per il passato e, quindi, senza conferire retroattività alla norma.

Una disposizione siffatta, in quanto destinata ad essere vincolante solo per il futuro, non esclude la possibilità per l’interprete di dare alla norma previgente una diversa interpretazione e, quindi, risulta senz’altro rispettosa del precetto dettato dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, perchè “non interferisce nella amministrazione della giustizia con il proposito di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia” e fa salvi il principio della preminenza del diritto e la nozione di equo processo.

Peraltro la disposizione medesima, proprio per le finalità che l’hanno ispirata, desumibili nella specie anche dai lavori preparatori, ben può essere valutata dall’interprete, che dalla stessa può trarre la conferma della correttezza della esegesi data alla normativa, a condizione che detta esegesi riposi innanzitutto sul dato normativo previgente.

In sintesi, ferma restando la irretroattività della normativa, non è impedito all’interprete, all’esito di una comparazione fra il quadro normativo previgente e quello modificato, escludere il carattere innovativo della disposizione e ritenere che il precetto, reso esplicito, fosse già desumibile dalla norma preesistente (in tal senso in motivazione Cass. S.U. n. 18353/2014 che ha attribuito “valenza confermativa e chiarificatrice” alla L. n. 92 del 2012, nella parte in cui, modificando della L. n. 300 del 1970, art. 18, ha ricollegato all’esercizio dell’opzione la estinzione del rapporto di lavoro).

3.6 – Infine la estensione anche agli appalti stipulati dalla pubblica amministrazione della responsabilità solidale del committente non può essere affermata facendo leva sulla necessità di assicurare al lavoratore impegnato nella esecuzione di un appalto pubblico la medesima tutela riconosciuta per gli appalti privati.

Vanno, infatti, considerate le peculiarità proprie delle due situazioni a confronto che giustificano senz’altro la diversità delle discipline, dettate al fine di contemperare, in ciascun ambito, i diversi interessi che vengono in rilievo.

Invero mentre nell’appalto privato il committente non incontra alcun limite nella scelta del contraente e, quindi, potrebbe essere indotto ad affidare i lavori all’impresa che richieda il corrispettivo più basso e che perciò non offra alcuna garanzia dell’esatto adempimento delle obbligazioni assunte con le maestranze impegnate nell’appalto, nelle procedure di evidenza pubblica la tutela dei lavoratori è assicurata sin dal momento della scelta del contraente, poichè nella valutazione delle offerte “gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro ed al costo relativo alla sicurezza…” (D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 86) e ad effettuare controlli preventivi volti ad accertare non solo la solidità del concorrente ma anche il rispetto da parte dello stesso della normativa in materia di sicurezza, degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, degli adempimenti previdenziali ed assistenziali (D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 38).

Inoltre, come già evidenziato da questa Corte nella sentenza n. 15432/2014, alla cui motivazione si fa rinvio per la trattazione analitica di detti aspetti, anche nel corso della esecuzione dell’appalto la stazione appaltante è tenuta a verificare l’esattezza dell’adempimento degli obblighi assunti dall’appaltatore nei confronti dei prestatori e, in caso di esito negativo della verifica, può attivare l’intervento sostitutivo, detraendo il relativo importo dalle somme dovute all’esecutore del contratto.

Si tratta, quindi, di un complesso articolato di tutele volte tutte ad assicurare il rispetto dei diritti dei lavoratori, tutele che difettano nell’appalto privato, e che compensano la mancata previsione per gli appalti pubblici della responsabilità solidale prevista dal D.Lgs n. 276 del 2003, art. 29, non applicabile alla pubblica amministrazione perchè in contrasto con il principio generale (oggi rafforzato dal nuovo testo dell’art. 81 Cost., che affida alla legge ordinaria il compito di fissare “i criteri volti ad assicurare l’equilibrio fra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni”) in forza del quale gli enti pubblici sono tenuti a predeterminare la spesa e, quindi, non possono sottoscrivere contratti che li espongano ad esborsi non previamente preventivati e deliberati.

Mentre l’intervento sostitutivo di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, al pari della responsabilità prevista dall’art. 1676 c.c., applicabile anche alle pubbliche amministrazioni, opera nei limiti di quanto è dovuto dal committente all’appaltatore, l’art. 29, comporta la responsabilità dell’appaltante anche nella ipotesi in cui lo stesso abbia già adempiuto per intero la sua obbligazione nei confronti dell’appaltatore. E’ evidente che detta responsabilità non possa essere estesa alle pubbliche amministrazioni in relazione alle quali vengono in rilievo interessi di carattere generale che sarebbero frustrati ove si consentisse la lievitazione del costo dell’opera pubblica quale conseguenza dell’inadempimento dell’appaltatore.

La diversità delle situazioni a confronto e degli interessi che in ciascuna vengono in rilievo giustifica, quindi, la diversa disciplina e rende manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, prospettata dalla difesa del controricorrente in relazione all’art. 3 Cost..

3.7 – Non è pertinente il richiamo contenuto nella memoria ex art. 378 c.p.c. all’art. 8 della direttiva 2009/52/CE del 18 giugno 2009, che introduce norme minime relative a sanzioni ed a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, sia perchè la disposizione si riferisce al subappalto, sia perchè la stessa, finalizzata a reprimere l’immigrazione illegale, ha carattere sanzionatorio, desumibile dal secondo e dal terzo comma nei quali si richiede la conoscenza della irregolarità da parte dell’appaltante e si precisa che “l’appaltante che ha adempiuto ai suoi obblighi con la debita diligenza come previsto dalla legislazione nazionale non è ritenuto responsabile ai sensi dei paragrafi 1 e 2”.

4 – La sentenza impugnata va, pertanto, cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che provvederà ad un nuovo esame attenendosi al principio di diritto di seguito enunciato “ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 1, comma 2, non è applicabile alle pubbliche amministrazioni la responsabilità solidale prevista dall’art. 29, comma 2, del richiamato decreto. Del D.L. n. 76 del 2013, art. 9, nella parte in cui prevede la inapplicabilità dell’art. 29 ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, non ha carattere di norma di interpretazione autentica, dotata di efficacia retroattiva, ma lo stesso non ha innovato il quadro normativo previgente, avendo solo esplicitato un precetto già desumibile dal testo originario del richiamato art. 29 e dalle successive integrazioni”.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2016

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