Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23628 del 24/09/2019

Cassazione civile sez. III, 24/09/2019, (ud. 19/03/2019, dep. 24/09/2019), n.23628

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11464/2016 R.G. proposto da:

T.G., rappresentata e difesa dall’Avv. Saverio Cosi, con

domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Caio Mario, n.

13;

– ricorrente –

contro

Intesa Sanpaolo s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Benedetto Gargani, con

domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale di Villa

Grazioli, n. 15;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 7603/2014 r.g. della Corte d’appello di Roma

depositata il 4 marzo 2016.

Udita la relazione svolta in camera di consiglio dal Consigliere

Cosimo D’Arrigo;

letta l’ordinanza impugnata;

letti il ricorso e il controricorso.

Fatto

RITENUTO

T.G., creditrice di Intesa Sanpaolo s.p.a., ha proceduto esecutivamente nei confronti dell’istituto di credito, notificando un atto di pignoramento presso terzi.

Il giudice dell’esecuzione ha dichiarato estinta la procedura esecutiva e, contro tale provvedimento, la T. ha proposto reclamo ai sensi dell’art. 630 c.p.c., respinto dal Tribunale in composizione collegale con sentenza del 14 ottobre 2014.

Avverso questa decisione la T. ha proposto appello, dichiarato inammissibile ex art. 348-bis c.p.c..

L’ordinanza della Corte d’appello di Roma è stata fatta oggetto di ricorso per cassazione articolato in due motivi.

Intesa Sanpaolo s.p.a. ha resistito con controricorso.

La T. ha depositato memorie difensive ai sensi dell’art. 380-bis-1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata.

Il ricorso è inammissibile per un duplice ordine di ragioni.

Anzitutto, l’art. 348-ter c.p.c., comma 3, dispone che quando è pronunciata l’inammissibilità dell’appello, può essere proposto ricorso per cassazione contro il provvedimento di primo grado. Nella specie, invece, il ricorso è stato proposto contro l’ordinanza della Corte d’appello. Dal che deriva l’inammissibilità del ricorso.

Non vale, in senso diverso, il precedente invocato dalla T., che si riferisce ad ipotesi “anomale” in cui la corte d’appello, pur avendo deciso ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., ha adottato provvedimenti ulteriori rispetto alla sola declaratoria di inammissibilità del gravame.

Invero, le Sezioni unite di questa Corte hanno precisato che, nel silenzio della legge, l’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348-ter c.p.c. è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali, per mero esempio, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui all’art. 348-bis c.p.c., comma 2 e art. 348-ter c.p.c., comma 1, primo periodo e comma 2, primo periodo), purchè compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso (Sez. U, Sentenza n. 1914 del 02/02/2016, Rv. 638368).

Nella specie, i motivi del ricorso attengono al merito della decisione di primo grado e non contengono alcuna denuncia di vizi procedurali propri della fase d’appello. Gli stessi dovevano essere quindi proposti impugnando la sentenza di primo grado e non l’ordinanza di inammissibilità pronunciata dalla corte d’appello.

Vi è poi, come già accennato, una seconda ragione di inammissibilità.

Il ricorso, infatti, è privo dell’esposizione, ancorchè sommaria, dei fatti di causa, sostituita dalla mera riproduzione fotostatica degli atti processuali. Esso quindi non soddisfa i requisiti di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

In particolare, il ricorso in esame va ascritto al genere dei c.d. ricorsi assemblati, ossia nei quali l’esposizione dei fatti di causa è sostituita dall’interpolazione grafica o dalla testuale riproduzione degli atti dei gradi di merito. Il ricorso per cassazione redatto mediante assemblaggio – cioè attraverso la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale, contenuto degli atti processuali – è carente del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che non può, a fronte dell’utilizzo di tale tecnica, neppure essere desunto, per estrapolazione, dall’illustrazione del o dei motivi (Sez. 6 – 3, Sentenza n. 3385 del 22/02/2016, Rv. 638771). Ciò in quanto la tecnica di redazione mediante integrale riproduzione di una serie di documenti si traduce in un’esposizione dei fatti non sommaria, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, e comporta un mascheramento dei dati effettivamente rilevanti, tanto da risolversi in un difetto di autosufficienza (Sez. 5, Sentenza n. 18363 del 18/09/2015, Rv. 636551).

Tale elaborazione giurisprudenziale è peraltro conforme a quanto già ritenuto dalle Sezioni unite, secondo cui, ai fini del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso (Sez. U, Sentenza n. 5698 del 11/04/2012, Rv. 621813).

Il ricorso è quindi inammissibile, anche perchè alla carenza espositiva non è possibile rimediare accedendo ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa lo stesso provvedimento impugnao (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1926 del 03/02/2015, Rv. 634266; Sez. 1, Sentenza n. 19018 del 31/07/2017, Rv. 645086).

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lei proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019

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