Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2364 del 02/02/2010

Cassazione civile sez. III, 02/02/2010, (ud. 14/01/2010, dep. 02/02/2010), n.2364

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22160-2009 proposto da:

A.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE ANGELICO 92, presso lo studio dell’avvocato ALOISIO

ROBERTO GIOVANNI, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato VITTORIO ROSCINI VITALI giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

COLLEGIO PROVINCIALE BRESCIA INFERMIERI PROFESSIONALI ASSISTENTI

SANITARI IPASVI in persona del Presidente Dott. B.S.,

elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMAENUELE II 18,

presso lo studio dell’avvocato GIANMARCO GREZ, rappresentato e difeso

dall’avvocato GAMBA DARIO VLADIMIRO giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE REPUBBLICA TRIBUNALE BRESCIA, PROCURATORE GENERALE CORTE

APPELLO BRESCIA, PROCURATORE GENERALE CORTE CASSAZIONE, MINISTERO

DELLA SALUTE;

– intimati –

avverso la decisione n. 98/2008 della COMM. CENTR. ESERC. PROFESSIONI

SANITARIE di ROMA, emessa il 27/10/2008, depositata il 27/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/01/2010 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato ROBERTO GIOVANNI ALOISIO;

udito l’Avvocato DARIO GAMBA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA ANTONIETTA che ha chiesto il rigetto dell’istanza di

sospensione, accoglimento 1 e 5 motivo, assorbimento 3 motivo e

rigetto nel resto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’iter del procedimento viene così ricostruito nel provvedimento impugnato.

Il Consiglio direttivo del Collegio IPASVI di Brescia, rilevato che i fatti per i quali si era proceduto disciplinarmente a carico di G.E. erano imputabili anche a A.D. provvedeva, con lettera del 19 maggio 2004, a comunicare alla Federazione Nazionale i comportamenti di questi ritenuti illeciti, sul piano deontologico.

La comunicazione alla Federazione Nazionale veniva effettuata ai sensi del D.Lgs.C.P.S. n. 233 del 1946, art. 15, lett. g), e D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, art. 52, posto che nel periodo compreso tra il 1 aprile 2003 e il 10 gennaio 2006, epoca dei fatti, l’ A. era componente del Consiglio Direttivo del Collegio, di guisa che la competenza apparteneva a tale organo. Con successiva lettera del 3 maggio 2006, constatata l’inerzia della Federazione e considerato che l’ A. non era più componente del direttivo, il Collegio comunicava l’avvio del procedimento disciplinare.

Esaurita la fase preliminare (D.P.R. n. 221 del 1950, art. 39), in data 11 ottobre 2006 venivano contestati al sanitario i seguenti addebiti: avere costituito e gestito soggetti societari in violazione delle norme giuridiche e deontologiche; avere esercitato una attività di gestione e intermediazione della libera professione in modo lesivo del decoro della professione e della dignità dei colleghi professionisti.

All’esito del procedimento disciplinare, svoltosi il 19 marzo 2007, il Consiglio riteneva l’incolpato responsabile delle predette infrazioni, nonchè di avere disatteso le richieste di informazioni e chiarimenti avanzate dal Presidente del Collegio, irrogandogli, per l’effetto, la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per la durata di sei mesi. Proponeva ricorso l’ A. alla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie che, con provvedimento del 27 ottobre 2008, lo rigettava.

Avverso detta decisione propone ricorso per cassazione A. D., notificando l’atto al Ministero della Salute, al Collegio Provinciale di Brescia degli Infermieri Professionali, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, al Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Brescia, al Procuratore Generale presso la Corte di cassazione. Resiste con controricorso il Collegio IP.AS.VI. Il ricorrente ha altresì depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Col primo motivo l’impugnante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., art. 101 cod. proc. civ., D.P.R. n. 221 del 1950, art. 39, ex art. 360 c.p.c., n. 3.

Secondo l’esponente i capi d’incolpazione sarebbero radicalmente nulli, sotto vari profili. Anzitutto l’addebito consistente nell’avere disatteso le richieste di informazioni e di chiarimenti avanzate dal Presidente del Collegio, risultante dalla ricostruzione in fatto operata dalla Commissione Centrale, non aveva mai formato oggetto di contestazione da parte dell’organo amministrativo di primo grado. Quanto poi all’accusa di avere costituito e gestito soggetti societari in violazione di norme giuridiche e deontologiche, il rilievo era del tutto generico, mancando qualsivoglia specificazione e dei fatti in concreto posti in essere dal ricorrente e delle norme giuridiche e deontologiche pretesamente violate, con grave compromissione del diritto di difesa dell’incolpato.

Infine, in ordine alla infrazione consistente nell’esercizio di attività di gestione e intermediazione della libera professione, mancherebbe, ancora una volta, l’esplicitazione dei comportamenti in cui essa si sarebbe estrinsecata.

1.2 Col secondo mezzo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 25 e 111 Cost., art. 5 cod. proc. civ., D.Lgs.C.P.S. n. 233 del 1946, art. 15, comma 1, lett. g), ex art. 360 c.p.c., n. 3.

Sostiene che, dando corso al procedimento disciplinare, dopo avere trasmesso gli atti alla Federazione Nazionale, il Collegio avrebbe violato il principio della perpetuatici iurisdictionis sancito dall’art. 5 cod. proc. civ., segnatamente consentendo lo spostamento della competenza per effetto di eventi accidentali o determinati dalla volontà delle parti. Nè poteva avere rilievo la circostanza che, nel momento in cui il Collegio si era attivato, l’ A. non era più componente del Consiglio direttivo, perchè, a ben vedere, il procedimento era all’epoca già in corso, essendo solo stato trasferito all’organo ritenuto competente. In tale prospettiva irrilevante era che la formale contestazione degli addebiti fosse avvenuta quando era ormai terminato il mandato dell’incolpato presso il Consiglio direttivo. L’inerzia della Federazione Nazionale, la quale insindacabilmente aveva ritenuto di non dar corso al procedimento, non consentiva per vero al Collegio Provinciale di avocare a sè l’azione disciplinare. Del resto il D.P.R. n. 221 del 1950, art. 48, richiamato dall’art. 52 per i procedimenti davanti al Federazione Nazionale, prevede, in caso di inerzia degli organi competenti ad esercitarla, l’intervento del prefetto, sentito il Consiglio provinciale di sanità.

1.3 Col terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 101, 197 e 276 cod. proc. civ., D.P.R. n. 221 del 1950, art. 45 omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per avere l’organo decidente, una volta terminata la discussione e apertasi la fase decisoria, consentito la partecipazione del c.t.u., dott. B., alla camera di consiglio, come inequivocabilmente attestato dalla delibera del Collegio, nella quale si era dato atto che il consulente aveva continuato a interloquire in assenza della parte e/o del suo difensore.

In maniera affatto apodittica la Commissione Centrale aveva quindi escluso che la partecipazione dei consulenti tecnici alla seduta dell’organo disciplinare fosse suscettibile di incidere sulla validità del processo deliberativo, laddove l’impossibilità di replicare alle osservazioni del c.t.u. aveva palesemente violato il contraddittorio e compromesso il diritto di difesa dell’incolpato.

1.4 Col quarto mezzo l’impugnante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., art. 101 cod. proc. civ., D.P.R. n. 221 del 1950, art. 39 omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè il Consiglio Direttivo aveva inflitto la sanzione della sospensione anche per un addebito non menzionato nella lettera con la quale era stata comunicata l’apertura del procedimento, e cioè, per avere disatteso le richieste di informazioni e chiarimenti avanzate dalla Presidente del Collegio. Era stato dunque violato il principio della necessaria correlazione tra contestazione e decisione, immanente in tutti i procedimenti disciplinari (Cass. n. 2197 del 2005; n. 289 del 2000; n. 17935 del 2008).

1.5 Col quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 101 e 132 cod. proc. civ., D.P.R. n. 221 del 1950, art. 39 omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per non avere il Collegio IP.AS.VI. adempiuto all’obbligo di indicare e chiarire il precetto deontologico asseritamente infranto, precetto che avrebbe dovuto essere individuato all’interno del Codice deontologico emanato nel 1999, con ciò compromettendo, ancora una volta, il diritto di difesa dell’incolpato e facendo malgoverno di principi reiteratamente affermati dal giudice di legittimità (confr. Cass. 24 gennaio 2003, n. 1113; Cass. 31 maggio 2006, n. 12992).

A tale rilievo, già di per sè dirimente, doveva poi aggiungersi che l’organo giudicante aveva omesso di contestare le circostanze in fatto degli addebiti mossi al sanitario.

Sul punto la commissione Centrale si era invero limitata a trascrivere acriticamente il contenuto della decisione disciplinare di primo grado, secondo cui l’intento di A. e G. non era quello di promuovere, attraverso la costituzione delle società Stea d Eurosalute, l’attività libero professionale dei soci, ma di esercitare una attività organizzativa di sostanziale intermediazione nel lavoro di altri infermieri, solo formalmente ed occasionalmente associati nella compagine delle cooperative, utilizzando ai limiti del lecito le forme giuridiche consentite dalla vigente legislazione, senza esplicitare le ragioni della conferma della pronuncia, in relazione ai motivi di impugnazione proposti.

2.1 Vanno esaminati congiuntamente, per la loro evidente connessione, il primo e il quinto motivo di ricorso. Le censure con essi prospettate sono fondate per le ragioni che seguono.

Il procedimento volto all’irrogazione di sanzioni disciplinari ha, nella fase davanti all’organo dell’ordine professionale locale competente a decidere (collegio o consiglio che sia), natura amministrativa. Esso è l’espressione di un potere svolto, nei confronti degli appartenenti a un gruppo organizzato, e in funzione degli interessi del gruppo, da un organo che dello stesso costituisce diretta emanazione. E tuttavia, in ragione dell’incidenza di quel potere nella sfera di diritti soggettivi a carattere personalissimo, quali il diritto all’onore e al lavoro, il procedimento ha carattere spiccatamente contenzioso, essendo fuori discussione che l’interessato, prima della decisione, va posto in condizione di prospettare le proprie ragioni. Non a caso la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente ribadito che, anche nella fase amministrativa, deve essere assicurato in pieno il diritto di difesa dell’incolpato, in tale prospettiva, da un lato, insistendo sulla necessità che la contestazione sia puntuale, per come meglio di qui a poco si vedrà (confr. Cass. civ., 3, 24 gennaio 2003, n. 1113;

Cass. civ. 3, 31 maggio 2006, n. 12992; Cass. civ., 3, 16 gennaio 2007, n. 835); dall’altro, disapplicando, per contrasto con l’art. 24 Cost., la norma regolamentare (D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, art. 45, comma 3) che, nel procedimento a carico degli esercenti la professione sanitaria, non ammette l’assistenza di avvocati o consulenti tecnici (confr. Cass. civ., 3, 15 gennaio 2007, n. 636).

Tali affermazioni si giovano, anche, della inestricabile connessione funzionale della fase amministrativa, con la successiva fase giurisdizionale (Cass. civ., 3, 16 gennaio 2007, n. 835; Cass. civ., 3, 2 marzo 2006, n. 4657; Cass. civ., 3, 7 novembre 2000, n. 14479).

Non è superfluo ricordare, in proposito, che la natura di organo giurisdizionale speciale della Commissione centrale per le professioni sanitarie costituisce, sin dall’arresto delle sezioni unite del 18 aprile 1988 n. 3032, approdo esegetico ormai assurto a diritto vivente (confr. Cass. civ., 3, 16 luglio 1999, n. 7513; Cass. civ. sez. un. 6 novembre 1998, n. 11213; Cass. civ. 3, 27 luglio 2001 n. 10284) e che, pur circoscritta la previsione del ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione (di cui al D.Lgs.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233, art. 19) ai soli mezzi con i quali vengano poste questioni di giurisdizione, resta ferma la possibilità di impugnare quelle stesse decisioni innanzi al giudice di legittimità per violazione di legge, ex art. Ili della Costituzione (confr. Cass. civ., 3, 16 luglio 1999, n. 7513; Cass. civ., 3, 2 marzo 2005, n. 4465).

2.2 Così ricostruiti la natura e il regime giuridico del procedimento di irrogazione delle sanzioni disciplinari a carico degli esercenti le professioni sanitarie, nelle varie fasi in cui esso si articola, se ne possono trarre utili elementi di giudizio in ordine alla fondatezza delle doglianze formulate nei motivi di ricorso in esame, sostanzialmente incentrate sulla legittimità della contestazione degli addebiti.

In proposito mette conto evidenziare – sciogliendo la riserva fatta innanzi – che, con riferimento alle modalità di redazione della contestazione, questa Corte ha escluso la necessità di una minuta, completa e particolareggiata esposizione dei fatti ascritti al professionista, reputando all’uopo sufficiente che essa presenti un tasso di precisione tale da consentire all’incolpato di approntare la propria difesa senza rischiare di essere giudicato per fatti diversi da quelli ascrittigli o diversamente qualificabili sotto il profilo disciplinare (confr. Cass. civ., 3, 2 marzo 2005, n. 4465); ha tuttavia negato che la contestazione possa limitarsi a individuare il comportamento asseritamente lesivo di precetti giuridici o del codice deontologico, affermando per contro la necessità di un’esatta individuazione della norma deontologica violata e qualificando l’omessa indicazione della stessa in termini di insanabile contraddittorietà della motivazione (confr. Cass. civ. 3, 24 gennaio 2003, n. 1113; Cass. civ. 3, 31 maggio 2006, n. 12992).

2.3 Venendo al caso di specie, ritiene il collegio che la contestazione degli addebiti mossi all’ A. non resista al vaglio della chiarezza e della precisione, condotto secondo i criteri testè enunciati.

Limitando per il momento l’esame a quello che, secondo lo stesso organo disciplinare, costituisce il cuore dell’incolpazione, l’accusa di avere costituito e gestito soggetti societari in violazione delle norme giuridiche e deontologiche, nonchè, di avere esercitato una attività di gestione ed intermediazione della libera professione in modo lesivo del decoro della professione e della dignità dei colleghi professionisti, è, a giudizio della Corte, criptica e generica: essa, invero, lungi dal descrivere, in concreto, le condotte ascritte all’incolpato, è espressiva di qualificazioni e valutazioni la cui congruenza, in mancanza di una sufficiente esplicitazione della base fattuale, neppure è possibile indagare.

Mette conto all’uopo evidenziare che la puntualità della contestazione non è solo funzionale all’esplicazione del diritto di difesa dell’incolpato. In realtà, c’è un’esigenza di trasparenza dell’azione disciplinare, che rende potenzialmente irrilevante la stessa consapevolezza che l’accusato abbia avuto delle condotte, in tesi deontologicamente scorrette, alle quali alluda la contestazione.

Tale esigenza, enucleabile dai principi generali dell’ordinamento, a cominciare dall’art. 111 Cost., che non tollera processi di incolpazione condotti come camarille di corte, è assolutamente irrinunciabile a sol considerare che, in assenza di una enucleazione oggettivamente chiara dei fatti per cui si procede, riesce praticamente impossibile il controllo giurisdizionale della decisione dell’organo disciplinare, attivabile in base al già richiamato art. 101: controllo comprensivo, come è noto, della violazione e falsa applicazione di nome giuridiche, ma esteso anche alla motivazione, tutte le volte che se ne assuma l’inesistenza, la mera apparenza o l’insanabile contraddittorietà.

A ciò aggiungasi che neppure è dato comprendere se e quando sia stato contestato al sanitario l’addebito di avere disatteso le richieste di informazioni e chiarimenti avanzate dal Presidente del Collegio. Nè tale insanabile lacuna può essere tout court colmata dall’asserita marginalità di siffatta condotta nell’apprezzamento della gravita dell’infrazione, certo essendo invece che anch’essa è comunque rientrata nel paniere dei comportamenti sanzionati dall’organo disciplinare.

I rilievi formulati nei confronti dell’ A., in quanto generici, oscuri, carenti nella indicazione sia delle condotte poste in essere in violazione del codice deontologico, sia delle norme inosservate, prive di ogni precisazione in ordine ai tempi delle pretese infrazioni – che pur sarebbe stata necessaria anche ai fini della verifica della competenza dell’organo competente a procedere – hanno dato corso a un procedimento disciplinare viziato in maniera inemendabile sin dal suo avvio. L’astrattezza dei fatti contestati è tanto più macroscopica in quanto l’esercizio in forma di società, e segnatamente di società cooperativa, della professione infermieristica non è certo vietata, di talchè la precisazione delle condotte e l’esatta indicazione delle norme giuridiche e deontologiche asseritamente violate aveva un’importanza cruciale ai fini della comprensibilità dell’accusa.

Ne deriva che, in accoglimento del primo e del quinto motivo di ricorso, nel quale restano assorbiti gli altri, devono essere cassate senza rinvio sia la decisione della Commissione centrale, sia quella della commissione disciplinare.

La peculiarità della fattispecie e la novità, sotto taluni profili, della soluzione adottata, consigliano di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi dell’art. 89 cod. proc. civ., va disposta la cancellazione dell’espressione proditoriamente contenuta al rigo 17 della pagina 17 del controricorso del Collegio IP.AS.VI., in quanto sconveniente.

PQM

La Corte, accoglie il primo e il quinto motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa senza rinvio, in relazione ai motivi accolti, e la decisione della Commissione centrale, e quella della commissione disciplinare. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Visto l’art. 89 cod. proc. civ., dispone la cancellazione dell’espressione proditoriamente contenuta al rigo 17 della pagina 17 del controricorso del Collegio IP.AS.VI..

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2010

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