Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23628 del 21/11/2016


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Cassazione civile sez. I, 21/11/2016, (ud. 28/04/2016, dep. 21/11/2016), n.23628

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI NOEPOLI, elettivamente domiciliato in Roma, Via S. Tommaso

D’Aquino, n. 119, nello studio dell’avv. Carlo Marcone;

rappresentato e difeso dall’avv. Raffaele Melfi, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.D., elettivamente domiciliato in Roma, Via Dardanelli,

n. 37, nello studio dell’avv. Fabrizio Salberini; rappresentato e

difeso dall’avv. Mario Danza, giusta procura speciale a margine del

controricorso.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Potenza, n. 324,

depositata in data 23 novembre 2007;

sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 28 aprile 2016

dal Consigliere Dott. Pietro Campanile;

sentito per il ricorrente l’avv. Melfi;

udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. RUSSO Giovanni Rosario, il quale ha concluso per

l’accoglimento del quinto motivo; in subordine accoglimento del

secondo motivo, con assorbimento dei restanti motivi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 Con sentenza depositata in data 26 gennaio 2000 il Tribunale di Lagonegro, avendo già dichiarato la propria incompetenza per territorio in relazione a una domanda di garanzia avanzata nei confronti di Agensud, previa revoca del decreto ingiuntivo emesso, ad istanza dell’imprenditore F.D., per l’importo di Lire 201.0030.066 a titolo di interessi per ritardato pagamento del compenso revisionale e del saldo dei lavori dati in appalto per il ripristino di una strada, condannava il Comune di Noepoli al pagamento della somma Lire 20.923.304, oltre ulteriori interessi.

1.1 – Con la decisione indicata in epigrafe la Corte di appello di Potenza, in parziale accoglimento del gravame proposto dal F., per quanto in questa sede ancora rileva, ha condannato il Comune di Noepoli al pagamento degli interessi sul compenso revisionale di Lire 306.219.000, calcolati ai sensi dell’art. 36 del capitolato generale o.o. p.p., con decorrenza dal 120^ giorno successivo al 10 aprile 1989 e fino al 16 settembre 1991.

1.2 – La corte distrettuale, disattesa preliminarmente l’eccezione del F. intesa a far valere una rinuncia della controparte all’azione, a fronte delle contrapposte tesi che individuavano il “dies a quo” per il calcolo della revisione, da un lato, nella data del riconoscimento del relativo diritto avvenuto con Delib. dell’Agensud, come ritenuto dal Tribunale, ovvero, come affermato da parte dell’impresa, nella data di ultimazione dei lavori o quanto meno in quella del precedente riconoscimento da parte del Comune (aprile 1989), ha premesso che nella specie, dovevano applicarsi, in virtù della L. n. 700 del 1974, art. unico, gli artt. 35 e 36 del capitolato generale d’appalto delle opere pubbliche, e che il suddetto riconoscimento doveva provenire dall’organo dell’ente committente a tanto abilitato.

1.3 – Ha quindi osservato che la Giunta del Comune di Noepoli (che in precedenza aveva stipulato il contratto di appalto) aveva approvato, in data 10 aprile 1989, la contabilità finale, contenente l’espressa previsione della revisione prezzi per Lire 333.217.878 e che doveva quindi tenersi conto della data di tale Delib., non essendo necessaria, ai fini del diritto alla corresponsione del compenso revisionale, alcuna domanda da parte del F., nè avendo il Comune dimostrato che il ritardato pagamento era avvenuto per cause ad esso non imputabili, non rilevando a tale fine il momento del trasferimento delle risorse finanziarie a detto ente da parte dell’Agensud.

1.4 – Per la cassazione di tale decisione il Comune di Noepoli propone ricorso, affidato a cinque motivi, cui il F. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 – Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata per lesione del principio del contraddittorio, con violazione degli artt. 82, 115 e 132 disp att. c.p.c., per non essere stata comunicato al difensore del Comune il Decreto in data 9 marzo 2007 con cui il Presidente assegnava la causa al consigliere M., il quale aveva poi fissato l’udienza collegiale del 30 ottobre 2007, cui aveva partecipato il solo difensore della controparte.

2.1 – Con il secondo mezzo, denunciandosi violazione e falsa applicazione del D.Lgs.C.P.S. n. 1501 del 1947, artt. 1 e 2 e del R.D. n. 148 del 1915, artt. 139 e 140, si sostiene che erroneamente era stato ritenuta la sussistenza di un valido riconoscimento del diritto al compenso revisionale, non essendo a tal fine corretta la valorizzazione della Delib. della Giunta Comunale, non ratificata dal Consiglio comunale.

2.2 – Con il terzo motivo si sostiene che il riconoscimento del diritto alla revisione sarebbe validamente avvenuto soltanto con la Delib. Agensud 16 gennaio 1991, ragion per cui si sarebbe dovuto tener conto di tale dato ai fini della determinazione della decorrenza degli interessi in materia di revisione.

2.3 – La quarta censura attiene alla violazione dell’art. 1218 c.c. e alla mancata valutazione delle prove circa l’addebitabilità del ritardo ad Agensud.

2.4 – Con l’ultimo motivo si deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 1362 c.c., in merito all’omessa valutazione della clausola con la quale era stato escluso qualsiasi indennizzo per il ritardo nei pagamenti.

2.5 – In relazione a tutti i motivi sopra richiamati sono stati formulati validi quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis.

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 – Il ricorso appare meritevole di accoglimento, nei limiti appresso indicati.

3 – Il primo motivo è infondato. La doglianza relativa all’omessa comunicazione al difensore del Comune del decreto con cui veniva fissata l’udienza collegiale del 30 ottobre 2007 non tiene conto del fatto che il difensore avv. Melfi, con studio in Senise, nel circondario del tribunale di Lagonegro, non aveva eletto domicilio in Potenza.

Deve in proposito richiamarsi il principio secondo cui R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82 – secondo cui gli avvocati, i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del Tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, intendendosi, in caso di mancato adempimento di detto onere, lo stesso eletto presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria adita – trova applicazione in ogni caso di esercizio dell’attività forense fuori del circondario di assegnazione dell’avvocato, come derivante dall’iscrizione al relativo ordine professionale, e, quindi, anche nel caso in cui il giudizio sia in corso innanzi alla corte d’appello e l’avvocato risulti essere iscritto all’ordine di un tribunale diverso da quello nella cui circoscrizione ricade la sede della corte d’ appello, ancorchè appartenente allo stesso distretto di quest’ultima (Cass., Sez. Un., 20 giugno 2012, n. 10143). Validamente, pertanto, la comunicazione venne effettuata presso la cancelleria della Corte di appello adita, come risulta dall’esame degli atti, consentito dalla natura procedurale del vizio denunciato.

4 – Ragioni di priorità sul piano logico giuridico impongono a questo punto l’esame della questione dedotta con il quinto motivo, essendo evidente la portata decisiva della clausola relativa all’esclusione di qualsiasi indennizzo per il ritardato pagamento.

4.1 – La censura è inammissibile, in quanto la questione risulta dedotta per la prima volta in sede di legittimità. Invero nella sentenza impugnata manca qualsiasi accenno alla suddetta clausola, nè il tema può considerarsi ritualmente sottoposto all’esame della Corte distrettuale (in maniera tale da configurare una omessa pronuncia, per altro non dedotta) attraverso – come si legge nel ricorso – “l’espresso rinvio a quanto eccepito e dedotto nei propri scritti difensivi e nei verbali di primo grado”.

Infatti, con riferimento alla disposizione contenuta nell’art. 346 c.p.c., questa Corte ha in più occasioni affermato che il mero richiamo generico alle conclusioni assunte in primo grado non può essere ritenuto sufficiente a manifestare la volontà di sottoporre al giudice dell’appello una domanda o eccezione non accolta dal primo giudice, al fine di evitare che essa si intenda rinunciata (Cass., 25 novembre 2010, n. 23925; Cass., 11 maggio 2009, n. 10796).

5 – Il secondo mezzo è fondato.

La corte distrettuale, dopo aver precisato che il soggetto abilitato ad approvare la revisione era il Comune di Noepoli, per aver stipulato il contratto di appalto, ha rilevato che “la Giunta del Comune di Noepoli, in data 10 aprile 1989, sul presupposto riconosciuto che i lavori erano stati regolarmente eseguiti dall’appaltatore, approvò la contabilità finale dando atto che essa conteneva l’espressa previsione della revisione prezzi per Lire 333.217.878”.

5.1 – Il rilievo del ricorrente, secondo cui la Delib. concernete la revisione, il cui riconoscimento da parte della stazione appaltante era necessario sulla base del quadro normativo vigente “ratione temporis”, non sarebbe stata approvata dall’organo competente, è condivisibile.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte in merito al quadro normativo applicabile nella specie, il diritto dell’appaltatore alla revisione dei prezzi, sorge (dopo la L. n. 47 del 1973) soltanto per effetto e dal momento del riconoscimento della revisione medesima da parte dell’amministrazione. Tale riconoscimento non può che perfezionarsi con le modalità richieste dalle norme sull’evidenza pubblica, per i comuni, contenute nel R.D. n. 148 del 1915, nonchè nelle leggi successive in materia e deve perciò provenire necessariamente dall’organo dell’ente pubblico abilitato a manifestarne la volontà che è esclusivamente il Consiglio comunale (Cass., Sez. Un., 25 febbraio 2009, n. 4463; Cass. Sez. Un., 5 aprile 2005, n. 6993; Cass. Sez. Un., 3 novembre 2005, n. 21292).

5.2 – Deve quindi ribadirsi che non può assurgere a valido ed efficace riconoscimento del diritto dell’appaltatore alla revisione il provvedimento, pur espressamente attributivo della revisione stessa, pur quando adottato dal Sindaco e dalla Giunta municipale in via d’urgenza, ove la Delib. non sia stata ratificata dal Consiglio Comunale (v. anche Cass., Sez. Un., 19 marzo 1999, n. 165).

5.3 – L’istituto della revisione dei prezzi contrattuali, onde adeguarli ai mutati costi dei fattori produttivi, per gli aggravi economici che impone alla stazione appaltante, è infatti disciplinato in ogni sua fase dalla legge e correlato ad un potere attribuito alla p.a. nell’interesse pubblico, che perciò opera al di fuori del contratto (nonchè delle spese in esso previste) con effetti su di esso. Ben vero esso è strutturato come un procedimento concessorio rimesso alla discrezionalità dell’amministrazione appaltante. Conseguentemente, per l’impegno di nuove spese che esso comporta, il riconoscimento della revisione negli appalti dei comuni rientrava, già ai sensi del menzionato R.D. n. 148 del 1915, art. 131, nella competenza esclusiva del Consiglio comunale a deliberare “nuove e maggiori spese, nonchè lo storno di fondi da una categoria ad un’altra del bilancio” (punto 10), e non in quella della G.M. (artt. 139 e 140), che al più, nelle ipotesi di particolare urgenza – tale da non consentire la convocazione del Consiglio – poteva adottare in via provvisoria la relativa deliberazione, tuttavia subordinata quanto alla sua efficacia alla ratifica del Consiglio comunale. Abrogate le nuove competenze degli organi, introdotte dal R.D. 3 marzo 1934, n. 383, ad opera del R.D.L. 4 aprile 1944, n. 111, art. 13, la L. 9 giugno 1947, n. 530, art. 25, dispose: “Le attribuzioni ed il funzionamento dei Consigli e delle Giunte comunali sono regolati dal testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con R.D. 4 febbraio 1915, n. 148 e dalle modifiche contenute nel R.D. 30 dicembre 1923, n. 2839”. Venne pertanto ripristinata la competenza del Consiglio comunale a disporre e/o riconoscere la revisione, che permaneva dunque sia all’epoca in cui furono stipulati i contratti di appalto tra le parti, sia a quella della Delib. in esame.

5.4 – La questione sopra indicata si intreccia con il tema del riconoscimento implicito, in realtà non affrontato nella decisione impugnata, dovendosi al riguardo precisare che lo stesso in tanto può comportare l’insorgere di una valida obbligazione dell’Amministrazione committente alla revisione dei prezzi, in quanto la corrispondente manifestazione volontà provenga in ogni caso dall’organo deliberativo del soggetto pubblico appaltante (v. la citata Cass. n. 4463 del 2009 e Cass., Sez. Un., 28 ottobre 1995 n. 11312). Sotto tale profilo la percezione di un acconto da parte del F., cui si accenna nella sentenza impugnata (allo scopo di escludere – in parte qua – il conteggio degli interessi: pag. 7), in tanto può intendersi come riconoscimento implicito in quanto riconducibile a una volontà dell’organo del Comune a tanto abilitato (cfr., amplius, la citata Cass. n. 4463 del 2009, in motivazione).

6 – Il terzo motivo, a ben vedere, rimane assorbito: mette conto di sottolineare, per altro, che, indipendentemente dal rapporto di delegazione intersoggettiva instauratosi fra la Cassa per il Mezzogiorno e il Comune, ostativo alla rilevanza esterna, nei rapporti con l’impresa appaltatrice (cfr., per tutte, Cass., Sez. un., 3 giugno 1992, n. 6188), della Delib. 16 gennaio 1991 di Agensud, subentrata alla suddetta Cassa, la decorrenza degli interessi da tale data, invocata dall’ente ricorrente, corrisponde alla statuizione resa al riguardo dal Tribunale di Lagonegro, impugnata dal solo F., con argomenti – condivisi dalla Corte di appello – contrastanti, per le ragioni evidenziate – con l’orientamento di questa Corte in tema di riconoscimento del diritto alla revisione.

7 – Va rilevata, infine, l’infondatezza del quarto motivo, dovendosi al riguardo richiamare l’insegnamento di questa Corte secondo cui in materia di responsabilità contrattuale, l’art. 1218 c.c., è strutturato in modo da porre a carico del debitore, per il solo fatto dell’inadempimento, una presunzione di colpa superabile mediante la prova dello specifico impedimento che abbia reso impossibile la prestazione o, almeno, la dimostrazione che, qualunque sia stata la causa dell’impossibilità, la medesima non possa essere imputabile al debitore. Peraltro, perchè l’impossibilità della prestazione costituisca causa di esonero del debitore da responsabilità, non basta eccepire che la prestazione non possa eseguirsi per fatto del terzo, ma occorre dimostrare la propria assenza di colpa con l’uso della diligenza spiegata per rimuovere l’ostacolo frapposto da altri all’esatto adempimento. Con particolare riferimento al ritardo cagionato dal finanziamento da parte del terzo si rende applicabile il principio, già affermato da questa Corte (Cass., 23 ottobre 2014, n. 22580; Cass., 6 giugno 2013, n. 14340, in motivazione, proprio in relazione a finanziamenti da parte di Agensud; v. anche, in fattispecie analoga, Cass., 16 marzo 2012, n. 4214), secondo cui l’ente finanziatore non è tenuto a rivalere il concessionario della somma che si sia obbligato a versare all’appaltatore, salvo che non sia stata stipulata una convenzione accessoria all’atto di concessione, con la quale l’ente garantisca la tempestiva erogazione del finanziamento, ovvero la copertura del concessionario dai rischi derivanti per i ritardi nei pagamenti dovuti all’appaltatore.

Deve quindi ribadirsi che, in tema di responsabilità da ritardo del committente nei pagamenti degli acconti e del saldo quale corrispettivo delle opere eseguite nell’ambito di rapporto di appalto pubblico, in favore dell’appaltatore, causato dal ritardo nell’erogazione del finanziamento da parte di altro ente pubblico, non può essere esclusa la responsabilità del debitore per il ritardato pagamento in quanto i fatti, in apparenza ascrivibili ad un soggetto terzo-finanziatore, restano imputabili al committente-debitore in mancanza di una convenzione ulteriore, con la quale l’ente finanziatore garantisca al committente la tempestiva erogazione del finanziamento.

8 – La decisione impugnata, pertanto, va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Potenza, che, in diversa composizione, applicherà i principi sopra indicati, provvedendo, altresì, al regolamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2016

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