Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23645 del 27/10/2020

Cassazione civile sez. III, 27/10/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 27/10/2020), n.23645

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso iscritto al n. 11194/2018 R.G. proposto da:

P.G., in proprio e quale titolare dell’impresa

individuale P.M. di P.G., rappresentata e

difesa dall’Avv. Stefano Besani, con domicilio eletto in Roma,

Piazza Ugo da Como n. 9, presso lo studio dell’Avv. Andrea Barbuto;

– ricorrente –

contro

Comune di Busto Arsizio, rappresentata e difesa dall’Avv. Carla

Caputo, con domicilio eletto in Roma, via Civitavecchia, n. 7,

presso lo studio dell’Avv. Lorenzo Grisostomi Travagliai;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, n. 476/2018

depositata il 29 gennaio 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 luglio 2020

dal Consigliere IANNELLO Emilio.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

con sentenza n. 2592 del 1994 della Corte d’Appello di Milano, divenuta definitiva, P.G. venne dichiarata responsabile del reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei reati di turbata libertà degli incanti, truffa e corruzione (reati fine dichiarati prescritti) e condannata, in solido con terzi, al risarcimento dei danni in favore del Comune di Busto Arsizio, da liquidarsi in sede civile; in forza di tale sentenza il Comune iscrisse ipoteca su diverse unità immobiliari di proprietà della predetta;

da tale pronuncia scaturirono tre giudizi civili, instaurati in tempi diversi, tra il 2013 e il 2014, davanti al Tribunale di Busto Arsizio;

nel primo giudizio parte attrice chiese accertamento negativo del credito nei suoi confronti vantato per intervenuta prescrizione; il Comune eccepì l’esistenza di atto interruttivo (lettera del 23/3/2005);

nel secondo giudizio il Comune chiese tutela del credito in questione e la debitrice (attrice nel primo giudizio) ne eccepì la prescrizione, contestando che quell’atto interruttivo (eccepito dal Comune nel primo giudizio) potesse considerarsi efficace (in quanto proveniente da dirigente generale, non abilitato);

nel terzo giudizio fu ancora la debitrice ad agire per chiedere l’accertamento negativo del credito, sia perchè prescritto (ed al riguardo dedusse che l’atto interruttivo opposto già nel primo giudizio dal Comune non era efficace perchè proveniente da soggetto non laureato), sia per effetto della remissione operata dal Comune nei confronti di altro condebitore (art. 1301 c.c.);

riuniti i giudizi il Tribunale pronunciò in data 9/8/2016 sentenza parziale con la quale:

– condannò P.G. al risarcimento dei danni subiti dal Comune, liquidati in Euro 207.190,45 oltre interessi e rivalutazione, al netto della riduzione operata, ex art. 1227 c.c., comma 1, per il riconosciuto concorso della P.A. nella causazione del danno;

– rigettò la domanda di cancellazione delle ipoteche (avendo ritenuto inammissibili le domande in tal senso formulate dalla P. nel terzo dei giudizi riuniti, in quanto proposte solo per aggirare le decadenze verificatesi nei primi due giudizi);

– ordinò la rimessione della causa sul ruolo per valutare se il valore dei beni ipotecati dal Comune superasse di un terzo l’importo del credito;

quindi, all’esito di tale incombente, il Tribunale rese sentenza definitiva – non impugnata e passata in giudicato – con la quale rigettò la restante domanda (con la quale P.G. aveva chiesto dichiararsi che il valore dei beni ipotecati dal Comune superava di un terzo l’importo del credito), onerando la P. delle spese tutte di lite;

la Corte d’appello di Milano ha rigettato il gravame interposto dalla P. avverso la sentenza parziale, confermando la valutazione di inammissibilità delle domande formulate nel terzo giudizio e rigettando gli altri motivi;

con riferimento al primo tema di lite ha in particolare osservato che la ritenuta inammissibilità trovava giustificazione nella “identità tra le prime due e la terza causa. Medesimo il petitum, consistente nella richiesta di cancellazione delle iscritte ipoteche; medesima altresì la causa petendi”;

hanno, infatti, rilevato i giudici d’appello che – causa petendi essendo nella specie rappresentata “sin dalla prima causa, e poi nella comparsa di costituzione nella seconda”, dalla dedotta estinzione del credito risarcitorio – non erano state formulate modifiche tempestive nei termini di cui all’art. 183 c.p.c.; diversi erano bensì i fatti materiali addotti a sostegno dell’affermazione di estinzione (l’inesistenza di atto interruttivo, ovvero la sua inidoneità, od ancora, la remissione del debito a condebitore solidale) ma essi non valevano ad “immutare la conclusione che il fatto giuridico dedotto è sempre il medesimo”;

da qui la conclusione che “l’unica domanda, di accertamento dell’estinzione del credito dell’Amministrazione comunale, sia stata inammissibilmente frammentata in una pluralità di iniziative processuali”;

hanno in tal senso ritenuto di poter trarre argomenti dal consolidato principio secondo cui il giudicato sostanziale copre non soltanto l’esistenza del credito azionato, del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito ed il rapporto stessi si fondano, ma anche l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti e non dedotti.

altro argomento hanno reputato di poter trarre dal principio affermato – nel “contiguo tema della modificabilità della domanda nei termini di cui all’art. 183 c.p.c.” (così in sentenza) – da Cass. Sez. U 15/6/2015, n. 12310, avendo questa evidenziato come l’ammissibilità della modifica determini una maggiore economia processuale ed una migliore giustizia sostanziale, la concentrazione nello stesso processo e dinanzi allo stesso giudice delle controversie aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale, e limiti l’eventualità di contrasto tra giudicati;

avverso tale decisione P.G. propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resiste l’intimato, depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 183 c.p.c. e/o vizio di motivazione, in relazione al rigetto dei primi due motivi di gravame con i quali essa aveva censurato la valutazione di inammissibilità delle domande formulate con l’atto introduttivo del terzo giudizio, poichè identiche a quella proposta nel primo, salvo che per le ragioni di fatto che ne erano poste a fondamento;

contesta, in tal senso, anzitutto l’identificazione della causa petendi con l’estinzione del credito risarcitorio, osservando che, secondo la giurisprudenza della S.C., “per causa petendi idonea a identificare la domanda della parte devono intendersi non le ragioni giuridiche addotte a fondamento della pretesa avanzata in giudizio bensì l’insieme delle circostanze di fatto poste a base di questa”;

rileva, inoltre, che l’arresto di Cass. Sez. U n. 12310 del 2015, richiamato a fondamento della affermata inammissibilità della frammentazione della medesima domanda in una pluralità di iniziative processuali, è stata pronunciata oltre un anno dopo l’instaurazione del terzo dei giudizi de quibus e che, in precedenza, era prevalente l’opposto orientamento secondo cui il mutamento della causa petendi determinava mutamento della domanda, tale da renderla improponibile, nel medesimo giudizio, trattandosi di mutati() libelli e non di semplice emendatio; evidenzia che, proprio in ossequio a tale indirizzo, una volta venuta a conoscenza di ulteriori e nuovi fatti estintivi del credito risarcitorio vantato nei suoi confronti, ritenuti gli stessi idonei a modificare la causa petendi delle vertenze già in essere, si era determinata a instaurare un nuovo giudizio;

Ritenuto che:

avuto riguardo alla rilevanza nomofilattica della questione che con tale motivo viene sottoposta all’esame di questa Corte, si rende opportuna la trattazione della causa in pubblica udienza (art. 375 c.p.c., comma 2).

P.Q.M.

dispone trattarsi la presente causa in pubblica udienza e la rinvia a tal fine a nuovo ruolo.

Così deciso in Roma, nelle Camere di Consiglio, il 3 luglio 2020 e, a seguito di riconvocazione, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2020

 

 

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