Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23622 del 27/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 27/10/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 27/10/2020), n.23622

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianlu – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28943/14 proposto da:

DI. PI. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona dei suo legale

rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Nicola

Maglione in forza di procura speciale rilasciata in calce al

ricorso, elettivamente domiciliato in Roma alla Via Roberto

Bencivenga n. 32 presso il Dott. Carmine Arganese.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12.

– controricorrente –

e:

Ministero delle Finanze, in persona del ministro p.t..

– intimato –

avverso la sentenza n. 6452/52/14 della Commissione tributaria

regionale della Campania, depositata il 25 giugno 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12 novembre 2019 dal Consigliere Gianluca Grasso.

 

Fatto

RITENUTO

che:

– la società contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate di (OMISSIS) aveva richiesto il pagamento di Euro 107.142,69 per Ires, Irap, Iva, comprensivi di sanzioni e interessi per l’anno 2007, a seguito del PVC redatto in dato 10 novembre 2009 dai funzionari della Direzione regionale della Campania;

– la Commissione tributaria provinciale di Napoli ha respinto il ricorso;

– la Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello, escludendo che l’avviso di accertamento fosse carente di motivazione in quanto riportava le risultanze del PVC redatto nei confronti di P.F., contenendo l’indicazione e la valutazione di tutti gli elementi di fatto e delle ragioni giuridiche poste alla base dell’accertamento e aggiungendo che l’accertamento si è basato anche su indagini svolte nei confronti della DI. PI. S.R.L. Il giudice del gravame, inoltre, ha ritenuto di condividere la decisione di primo grado sulla legittimità dell’accertamento in quanto basato su presunzioni gravi, precisi e concordanti, idonee a far ritenere inesistente la ditta P.F. e, quindi, a sua volta inesistenti le operazioni oggetto delle fatture emesse in favore della società contribuente. Tali presunzioni non sono state contrastate da alcuna prova fornita dalla contribuente, che ha depositato documentazione a tal fine inidonea;

– il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi;

– l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si contesta la violazione dell’art. 360 c.p.c., illogica e contraddittoria motivazione su fatti decisivi. Parte ricorrente deduce la contraddizione presente nella pronuncia impugnata nella parte in cui, da un lato, ritiene necessario l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di allegare l’atto richiamato e, dall’altro, conclude asserendo che l’obbligo ai motivazione è soddisfatto allorquando l’avviso di accertamento contiene l’indicazione e la valutazione di tutti gli elementi di fatto e delle ragioni giuridiche poste alla base dell’accertamento stesso, ritenendo di fatto sufficiente che l’atto impugnato riproduca il contenuto essenziale dell’atto richiamato e non allegato (PVC). Si evidenzia, inoltre, che la eccepita mancanza di motivazione dell’accertamento, a seguito della omessa allegazione del PVC prima e, la eccepita mancata motivazione del rigetto di tale motivo di ricorso nella impugnata sentenza della Commissione tributaria provinciale poi, assurgono a validi motivi di illegittimità della sentenza di primo grado, riportati nei motivi di appello, ai quali la CTR ha omesso di rispondere;

– con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa e insufficiente motivazione della sentenza impugnata per non aver la Commissione tributaria regionale di Napoli enunciato quale fosse la prova fornita dall’Agenzia delle entrate in base alla quale i costi riferiti alla ditta P. – fornitore – fossero da recuperare a tassazione. Si evidenzia, al riguardo, che la Commissione tributaria regionale ha ridato efficacia all’accertamento tributario facendo propri i vizi di questo provvedimento, finendo, inammissibilmente, per fondare la decisone sulla base delle risultanze di un PVC redatto nei confronti della ditta P. – fornitore – e non della ditta ricorrente-contribuente, nei cui confronti l’accertamento è stato eseguito;

– con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione art. 360 c.p.c., comma 1, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.. Secondo parte ricorrente, la Commissione tributaria regionale ha omesso il controllo sulla necessità da parte dell’Agenzia dell’entrate di provare che l’operazione commerciale, documentata dalle fatture ricevute dalla ditta P., in realtà non era stata mai posta in essere. La Commissione tributaria regionale si limiterebbe ad affermare che l’esistenza dei contratti di subappalto non prova la effettiva esecuzione degli stessi, riportando come prova della inesistenza soggettiva e oggettiva dell’operazione commerciale gli stessi elementi e circostanze, che hanno fornito le presunzioni, su cui è stato formulato l’avviso di accertamento. La pronuncia impugnata avrebbe finito così per invertire, in violazione dell’art. 2697 c.c., l’onere della prova, ritenendo la società ricorrente responsabile della mancata prova della effettività dell’operazione commerciale sottostante e conseguente ai contratti di subappalto;

– con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, per omessa, e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato in merito alla accezione di violazione del principio della capacità contributiva e dell’assurdità del reddito accertato, come effetto del disconoscimento dei costi riconducibili alla ditta P.. Al riguardo, la Commissione tributaria regionale avrebbe errato nell’escludere la violazione del principio di capacità contributiva per non aver il contribuente provato, nemmeno in giudizio, di aver sostenuto costi ulteriori a quelli dichiarati. Parte ricorrente evidenzia che l’eccezione sollevata dalla ricorrente non andava affatto provata con la dimostrazione di ulteriori costi oltre quelli già dichiarati;

– i motivi primo, terzo, quarto e quinto, da esaminarsi congiuntamente, in quanto strettamente connessi, devono essere respinti;

– l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415);

– inammissibili risultano le doglianze sulla motivazione, così come proposte in relazione al primo e al terzo motivo, in quanto non correlate specificamente a determinati fatti storici che sarebbero stati omessi nella valutazione compiuta dalla Commissione tributaria regionale, risultando parimenti inammissibile il quinto motivo ove si denuncia un’insufficienza della motivazione, anch’essa inibita dal nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5. Riguardo al quarto motivo, inoltre, vi è da osservare che la Commissione tributaria regionale non ha alterato il criterio di ripartizione dell’onere della prova (onere da parte dell’Amministrazione di fornire la prova dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, a fronte del quale il contribuente è tenuto a provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate), ma ha valutato le prove offerte. Per altro verso non si è in presenza di una motivazione totalmente mancante o meramente apparente, ovvero del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione in violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (Cass. 25 settembre 2018, n. 22598);

– infondate sono le censure in punto di diritto;

– secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema d’Iva, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’Iva e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27554; Cass. 5 luglio 2018, n. 17619; Cass. 15 maggio 2018, n. 11873);

– nel caso di specie, la pronuncia impugnata ha dato adeguato conto delle ragioni poste alla base dell’assolvimento dell’onere della prova da parte dell’Agenzia delle entrate con l’avviso di accertamento, evidenziando la sussistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, idonee a far ritenere che la ditta P.F. fosse una cosiddetta cartiera (nella sede dichiarata non risultava alcuna azienda operativa, neanche in passato; assenza di una struttura aziendale e organizzazione amministrativa commerciale in capo alla ditta e di personale dipendente; P.F. non ha mai presentato le dichiarazioni fiscali ai fini Irpef, Irap, Iva e sostituti di imposta, nè ha effettuato versamenti di imposta a mezzo modello F24 o trasmesso elenco di clienti e fornitori) e, di conseguenza, che fossero inesistenti le operazioni relative alle fatture emesse nei confronti della contribuente (in base al successivo esame delle fatture emesse dalla ditta in favore della contribuente, emerse a seguito del controllo incrociato, emergeva che la Di.PL s.r.l. non aveva esibito, a seguito di invito dell’Ufficio, alcuna documentazione contabile, ma solo il mastrino di sottoconto intestato al fornitore P.F., non idoneo a provare l’esistenza delle operazioni relative alle fatture elencate nell’avviso);

– a fronte di tali elementi, la Commissione tributaria regionale, con valutazione di merito, ha ritenuto che tali presunzioni non fossero state contrastate da alcuna prova fornita da parte della società contribuente, non avendo questa depositato alcuna scrittura contabile ed essendosi limitata a produrre due contratti di subappalto non recanti data certa e che presentavano numerosi elementi di incertezza in ordine all’attività effettivamente svolta, al luogo della sua realizzazione e alle modalità di pagamento del prezzo pattuito. Alcuna prova, inoltre, è stata fornita in ordine al collegamento tra le fatture dell’anno 2007 e i detti contratti, nè delle modalità di pagamento;

– con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, per violazione dello Statuto del contribuente, art. 7. Violazione del diritto di difesa del contribuente. Secondo quanto prospettato, la Commissione tributaria regionale ha omesso di valutare la circostanza decisiva per il giudizio che, a seguito della mancata allegazione del PVC all’avviso di accertamento, nonchè della mancata riproduzione dello stesso anche solo sommariamente nel medesimo avviso, il contribuente non ha potuto esercitare il diritto di difesa, non essendo in grado di conoscere le contestazioni che gli venivano mosse. La Commissione tributaria regionale avrebbe omesso di rilevare la decisiva importanza ai fini della decisione, motivando erroneamente sulla presenza di indizi a carico della ditta P. che sanciscono l’inesistenza delle operazioni passive, ignorando l’impossibilità del contribuente di difendersi per la mancanza di precise e circostanziate contestazioni a suo carico;

– il motivo è inammissibile;

– con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404);

– la contestazione, così come formulata, non corrisponde al contenuto della decisione, da cui emerge che l’accertamento è basato anche su indagini svolte nei confronti della DI. PI. s.r.l.. Con accertamento di fatto non contestato, la Commissione tributaria regionale ha valorizzato il fatto che la Di.Pi. “non ha esibito la richiesta documentazione contabile”. La doglianza, pertanto, implica un diverso accertamento di fatto, inammissibile in sede di legittimità e contrastante con quello indicato in sentenza, secondo cui l’avviso riporta tutti gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche poste alla base dell’accertamento;

– il ricorso va pertanto respinto;

– le spese seguono la soccombenza come da dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 5.600,00 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2020

 

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