Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23641 del 24/09/2019

Cassazione civile sez. III, 24/09/2019, (ud. 07/06/2019, dep. 24/09/2019), n.23641

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 19760-2017 R.G. proposto da:

D.B. S.R.L., quale società incorporante la società D.B. FVG,

in persona del legale rappresentante D.B.G., rappresentata

e difesa dall’Avv. Mario Calgaro e dall’Avv. Paolo Panariti, con

domicilio eletto in Roma presso lo Studio di quest’ultimo, via

Cetimontana, n. 38;

– ricorrente –

contro

BANCO BPM S.P.A., già Banco Popolare – Società Cooperativa, e, per

esso, ALBA LEASING S.P.A., in persona del suo procuratore speciale

V.A., nella sua qualità di mandataria/procuratrice di

BANCA ITALEASE (ora BANCO BPM S.P.A.), rappresentata e difesa

dall’Avv. Francesco Brugnatelli e dall’Avv. Luca Filippo Andrea

Szego, con domicilio eletto in Roma presso lo Studio legale

Ichino-Brugnatelli e Associati, viale delle Milizie, n. 1;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 267/17 della Corte d’Appello di Trieste,

depositata il 15/05/2017, notificata per mezzo Pec il 29/05/2017;

Udita la relazione svolta nella Pubblica Udienza dal Consigliere

Dott. Marilena Gorgoni;

Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. Cardino Alberto, che ha chiesto il

rigetto del ricorso principale e di quello incidentale;

Udito l’Avv. Paolo Panariti per D.B. S.R.L.

Udito l’Avv. Luca Filippo Andrea Szego per BANCO POPOLARE SOC. COOP,

già BANCA ITALEASE S.P.A.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.B. S.r.L. ricorre per la cassazione della sentenza n. 267/2017 della Corte d’Appello di Trieste, pubblicata il 15/05/2017, affidandosi a due motivi.

Resiste e propone ricorso incidentale Banco BPM S.p.A., già Banca Italease S.p.A., basato su un solo motivo.

La società ricorrente espone che la società D.B. FVG, incorporata per fusione, era stata condannata dal Tribunale di Trieste, con sentenza n. 474/2015, a corrispondere alla Banca Italease S.p.A. Euro 214.440,00, al netto di Iva, per l’illegittima occupazione, dal 20 giugno 2012 al 7 ottobre 2013, dell’immobile sito in (OMISSIS).

La somma oggetto della condanna era stata determinata tenendo conto dell’ammontare dei canoni mensili detratto quanto la società locatrice, la Lucioli S.p.A., aveva versato alla banca.

L’immobile, infatti, era stato ottenuto in locazione finanziaria dalla Luciolicar S.p.A., poi era stato concesso in sublocazione dalla società detentrice alla Lucioli S.p.A., previa autorizzazione della banca locatrice; successivamente la società Lucioli S.p.A. aveva ceduto l’azienda, comprendente il contratto di sublocazione, all’attuale ricorrente; la Società Luciolicar S.p.A. aveva poi ceduto il contratto di locazione finanziaria all’attuale ricorrente.

La Luciolicar S.p.A. era risultata inadempiente rispetto al pagamento dei canoni di locazione e la Banca Italease aveva risolto il contratto in data 20 giugno 2012.

L’attuale ricorrente, che deteneva l’immobile in forza della cessione del contratto di locazione finanziaria, lo aveva restituito il 7 ottobre 2013.

Di qui la richiesta rivoltagli, da parte della banca locatrice, di pagamento dell’indennità di occupazione nel periodo compreso tra la data di risoluzione del contratto e quella di effettivo rilascio dell’immobile.

Ritenendo che la determinazione dell’indennità di occupazione fosse stata erroneamente determinata, tenuto conto del canone mensile di sublocazione, il quale non era stato determinato solo in ragione del corrispettivo per il godimento dell’immobile, ma anche quale corrispettivo per la cessione del contratto di leasing, la società ricorrente impugnava la sentenza di prime cure dinanzi alla Corte d’Appello di Trieste, la quale, con la sentenza gravata, rigettava l’appello e confermava integralmente la decisione del Tribunale di Trieste.

La Corte territoriale riteneva, infatti, che il danno da occupazione illegittima fosse stato correttamente determinato dal giudice di prime cure sulla base del c.d. danno figurativo e, in particolare, avendo presente il valore locativo del bene in considerazione della perdita della disponibilità dello stesso da parte del proprietario e dell’impossibilità di conseguirne un utile, in relazione alla sua natura normalmente fruttifera; precisava che il criterio del valore locativo non era stato oggetto di impugnazione, che non era necessario ricorrere ad una CTU per determinare il valore locativo dell’immobile, atteso che esso emergeva ex actis, che la determinazione del corrispettivo contenuta nel contratto di cessione del contratto di leasing era diversa dal valore locatizio dell’immobile e che l’accordo di cessione del contratto di leasing, intercorrendo tra altre parti, cui la Banca Italease era rimasta estranea, non poteva esserle opposto.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale di D.B. S.r.L..

1. Con il primo motivo la società D.B. censura la sentenza impugnata per: a) violazione e falsa applicazione dell’art. 2056 in relazione all’art. 1226 c.c.; b) motivazione contraddittoria e illogica in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.; c) omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La società ricorrente precisava che aveva detenuto, dal 17/02/2011 al 7/10/2003, l’immobile in forza di contratto di cessione del contratto di locazione finanziaria stipulato con la società Luciolicar S.p.A. – cessione non autorizzata i dalla Banca Italease – che aveva pagato il canone di locazione a Luciolicar fino al febbraio 2012, quando aveva appreso che la società dante causa si era resa gravemente inadempiente nei confronti della banca, la quale, di conseguenza, aveva risolto il contratto, che aveva riconosciuto di aver detenuto illegittimamente l’immobile dalla data di risoluzione del contratto fino alla data del rilascio e che era consapevole di dover corrispondere alla banca il danno figurativo pari al canone di locazione ai valori correnti di mercato; contestava, però, la debenza di un danno determinato tenendo conto dei canone di sublocazione finanziaria ammontante ad Euro 21.420,00 mensili, al netto dell’IVA, perchè tale canone non sarebbe solo parametrato al corrispettivo del godimento del bene, ma anche al corrispettivo per il trasferimento del diritto di proprietà. Il leasing essendo di tipo traslativo, quindi, un contratto in cui il trasferimento del diritto di proprietà del bene ottenuto in locazione all’utilizzatore non costituiva una mera eventualità rimessa all’esercizio del diritto di opzione, ma la sorte programmata dalle parti in sede di conclusione del contratto – qualificazione non contestata dalla banca – prevedeva evidentemente che il canone di locazione fosse determinato in misura tale da tener conto dell’effetto traslativo finale, rapportandoli (anche) alla quota di parte del prezzo per conseguire il diritto di proprietà. Pertanto, la Corte territoriale non avrebbe dovuto prendere tale canone come parametro per il calcolo del risarcimento del danno da occupazione illegittima.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2729,2697 e 1227 c.c. per omessa ammissione della CTU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Dovendo determinare il valore locativo dell’immobile locato, quale parametro di determinazione del danno figurativo, anzichè erroneamente farlo coincidere con il canone di locazione finanziaria traslativa, il giudice a quo avrebbe dovuto disporre una consulenza tecnica preventiva per determinarlo.

Ricorso incidentale di Italease.

3. La ricorrente incidentale denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 81 e 100 c.p.c. nonchè dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La tesi della Banca Italease è che la Corte d’Appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il gravame perchè proposto da una società priva di legittimazione ad agire, in quanto cancellata dal registro delle imprese.

L’attuale ricorrente per cassazione è la società D.B. S.r.L. incorporante la società D.B. FVG con atto di fusione del 12/11/2014. Pertanto, l’appello proposto dalla società D.B. FVG, in data 17/01/2016, era stato introdotto da una società estinta, perchè cancellata dal registro delle imprese in data 31/12/2014.

4. Pur dovendo, di norma, il ricorso incidentale essere esaminato dopo quello principale, nel caso di specie, in considerazione dell’eccezione con esso sollevata, la quale pone in discussione l’interesse a ricorrere del ricorrente principale e quindi tende a paralizzare la domanda avversaria sul piano pregiudiziale della mancanza di una condizione dell’azione, il suo scrutinio deve precedere la valutazione del ricorso principale.

Per chiarire i termini della questione sottoposta all’attenzione di questa Corte regolatrice occorre partire dall’art. 2504 bis c.c., comma 1, nel testo che risulta dopo la riforma attuata con il D.Lgs. n. 6 del 2003, applicabile al tempo dei fatti, il quale prevede che la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione.

Questa Corte regolatrice con la pronuncia a Sezioni Unite 8/02/2006, n. 2637, al solo scopo di risolvere una questione di giurisdizione, e, quindi, con un obiter dictum, ha inquadrato per la prima volta l’operazione di fusione di società tra le vicende meramente modificative dell’atto costitutivo, ponendosi in contrasto con il tradizionale e monolitico orientamento precedente, secondo il quale la fusione comporterebbe, al contrario, l’estinzione della società e la conseguente successione a titolo universale del soggetto incorporante (nella fusione per incorporazione) o risultante dalla fusione (nella fusione paritaria) in tutti i rapporti sostanziali e processuali trasmissibili: soluzione quest’ultima che non era stata scalfita neppure dall’entrata in vigore della riforma organica delle società di capitali e società cooperative che aveva modificato il riferito art. 2504 bis c.c. Se ne trova conferma nelle pronunce Cass. 07/01/2004, n. 50; Cass. 16/01/2004, n. 554; Cass. 18/03/2005, n. 5973; Cass. 06/05/2005, n. 9432; Cass. 25/01/2006, n. 1413, che avevano seguito l’orientamento tradizionale, nonostante l’intervenuta modifica normativa: segno di una certa difficoltà o riluttanza a cogliere le novità della riforma non solo sul piano sostanziale, ma anche su quello processuale, che aveva indotto la dottrina a parlare della fusione estintiva come di un dogma infrangibile.

Proprio dal tenore dell’art. 2504 bis c.c. questa Corte regolatrice ha tratto il convincimento che il legislatore abbia voluto escludere che la fusione per incorporazione comportasse l’estinzione della società incorporata e la creazione di un nuovo soggetto giuridico ed attuare l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione.

Tale tesi definita modificazionista si è pensato trovasse un ulteriore e più sicuro riscontro normativo nel D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, che, all’art. 29, prescrive che “nel caso di fusione, anche per incorporazione, l’ente che ne risulta risponde dei reati dei quali erano responsabili gli eri partecipanti alla fusione” e, all’art. 42, che “il procedimento prosegue nei confronti degli enti risultanti dalla fusione, dalla trasformazione, dalla scissione”.

Il risvolto processuale del superamento della tesi della successione a titolo universale della società incorporante deve essere valutato con riferimento ad una serie di conseguenze che se ne erano tratte al fine di verificarne la eventuale sopravvivenza: a) la necessità di notificazione alla società incorporante della citazione introduttiva del giudizio promosso contro la società incorporata, dopo la verificazione della fusione (Cass. 23/03/2001, n. 4180); b) la nullità dell’atto di appello proposto nei confronti di società incorporata nelle more del giudizio di primo grado (Cass. 06/12/1984, n. 6404; Cass. 09/04/1998, n. 3694); l’interruzione del processo, ex art. 300 c.p.c., conseguente alla fusione di società (Cass. 22/06/1999, n. 6298; Cass. 02/08/2001, n. 10595); la estinzione del mandato ad litem conferito dall’incorporata, con conseguente difetto di potere rappresentativo in capo al difensore ai fini della proposizione dell’impugnazione a nome della società incorporante, in caso di incorporazione nel corso della causa di primo grado (Cass. 27/01/1994,n. 833); l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto, dopo il perfezionamento della fusione, da società incorporata, in quanto proveniente da soggetto inesistente (Cass. 02/04/2002, n. 4679); la nullità del ricorso notificato, per la riassunzione del giudizio di rinvio, alla società incorporata in luogo della incorporante (Cass. 19/09/1991, n. 9777).

Decisivo rilievo è stato attribuito sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina al fatto che il legislatore abbia sostituito l’aggettivo “estinte”, usato ante riformam per riferirsi alle società incorporate, con quello di “società partecipanti alla fusione”: il che ha privato di sostrato argomentativo la tesi della successione a titolo universale implicante l’estinzione della società incorporata.

Parimenti dirimente è risultata l’espressione “proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione”. Essa ha contribuito a far ritenere, proprio perchè nulla prevede in termini di estinzione della società incorporata, che la società incorporante, in quanto centro unitario di imputazione dei rapporti preesistenti, cioè di tutte le posizioni attive e passive già facenti capo all’incorporata, abbia anche la legittimazione attiva e passiva della prima come soggetto che prosegue l’attività della seconda. Più in particolare, non ci sarebbe alterità soggettiva tra la società incorporata e quella risultante dalla fusione – “risolvendosi (come è già stato rilevato indottrina) in una vicenda meramente evolutiva-modificativa dello stesso soggetto, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo”: Cass., Sez. Un., 8/02/2006, n. 2637, cit. – potendo la relazione tra le stesse essere ricostruita in termini di integrazione reciproca, giusta il rilievo che i singoli rapporti si integrano nel patrimonio unificato e conservano il loro nesso di derivazione dalla fonte originaria, verificandosi una variazione soggettiva meramente formale che non estingue un soggetto e correlativamente non ne crea uno nuovo.

Le soluzioni adottate dopo l’intervento delle Sezioni Unite sono di segno opposto rispetto alle precedenti, giacchè affermano il perdurare della legittimazione processuale in capo alla società che, nel corso del giudizio, venga incorporata in (o fusa con) un’altra: Cass. 16/09/2016, n. 18188, relativa alla legittimazione attiva dell’incorporata a proporre appello; Cass. 18/11/2014, n. 24498, sulla legittimazione passiva dell’incorporata a ricevere un atto di appello; Cass. 18/04/2012, n. 6058, ha confermato la sentenza emessa nei confronti dell’incorporata, pur essendosi la fusione già perfezionata nel corso del giudizio.

Ai fini che qui interessano, la prosecuzione riguarda anche i rapporti processuali, allo scopo di evitare, in funzione del principio del giusto processo, l’interruzione dei processi in corso che coinvolgano la società incorporata (Cass. 15/02/2013, n. 3820).

Entro tate cornice di riferimento si colloca la vicenda per cui è causa, ove si pone una questione più specifica: se la società incorporata conservi legittimazione processuale attiva dopo la sua cancellazione dal registro delle imprese.

Il quid pluris è, dunque, rappresentato proprio dalla cancellazione dal registro delle imprese.

Per mettere in chiaro i termini del problema è necessario tener presente che un conto sono le esigenze di tutela della controparte processuale che non può essere gravata di un onere di controllo continuo delle risultanze del registro delle imprese, di qui la legittimità della chiamata in giudizio della società incorporata, costantemente riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte, anche ove cancellata dal registro delle imprese (cfr., tra le più recenti, Cass. 12/02/2019, n. 4042); altro è invece la pretesa della società incorporata, già cancellatasi dal registro delle imprese, di conservare una legittimazione processuale attiva, come è avvenuto in questo caso, procrastinando l’esistenza in vita di una società estinta fino alla cessazione dei rapporti che la riguardano con correlativa proroga praticamente sine die dei suoi organi rappresentativi.

Proprio perchè come si è detto – e come è stato ribadito da questa Corte (Cass., Sez. Un., 17/09/2010, n. 19698; Cass., Sez. Un., 14/09/2010, n. 19509) – l’incorporazione per fusione non estingue della società incorporata, nè crea un nuovo soggetto di diritto, bensì dà vita ad una unificazione partitaria mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione (Cass., Sez. Un., 08/02/2006, n. 2637). Ciò che si determina a seguito della fusione per incorporazione è soltanto un fenomeno evolutivo-modificativo della società, cui non è correlata l’estinzione di un soggetto e la creazione di un altro. Vi è piena convergenza di opinioni circa il fatto che la cancellazione dal registro delle imprese della società incorporata sia diversa da quella risultante dalla cessazione o dal completamento delle attività di liquidazione, in base alla considerazione che, “nell’incorporazione per fusione, la società incorporante, già prima della citata novella del 2003, partecipando essa stessa alla fusione, non è mai totalmente distinta dalla parte già costituita, onde quel tipo di operazione dipende interamente dalla volontà degli stessi organi delle due società che ne sono protagoniste, ivi compresa l’incorporante che è destinata a subentrare nella posizione processuale dell’incorporata” (Cass., Sez. Un., 13/03/2013, n. 6070). Il dubbio è rappresentato dall’entità o meglio dagli effetti processuali collegati a tale differenza.

Va precisato che, a fronte di un cospicuo numero di pronunce che si è occupato della legittimazione processuale passiva della società incorporata, in ben poche occasioni questa Corte regolatrice ha approfondito la questione degli effetti della incorporazione sulla legittimazione attiva della società incorporata, cancellata dal registro delle imprese (cfr. infra).

Le prime hanno adombrato l’idea della permanenza della legittimazione processuale attiva e passiva della società incorporata perchè non estinta, assumendo che l’evento della cancellazione non avrebbe rilievo dirimente, qualora fosse stato determinato dalla fusione: Cass. 16/09/2016, n. 18188; Cass. 18/11/2014, n. 2449.

Le seconde distinguono secondo che in questione vi sia oppure no la tutela dell’affidamento della controparte processuale, la quale, ignorando l’avvenuta fusione con conseguente cancellazione della società incorporata, agisca nei confronti di quest’ultima (l’esigenza di tutelare la controparte incolpevolmente ignara della fusione comporta che il dovere di indirizzare l’impugnazione nei confronti del nuovo soggetto effettivamente legittimato resta subordinato alla conoscibilità dell’evento, secondo criteri di normale diligenza, senza che assuma alcun rilievo l’iscrizione della fusione nel registro delle imprese, non operando in campo processuale la presunzione di conoscenza che la legge ricollega all’effettuazione di tale adempimento: Cass. 07/07/2008, n. 18615), da quella in cui la società incorporata prima ottenga la cancellazione dal registro delle imprese e poi proponga appello, così venendo contra factum proprium. Quest’ultima ipotesi “non troverebbe giustificazione nella logica del sistema, come innovato dalla Legge del 2003, in quanto la prosecuzione dei rapporti giuridici nel soggetto unificato se, per un verso, giustifica l’originario ricorrente ad insistere nel vedere realizzate, a carico della società incorporata, le sue pretese, per altro verso, non autorizza quest’ultima a mantenere una propria individualità anche dopo l’avvenuta fusione e la cancellazione dal registro delle imprese (art. 2495 c.c.), al punto da far valere la persistenza di una propria autonoma legittimazione attiva”: Cass. 11/02/2013, n. 3820, Cass. 24/05/2019, n. 14177.

Per esigenze di precisione va detto che le pronunce successive alla n. 3820/2013, che per la prima volta ha affrontato la questione per cui è causa, hanno sempre fatto salva la regula iuris pronunciata da quest’ultima, nel senso che hanno sempre sottolineato che il caso concreto esaminato non contemplava l’ipotesi di una società incorporata cancellatasi dal registro delle imprese che avesse preteso di spendere la propria legittimazione processuale attiva.

Questa Corte ritiene, dunque, che debba essere dato seguito al principio secondo il quale la fusione per incorporazione pur non determinando un fenomeno successorio, correlato alla estinzione della società incorporata e alla creazione di un nuovo soggetto giuridico, la società incorporante, non consenta per ciò solo la conservazione della legittimazione processuale da parte della società incorporata, se non nella misura in cui vi sia l’esigenza di tutelare l’affidamento della controparte che ignori l’avvenuta fusione.

Di conseguenza, il ricorso incidentale di Banco Bpm S.p.A. deve essere accolto, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

Ricorso principale.

Il ricorso principale è inammissibile.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza d’Appello, compensa tra le parti le spese di giudizio anche relativamente al processo d’appello, dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso incidentale, accoglie il ricorso incidentale e cassa la sentenza impugnata.

Compensa tra le parti le spese di lite anche relativamente al processo d’Appello, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 2.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019

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