Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23631 del 24/09/2019

Cassazione civile sez. III, 24/09/2019, (ud. 03/04/2019, dep. 24/09/2019), n.23631

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4322-2015 proposto da:

CONSORZIO PER L’AREA DI SVILUPPO INDUSTRIALE DI GELA, in persona del

Presidente dell’Istituto Regionale per lo sviluppo delle Attività

Produttive C.A., domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato FRANCESCO TODARO;

– ricorrente –

contro

ENTE ACQUEDOTTI SICILIANI EAS IN LIQUIDAZIONE, in persona del

Commissario Liquidatore e legale rappresentante pro tempore

B.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VILLA PATRIZI N. 13,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA GEMMA, rappresentata e difesa

dall’avvocato AURELIA SPALLINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 72/2014 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 25/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/04/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale di Gela (d’ora in poi, “ASI”) ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 72/14, del 25 giugno 2014, della Corte di Appello di Caltanissetta, che – accogliendo parzialmente il gravame, esperito dall’Ente Acquedotti Siciliani in liquidazione (d’ora in poi, “EAS”) contro la sentenza n. 398/08, del 26 agosto 2008, del Tribunale di Gela – ha ridotto ad Euro 100.000,00 l’importo dovuto da EAS ad ASI quale costo d’esercizio dell’impianto “(OMISSIS)”, per fornitura d’acqua.

2. Riferisce, in punto di fatto, il ricorrente di aver adito il Tribunale gelese – sul presupposto di aver rifornito, per conto di EAS, dall’anno 2000, il serbatoio d’acqua emunta dai pozzi (OMISSIS), serbatoio da essa gestito nel Comune di Gela – per richiedere alla convenuta il pagamento di Euro 636.801,60, oltre interessi e rivalutazione, quale costo di esercizio dell’impianto, nonchè la condanna della stessa al risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale.

Invocava ASI come titolo della propria pretesa una convenzione sottoscritta il 27 settembre 2000 (che avrebbe fissato in L. 900/mc il corrispettivo per la fornitura d’acqua, quale rimborso spese), essendosi successivamente convenuto tra le parti – in data 25 marzo 2002, in sede di conferenza di servizi – di calcolare il costo annuo di gestione applicando i parametri di cui al decreto del Ministro dei Lavori Pubblici del 1 agosto 1996.

Essendo insorti contrasti tra le parti, escludendo EAS l’esistenza ed efficacia vincolante del contratto di fornitura e degli accordi raggiunti, ASI adiva l’autorità giudiziaria, vedendo accogliere – in prime cure – la propria domanda di pagamento, per l’indicato importo di Euro 636.801,60, oltre accessori di legge.

Proposto gravame da EAS, la Corte nissena riformava parzialmente la sentenza, sul rilievo dell’impossibilità,sia di procedere all’esatta determinazione dell’importo, sia di accertare l’effettivo quantitativo d’acqua prelevata dai pozzi. Il giudice di appello, pertanto, condannava EAS a pagare ad ASI l’importo di Euro 100.000,00, risultando, per un verso, come il contratto avesse avuto regolare esecuzione almeno tra il 2001 e il 2003, ed inoltre (come evincibile, in particolare, da una nota del 12 febbraio 2003 del direttore di ASI) che un rappresentante di EAS si fosse impegnato, in un incontro svoltosi presso la Prefettura di Caltanissetta, a pagare la somma suddetta.

3. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione ASI, sulla base di tre motivi.

3.1. Con il primo motivo è dedotta – “in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)” – la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. “per omesso insufficiente e contraddittorio esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Si censura la sentenza impugnata laddove ha escluso che il compenso potesse calcolarsi applicando i criteri di cui al citato D.M. 1 agosto 1996, giacchè la Corte di Appello, in questo modo, avrebbe omesso di esaminare il fatto decisivo costituito dalla clausola “sub” C) dell’accordo del 27 settembre 2000.

D’altra parte, sussisterebbe pure violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., segnatamente laddove la sentenza impugnata reputa arbitraria la commisurazione del corrispettivo al costo di gestione dell’impianto di (OMISSIS), giacchè lo stesso – ha osservato il secondo giudice – risulta “comprensivo di più pozzi ed al servizio non solamente di EAS”, come sarebbe stato “accertato dal CTU”. La doglianza, in particolare, si incentra sul fatto che la Corte nissena sarebbe giunta a tale conclusione “senza aver previamente proceduto alla comparazione delle risultanze della CTU con il contenuto del contratto di fornitura del 27 settembre 2000 e con il rendiconto delle spese di funzionamento dell’impianto”.

3.2. Il secondo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – deduce “mancata valutazione di una prova decisiva”, nonchè “violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c.”.

Si denuncia l’omessa valutazione dello schema di convenzione intervenuta tra EAS e ASI “per l’integrazione idrica al serbatoio di (OMISSIS) dai Pozzi (OMISSIS)”, in forza del quale la prima assumeva l’impegno a ricevere, dalla seconda, la fornitura di 567.648 mc d’acqua l’anno, preventivando la spesa annua di Euro 117.266,43, oltre IVA. Siffatto documento, quantunque sprovvisto di firma, avrebbe dovuto essere utilizzato “quantomeno in via parametrica” per quantificare i metri cubi di acqua prelevati e, quindi, i compensi dovuti ad ASI.

3.3. Il terzo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – ipotizza violazione degli artt. 1362,1363,1366 e 2729 c.c.

Si assume che la sentenza impugnata avrebbe omesso di valutare la sussistenza dei caratteri della gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.p.c. nel suddetto “schema di convenzione”, e nei resoconti consuntivi delle spese effettuate per la gestione dell’impianto, anch’essi sopra richiamati.

4. E’ intervenuto in giudizio EAS con controricorso, per chiedere che il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque rigettato.

5. Con ordinanza interlocutoria questa Corte disponeva rinvio a nuovo ruolo, rilevando che l’avviso di fissazione dell’adunanza camerale del 15 marzo 2018 era avvenuto nei confronti di difensore privo di “ius postulandi”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Il ricorso va rigettato.

6.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

6.1.1. Nella parte in cui esso censura l’omesso esame di clausola contrattuale trova applicazione il principio secondo cui, “in tema di ricorso per cassazione, l’omesso esame della questione relativa all’interpretazione del contratto non è riconducibile al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5), in quanto l’interpretazione di una clausola negoziale non costituisce “fatto” decisivo per il giudizio, atteso che in tale nozione rientrano gli elementi fattuali e non quelli meramente interpretativi” (Cass. Sez. 3, sent. 8 marzo 2017, n. 5795, Rv. 643401-01; in senso analogo anche Cass. Sez. 2, sent. 13 agosto 2018, n. 20718, Rv. 650016-02).

6.1.2. Nella parte, invece, in cui viene censurata la comparazione (o meglio, la mancata comparazione) “delle risultanze della CTU con il contenuto del contratto di fornitura del 27 settembre 2000 e con il rendiconto delle spese di funzionamento dell’impianto”, e dunque la valutazione delle risultanze istruttorie, trova applicazione il principio secondo cui il “cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4), – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01).

6.2. Il secondo motivo è anch’esso inammissibile.

6.2.1. Difatti, e a prescindere dalla questione (sollevata dalla controricorrente) relativa alla “novità” del documento del quale si deduce l’omesso esame, a tale esito conduce, nuovamente, il principio da ultimo richiamato, che esclude qualsiasi sindacato sull’apprezzamento delle prove non legali.

Il tutto, peraltro, non senza tacere che le risultanze di tale documento – nella stessa prospettazione del ricorrente – vengono indicate come utili a consentire, al più, la determinazione “in via parametrica” dei volumi d’acqua forniti (e, dunque, dei compensi dovuti); ciò che esclude che l’omissione denunciata abbia investito un fatto dotato di decisività, giacchè la sentenza impugnata ha ritenuto insussistente la prova non solo dell’entità della fornitura, ma anche del prezzo pattuito. Ciò chiarito, sul punto, va richiamato il principio secondo cui il “mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento”, di talchè “la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa” (Cass. Sez. 3, ord. 26 giugno 2018, n. 16812, Rv. 649421-01).

6.3. Il terzo motivo, infine, non è fondato.

6.3.1. Sul punto occorre muovere dalla constatazione – messa in luce, ancora di recente, da questa Corte – che “in materia di prova presuntiva, compete alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo che i principi contenuti nell’art. 2729 c.c. siano applicati alla fattispecie concreta al fine della ascrivibilità di questa a quella astratta”, giacchè, sebbene sia “devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c. per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tuttavia, tale giudizio non può sottrarsi al controllo in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), se risulti che, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice si sia limitato a negare valore indiziario a singoli elementi acquisiti in giudizio, senza accertarne l’effettiva rilevanza in una valutazione di sintesi” (così, da ultimo, Cass. Sez. 6-5, ord. 5 maggio 2017, n. 10973, Rv. 643968-01).

Orbene, a tale “valutazione di sintesi” non si è sottratta la sentenza impugnata, se è vero che l’impossibilità di attribuire valore indiziario – ai fini della determinazione dei “volumi” di acqua prelevata oltre che all’entità dei compensi da erogarsi per la fornitura d’acqua – ai documenti relativi alla gestione dell’impianto, sotto il profilo specificamente del consumo dell’energia elettrica, è stata motivata dalla Corte Nissena sul rilievo che i consumi energetici di cui alle fatture ENEL non si riferiscono solo alle pompe di aspirazione, “ma ad un vasto impianto comprendente ulteriori attrezzature ed apparecchiature, aventi anche la funzione di trattare l’acqua prelevata dai pozzi”, ovvero prestazioni non erogate dall’odierna ricorrente.

Nessuna violazione delle norme sulle presunzioni è, pertanto, ravvisabile nell’ipotesi in esame.

7. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

8. A carico del ricorrente sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condannando il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale di Gela a rifondere, all’Ente Acquedotti Siciliani in liquidazione, le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 10.200,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 3 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019

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