Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23642 del 31/08/2021

Cassazione civile sez. II, 31/08/2021, (ud. 03/11/2020, dep. 31/08/2021), n.23642

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24462-2019 proposto da:

B.S., rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTA CARRARO,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA, SEZIONE

PADOVA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2784/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 03/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

03/11/2020 dal consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

 

Fatto

PREMESSO

CHE:

1. B.S., cittadino del (OMISSIS), adiva il Tribunale di Venezia a seguito del rigetto da parte della Commissione territoriale di Padova, sezione di Vicenza, della sua domanda di protezione internazionale. Nell’audizione davanti alla Commissione il richiedente aveva dichiarato di avere abbandonato il proprio paese perché la sua decisione di convertirsi alla religione cristiana aveva trovato l’opposizione del padre (imam del villaggio), che lo aveva minacciato di morte.

Il Tribunale rigettava la domanda con ordinanza che era impugnata innanzi alla Corte d’appello di Venezia. La Corte d’appello, con sentenza 3 luglio 2019, n. 2784, rigettava il gravame, confermando l’ordinanza.

2. Avverso la decisione della Corte d’appello di Venezia B.S. propone ricorso per cassazione.

L’intimato Ministero dell’interno non ha proposto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

I. Il ricorso è articolato in cinque motivi.

1) I primi due sono tra loro strettamente connessi:

a) il primo motivo contesta “falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 7 e art. 8, comma 1, lett. b) e comma 2 relativamente alla rilevanza, ai fini della protezione internazionale, della persecuzione a carattere religioso e alla effettiva caratteristica religiosa in capo al ricorrente”; la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto che il fondato timore di essere perseguitato debba muovere dalla circostanza che il ricorrente abbia sviluppato un sufficiente grado di approfondimento delle tematiche e liturgie della fede (OMISSIS) e ha poi erroneamente ritenuto equivalenti la non verificabilità del racconto e la sua inverosimiglianza;

b) il secondo motivo denuncia “falsa applicazione dell’onere officioso in capo al giudicante di valutare tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione”; in ogni caso la Corte d’appello, anche qualificando come non credibile il racconto del ricorrente, avrebbe dovuto giustificare le ragioni concrete della ritenuta equivalenza tra genericità del racconto e sua inattendibilità.

I motivi non possono essere accolti. L’osservazione della Corte d’appello circa la conoscenza approssimativa della religione (OMISSIS) da parte del ricorrente non assume rilievo determinante, avendo la vicenda in esame carattere di una vicenda privata. Secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, le liti tra privati non possono infatti “essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, in presenza di atti di persecuzione (art. 2, lett. e D.Lgs. cit.), e della protezione sussidiaria, in presenza di serio ed effettivo rischio di subire danno grave in caso di rimpatrio (art. 2, lett. g) D.Lgs. cit.)” (così Cass. 9043/2019). Ne’ vale il rilievo che la minaccia di danno grave può provenire anche da soggetti non statuali se lo Stato o i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o parte di esso non possono o non vogliono offrire protezione, non offrendo i motivi specifici elementi al riguardo.

2) Il terzo motivo fa valere nullità della sentenza integrante motivazione apparente, “avendo utilizzato per la propria decisione notizie ed informazioni tratte da internet, semplicemente richiamandone l’indirizzo http, e citate in lingua straniera senza alcuna traduzione asseverata”.

Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello ha utilizzato informazioni precise e aggiornate relative alla situazione esistente nel paese di origine, rendendo note le fonti consultate mediante la loro indicazione, la data di risalenza e l’ente promanante, così ottemperando a quanto prescritto dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3.

3) Il quarto motivo contesta violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 e art. 13, comma 1-quater in relazione alla revoca del beneficio del patrocinio a spese dello Stato.

Il motivo è inammissibile. Il provvedimento di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, comunque pronunciato (sia con separato decreto che all’interno del provvedimento di merito) “deve essere sempre considerato autonomo e di conseguenza soggetto a un separato regime di impugnazione ovvero l’opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15; contro tale provvedimento è ammesso il ricorso ex art. 111 Cost., mentre è escluso che della revoca irritualmente disposta dal giudice del merito possa essere investita la Corte di cassazione in sede di ricorso avverso la decisione” (così Cass. 16117/2020).

4) Il quinto motivo fa valere nullità del procedimento in relazione “alla illegittima omissione dell’avviso al ricorrente L. n. 241 del 1990, ex art. 7 da anteporre alla decisione della Commissione territoriale, con conseguente nullità dell’impugnata sentenza”.

Il motivo è inammissibile. Come ha precisato questa Corte nella pronuncia n. 10546/2012 richiamata dal ricorrente, è esatto l’assunto per il quale l’art. 7 deve trovare applicazione nella definizione della domanda di protezione, essendo chiaro il richiamo espresso operato ad esso del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 18 ma “la conseguenza non è la nullità del provvedimento per carenza di requisito formale, ma (..) il vizio di omesso avviso, in realtà, rifluisce sul diritto alla difesa”, diritto di difesa che nel caso in esame non è stato leso, avendo il richiedente, a fronte del diniego della Commissione, proposto ricorso, con la possibilità di fare valere le difese che egli, a causa del mancato avviso, non aveva potuto avanzare in fase amministrativa (v. al riguardo Cass. 25315/2020).

II. Il ricorso va quindi rigettato.

Nessuna statuizione deve essere adottata sulle spese, in quanto il Ministero non ha svolto attività difensiva.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Sussistono, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2021

 

 

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