Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23649 del 21/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 21/11/2016, (ud. 22/09/2016, dep. 21/11/2016), n.23649

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12919/2011 proposto da:

D.E., (OMISSIS), B.A.G. (OMISSIS),

P.G. (OMISSIS), N.M.C. (OMISSIS), M.F.

(OMISSIS), MO.FR. (OMISSIS), I.B. (OMISSIS),

G.R.A. (OMISSIS), tutti domiciliati in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dagli avvocati GIANFRANCO TINTO e MASSIMO

URSO, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

UNIVERSITA’ DELLA CALABRIA, C.F. (OMISSIS), in persona del Rettore

pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che arappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 575/2010 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 04/05/2010 r.g.n. 1515/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2O16 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – La Corte di Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del Tribunale di Cosenza, ha respinto le domande proposte dagli attuali ricorrenti i quali, nel convenire in giudizio l’Università della Calabria, avevano chiesto l’accertamento del diritto ad essere inquadrati, a decorrere dal 9 agosto 2000, nella posizione economica D1, previa dichiarazione di nullità dell’art. 74 del CCNL Comparto Università per il quadriennio 1998/2001.

2 – La Corte territoriale, richiamando la giurisprudenza di legittimità formatasi in fattispecie analoghe, ha osservato che la classificazione professionale dei lavoratori è riservata alla contrattazione collettiva e non può essere sindacata dal giudice ordinario. Ha aggiunto che del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, non costituisce parametro per giudicare la legittimità di differenziazioni operate dalle parti collettive e che non è arbitrario ed irragionevole operare l’inquadramento differenziando le posizioni sulla base del titolo di studio posseduto e delle modalità di accesso alla qualifica.

3 – Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i ricorrenti indicati in epigrafe sulla base di tre motivi. L’Università della Calabria ha resistito con tempestivo controricorso.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione della sentenza in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1- Con il primo motivo, rubricato “violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3: mancata applicazione da parte del giudice del rinvio del principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 14873/04”, i ricorrenti eccepiscono la nullità della sentenza impugnata, che sarebbe derivata dalla erronea dichiarazione della loro contumacia. Asseriscono di essersi costituiti in appello con atto depositato il 30 settembre 2008 e di avere eccepito nella memoria la inammissibilità dell’impugnazione per mancanza di specificità dei motivi di gravame. L’errore commesso nella dichiarazione di contumacia avrebbe, quindi, inciso sulla decisione, considerata la essenziale rilevanza delle deduzioni difensive.

1.2 – Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, prospettato dalle parti e rilevabile d’ufficio”. Rilevano i ricorrenti che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità dell’appello per mancanza della necessaria specificità dei motivi, giacchè l’Università della Calabria si era limitata alla “puntuale riproduzione della relazione redatta dall’Amministrazione nel processo di primo grado”, senza muovere alcuna specifica censura alla motivazione della sentenza pronunciata dal Tribunale di Cosenza.

1.3 – Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano “violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 35, 36 e 97 Cost., nonchè del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45”. Sollecitano questa Corte a rimeditare la questione, già risolta da più pronunce in senso sfavorevole per i dipendenti delle Università, ed insistono sulla arbitrarietà e sulla irragionevolezza dell’art. 74 del CCNL in quanto la diversità di inquadramento nel nuovo sistema di classificazione, a parità di mansioni e qualifica di provenienza, non può essere giustificata solo dal “fatto storico” della diversa modalità di accesso, non idoneo ad individuare il valore della prestazione lavorativa.

2 – L’eccezione di tardività del ricorso, sollevata dalla difesa dell’Università della Calabria, è infondata.

Il timbro datario apposto in calce all’atto attesta che la consegna all’UNEP presso la Corte di Appello di Catanzaro è avvenuta il 3 maggio 2011 (e non il 5 maggio 2011, data della spedizione a mezzo posta), nel rispetto del termine previsto dall’art. 327 c.p.c., comma 1, spirato solo il 4 maggio 2011, non essendo applicabile al giudizio, iniziato nell’anno 2006, la nuova disciplina dettata dalla L. n. 69 del 2009, art. 46.

Va ribadito che “la notifica di un atto processuale, almeno quando debba compiersi entro un determinato termine, si intende perfezionata, dal lato dell’istante, al momento dell’affidamento dell’atto all’ufficiale giudiziario, posto che, come affermato dalle sentenze della Corte costituzionale n. 69 del 1994 e n. 477 del 2002, il notificante deve rispondere soltanto del compimento delle formalità che non esulano dalla sua sfera di controllo, secondo il “principio della scissione soggettiva del momento perfezionativo del procedimento notificatorio”” (Cass. 13.1.2010 n. 359).

3 – I primi due motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente perchè connessi, sono inammissibili.

Anche a voler prescindere dalla errata formulazione delle rubriche (nelle quali si richiamano dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e si fa riferimento alla mancata applicazione da parte del giudice del rinvio del principio di diritto enunciato dalla sentenza n. 14873/04, relativa ad altro giudizio con diverso oggetto e ad altre parti) non può non rilevarsi il mancato rispetto da parte dei ricorrenti degli oneri di specificazione ed allegazione imposti dall’art. 366 c.p.c. nn. 4 e 6 e art. 369 c.p.c., n. 4. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che, qualora il ricorrente prospetti un error in procedendo, rispetto al quale la Corte di Cassazione è giudice del “fatto processuale”, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito presuppone l’ammissibilità della censura ex art. 366 c.p.c., sicchè la parte non è dispensata dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, di indicare in modo egualmente specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, diversi dalla sentenza impugnata (fra le più recenti Cass. 4.7.2014 n. 15367, Cass. 10.11.2011 n.23420 e con riferimento all’inammissibilità dell’appello Cass. 20.9.2006 n. 20405 e Cass. 12.5.2010 n. 11477).

Dal principio discende che, qualora il ricorrente censuri di erroneità la sentenza per non avere dichiarato la inammissibilità dell’appello, le condizioni richieste dall’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6, potranno dirsi sussistenti solo se il motivo, oltre a riportare negli esatti termini il contenuto dell’appello e della sentenza di primo grado, indichi con chiarezza le ragioni per le quali l’appello medesimo doveva essere ritenuto inammissibile e, quindi, precisi ed evidenzi le parti della impugnazione non idonee a confutare le argomentazioni addotte dal primo giudice a fondamento della pronuncia di rigetto.

Nel caso di specie i ricorrenti hanno omesso di riportare il contenuto della sentenza di primo grado, dell’atto di impugnazione e della memoria difensiva, con la quale, a loro dire, l’eccezione di inammissibilità sarebbe stata formulata, sicchè le censure non possono essere scrutinate dal Collegio.

4 – Il terzo motivo di ricorso è infondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte, ribadendo il principio già affermato da plurime pronunce della Sezione Lavoro, hanno evidenziato che “in tema di pubblico impiego privatizzato, la materia degli inquadramenti del personale contrattualizzato è stata affidata dalla legge allo speciale sistema di contrattazione collettiva del settore pubblico, che può intervenire senza incontrare il limite della inderogabilità delle norme in materia di mansioni concernenti il lavoro subordinato privato. Ne consegue che le scelte della contrattazione collettiva in materia di inquadramento del personale e di corrispondenza tra le vecchie qualifiche e le nuove aree sono sottratte al sindacato giurisdizionale, ed il principio di non discriminazione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, non costituisce parametro per giudicare delle eventuali differenziazioni operate in sede di contratto collettivo” (Cass. S.U. 7.7.2010 n. 16038).

Detto principio è stato poi richiamato in recenti decisioni (Cass. ord. 30.10.2014 n. 23092; Cass. ord. 14.10.2014 n. 21699; Cass. 20.1.2014 n. 1038) con le quali, nel ritenere infondate pretese analoghe a quella qui fatta valere dai ricorrenti, si è statuito che “l’art. 74, comma 4, del c.c.n.l. del comparto Università del 9 agosto 2000 consente l’inquadramento nella nuova categoria D al solo personale dipendente già inquadrato nella ex 7^ qualifica funzionale che sia stato assunto a seguito di concorso pubblico per la partecipazione al quale era richiesto il diploma di laurea, non potendosi considerare indifferente la modalità di accesso alla ex 7^ qualifica (per concorso pubblico ovvero mediante concorso riservato interno, che prescindeva dal possesso del titolo di studio) e trovando detta soluzione conferma negli accordi di interpretazione autentica, intervenuti in esito alla procedura prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 64 del 22 maggio 2003 e del 13 gennaio 2005, che hanno riconosciuto solo l’anzidetto personale come beneficiario di una progressione verticale”.

Infine è stato sottolineato che la peculiarità del regime giuridico dei contratti collettivi nazionali di lavoro dei dipendenti pubblici, non ne altera minimamente la natura giuridica, che resta a tutti gli effetti quella di fonti negoziali (Cass. S.u. 8 luglio 2008, n. 18621), con conseguente preclusione del controllo di validità per violazione delle norme costituzionali.

A dette pronunce il Collegio intende dare continuità, poichè il ricorso non prospetta argomenti che giustifichino una revisione critica del precedente orientamento.

Il ricorso va, quindi, rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno poste a carico dei ricorrenti nella misura indicata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2016

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