Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23621 del 27/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 27/10/2020, (ud. 20/07/2020, dep. 27/10/2020), n.23621

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24194-2016 proposto da:

F.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO

96, presso lo studio dell’avvocato LETIZIA TILLI, rappresentato e

difeso dall’avvocato SABATINO CIPRIETTI;

– ricorrente –

contro

NUOVA CASSA DI RISPARMIO DI CHIETI S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

POMPEO MAGNO 23/A, presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO PROIA,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCO DI TEODORO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 412/2016 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 14/04/2016, R.G.N. 317/2015.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

– con sentenza in data 14 aprile 2016, la Corte d’Appello di L’Aquila, confermando la decisione di primo grado, ha respinto l’appello proposto da F.C., nei confronti della Cassa di Risparmio di Chieti, avverso la sentenza che aveva accolto l’opposizione della società al precetto e al pignoramento e condannato l’opposto alla restituzione in favore dell’istituto di credito della complessiva somma di Euro 242.596,52 oltre accessori;

– in particolare, la Corte ha ritenuto di condividere integralmente le conclusioni del giudice di primo grado e, evidenziando che la Cassa di Risparmio, in esecuzione del titolo azionato, aveva già provveduto spontaneamente a pagare sei mesi prima della notifica del precetto la somma di Euro 239.954,29, ha ritenuto altresì, corretta la compensazione integrale delle spese di lite;

– per la cassazione della sentenza propone ricorso F.C., affidandolo a quattro motivi;

– resiste, con controricorso, la Nuova Cassa di Risparmio di Chieti S.p.A..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

– con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 oltre che l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio in relazione al rigetto del primo motivo di appello con cui si lamentava la mancata utilizzazione dei conteggi addotti, contenenti analitica ricostruzione del credito;

– con il secondo motivo, si deduce la violazione del giudicato per essere state portate in detrazione le somme relative al periodo 1993/2003 (sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 4);

– con il terzo motivo si censura la sentenza di secondo grado per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla prova dello svolgimento di attività lavorativa oltre il normale orario di lavoro;

– con il quarto motivo, si lamenta la violazione delle medesime disposizioni 115 e 116 nonchè degli artt. 91 e 92 c.p.c.;

– tutti i motivi, da esaminarsi congiuntamente per l’intima connessione, sono sotto taluni aspetti inammissibili e, sotto altri, infondati e, pertanto, non possono essere accolti;

– va premesso, con riguardo alle denunziate violazioni degli artt. 115 e 116 c.p.c., che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di, ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960);

– premessi poi gli angusti limiti in cui può essere fatto valere il vizio di motivazione in caso di doppia pronuncia conforme, per quanto concerne l’omesso esame, va rilevato in primo luogo che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 23940 del 2017), talchè la verifica di tutti gli altri aspetti è sottratta al giudizio di legittimità;

– relativamente, poi, alla dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., va evidenziato che il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (“petitum” e “causa petendi”), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti;

– nel caso di specie, appare evidente che, denunziandosi la lesione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato in ordine alla mancata utilizzazione dei conteggi addotti in primo grado – e “sostituiti” dalle valutazioni del CTU nominato – si mira, in realtà, ad ottenere una inammissibile rivisitazione di una questione di merito non consentita in sede di legittimità;

– a guardar bene chiedendosi una diversa quantificazione del credito (alla luce del computo del compenso previsto dall’art. 33 CCNL e dall’art. 14 del contratto aziendale per lo svolgimento di lavoro straordinario, circostanza, questa, ritenuta non provata dal giudice di merito), si chiede, in realtà, una nuova valutazione di fatto, inammissibile in sede di legittimità a fronte della motivazione, in fatto, del giudice d’appello;

– con particolare riguardo alla dedotta violazione della normativa sul governo delle spese, va rilevato che l’unico onere che grava sul giudice è quello di non addossare le stesse integralmente in capo valla parte vittoriosa, mentre, come è evidente, parte ricorrente mira piuttosto ad ottenere, anche sotto tale profilo, una diversa regolamentazione delle spese formulando istanze inammissibili in sede di legittimità, atteso che, in particolare, salvo il rispetto dei parametri minimi e massimi la determinazione in concreto del compenso per le prestazioni professionali di avvocato è rimessa esclusivamente al prudente apprezzamento del giudice di merito cui spetta, altresì, la decisione circa la parte, soccombente, cui addossarle (sul punto, V. fra le più recenti, Cass. n. 4782 del 20 febbraio 2020);

– nel caso di specie, il Collegio ha congruamente motivato in ordine alla propria condivisione della decisione del giudice di primo grado, proprio alla luce della sostanziale irrisorietà dell’importo dovuto al F. rispetto alla somma da lui precettata e pignorata, che, peraltro, l’Istituto aveva provveduto spontaneamente a corrispondere sei mesi prima della notifica del precetto (nell’ammontare di Euro 239, 954,29);

– nessun difetto di pronunzia si configura, poi, con riguardo alla dedotta violazione del giudicato, nè sussiste violazione di legge (qualora volesse reputarsi erroneo il riferimento al n. 4 anzichè al n. 3 dell’art. 360 c.p.c.): invero, la Corte d’appello, con puntuale motivazione, richiamando la decisione del giudice di primo grado, ha ritenuto di affermare che il contenuto precettivo divenuto definitivo tra le parti è limitato al pagamento delle sole differenze retributive tra quanto effettivamente percepito e quanto l’appellante avrebbe dovuto percepire in forza del superiore inquadramento. In matematica si chiama resto o differenza il risultato della operazione di sottrazione);

– alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi, il ricorso deve essere respinto;

– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, art. 1 -bis, se dovuto.

PQM

La Corte respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 4000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15/0 e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 20 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2020

 

 

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