Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23620 del 11/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 11/11/2011, (ud. 22/09/2011, dep. 11/11/2011), n.23620

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32178/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

IMP SCHIAVONE COSTR SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 166/2004 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 29/09/2 005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

udito per il ricorrente l’Avvocato SPINA M. LUISA, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 29 settembre 2005 la Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato gli appelli riuniti che l’Agenzia delle entrate aveva proposto nei confronti della proprietaria soc. Impresa Schiavone Costruzioni, confermando l’annullamento degli avvisi di accertamento notificati alla contribuente per IRPEG/ILOR in relazione all’omessa contabilizzazione negli anni 1995 e 1997 di canoni locativi riscossi, invece, dal custode d’immobili sottoposti a sequestro giudiziario. Ha motivato la decisione ritenendo che:

a) il legislatore del 1973 (D.P.R. n. 597) e del 1986 (D.P.R. n. 917), quanto al presupposto fiscale, ha inteso riferirsi alla titolarità giuridica dei redditi quale materiale disponibilità di essi da parte del soggetto d’imposta, comprendendo nel reddito complessivo, non soltanto i redditi propri, ma anche quelli dei quali abbia la libera disponibilità;

b) il possesso di un reddito, secondo la terminologia tributaria, non deve essere assunto nella sua accezione civilistica, cioè come situazione di fatto sulla cosa corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale, bensì come mera disponibilità del reddito stesso, ossia come effettiva possibilità di fruire del reddito anche senza averne la titolarità giuridica;

c) il custode giudiziario, disponendo dei beni sequestrati e del reddito prodotto, diventa il destinatario di tutti i relativi obblighi formali e sostanziali, ivi compresi quelli fiscali, così come chiarito anche da risoluzioni ministeriali (es. n. 184/E del 14/08/1996, in materia di IVA) e desumibile, inoltre, dall’art. 2 T.U.I.R. (nella parte in cui, stabilendo che l’imposta si applica solo sui redditi posseduti da contribuente, esclude dalla tassazione i redditi non disponibili). Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un solo motivo, l’Agenzia delle entrate; la soc. contribuente non si è costituita.

Disposta la rinnovazione della notifica del ricorso, la ricorrente vi ha provveduto 12 aprile 2011 nel termine concessole giusta ordinanza del 21 febbraio 2011, comunicata il 5 aprile 2011. La soc. contribuente non si è costituita, nonostante la ricezione dell’atto sia avvenuta in data 15 aprile 2011 (dep. 31/05/2011).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.-Con l’unico motivo, l’avvocatura erariale denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 1, 3,6 e 86, e dell’art. 670 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Premesso che l’attività del custode sequestratario è diretta alla conservazione del bene – e dei suoi frutti – della cui proprietà si controverta, sostiene che egli sarebbe mero detentore processuale del bene senza possibilità di fruizione del reddito e dunque non potrebbe mai essere destinatario di obblighi fiscali, rimasti a carico della parte intestataria dell’immobile sequestrato in quanto possessore in via mediata, tramite il custode, di tale cespite. Trae, pertanto, la conclusione che i canoni di locazione, ancorchè riscossi dal custode sequestratario, andavano inseriti nella dichiarazione dei redditi della società intestataria dell’immobile.

Il motivo non è fondato.

2.-La questione delle responsabilità fiscali del custode nel sequestro giudiziario trova ampio riscontro, contrario alle tesi sostenute in giudizio, nella stessa prassi amministrativa, che merita di essere ricostruita per la migliore comprensione del dibattito sviluppatosi sul tema. Si richiama, in proposito, la risoluzione n. 195/E del 13 ottobre 2003 – che sviluppa le considerazioni svolte nella circolare n.l56/E del 2000 (in tema di sequestro antimafia) e già anticipate dalla circolare del ministero delle finanze n. 184/E del 14 agosto 1996 (citata dai giudici d’appello) – ed è a sua volta richiamata nella risoluzione n.l58/E dell’11 novembre 2005.

2.1.-La risoluzione del 2003 ripercorre l’orientamento formatosi in tema di sequestro antimafia (legge 575 del 1965) e che ritiene applicabili, all’amministrazione giudiziaria dei beni sequestrati in attesa della confisca, la disciplina fiscale relativa all’eredità giacente dettata dall’art. 131 T.U.I.R., e dal D.P.R. 42 del 1988, art. 19. E’ evidenziato che, in attesa della confisca o della restituzione al proprietario, il titolare dei beni non è individuato a titolo definitivo e per questo motivo non ha la disponibilità dei medesimi. La veste del soggetto passivo d’imposta spetta a colui che assumerà la titolarità dei beni sequestrati e l’amministratore giudiziario, in pendenza di sequestro, opera dunque quale “rappresentante in incerta personam”, curando la gestione del patrimonio per conto di un soggetto non ancora individuato. Lo stesso, pertanto, non assume al pari del curatore dell’eredità giacente, un’autonoma soggettività tributaria, ma opera quale rappresentante in incertam personam, applicandosi le regole dettate dall’art. 131 cit. e dall’art. 19 cit..

2.2. – Tanto premesso, la risoluzione del 2003 prosegue affermando che “la provvisorietà dei beni sequestrati si rileva anche nella fattispecie di sequestro giudiziario”, nel quale caso “vi è la compresenza di due o più proprietarì, cioè un soggetto si afferma proprietario in contrasto con l’altra parte, determinando una situazione d’incertezza che si protrarrà fino alla chiusura delle vicenda processuale, quando verrà individuato a titolo definitivo e con effetto retroattivo il soggetto titolare dei beni sequestrati e, quindi, l’effettivo soggetto passivo d’imposta”.

2.3.-Indi, la risoluzione conclude: “Il custode in pendenza di giudizio ed in via provvisoria opera quale rappresentante in incertam personam e cura la gestione delle somme versate alla custodia.

Pertanto, anche nell’ipotesi prospettata trovano applicazione le regole sull’eredità giacente recate dall’art. 131 del T.U.I.R. e dal D.P.R. n. 42 del 1988, art. 19. Il custode giudiziario è, pertanto, tenuto a presentare, nei termini ordinar, le dichiarazioni dei redditi relative ai periodi d’imposta interessati dalla custodia giudiziaria (con l’esclusione del periodo d’imposta nel corso del quale essa cessa), con il conseguente obbligo di effettuare i versamenti dei tributi ivi liquidati in via provvisoria”.

2.3. – Con la successiva risoluzione del 2005, l’amministrazione, premesso che nell’ambito della misura cautelare di cui all’art. 670 c.p.c., sussiste incertezza sull’effettivo titolare del bene, ribadisce che “in caso di sequestro il custode giudiziario opera nella veste di rappresentante in incertam personam e si applicano le norme concernenti l’eredità giacente, come chiarito con la risoluzione n. 195/E del 13 ottobre 2003”.

3.-A conclusioni non dissimili, e fondate in particolare sull’aspetto dinamico del concetto di “disponibilità”, giunge anche la giurisprudenza di legittimità, allorquando stabilisce:

“In tema di IRPEF, nel vigore della disciplina del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, come modificato dalla legge 13 aprile 1977, n.114, in caso di sequestro conservativo di immobili, il debitore nominato custode non può considerarsi titolare di alcun reddito proveniente dagli stessi, poichè i frutti civili sono sottratti alla sua disponibilità, ai sensi dell’art. 559 c.p.c., richiamato dal successivo art. 679, e l’obbligo legale di rendiconto prescritto dall’art. 560 impone l’esclusione di tali frutti dalla base imponibile, ai sensi del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 3, comma 1, a tenore del quale l’imposta si applica sul reddito complessivo netto formato da tutti i redditi del soggetto passivo, compresi i redditi altrui dei quali egli ha la libera disponibilità o l’amministrazione senza obbligo della resa dei conti” (Cass. Trib., 8 marzo 2006, n. 4943).

3.1.-Inoltre, già negli anni ’80, si era affermato in giurisprudenza che “il custode sequestratalo assume la qualità di amministratore dei beni sequestrati per conto di colui il quale, in definitiva, ne sia dichiarato proprietario o possessore” (Cass. Civ., 14 marzo 1988, n. 2429, Riv. 458197).

4.-Le risultanze della prassi amministrativa e gli orientamenti di questa Corte di legittimità meritano alcune precisazioni.

4.1.-Inizialmente – sulla scorta della tradizione romanistica secondo cui “sequester cum depositario assimiletur” e della dottrina francese che a essa si era ispirata – si era ritenuto che la finalità di custodia fosse prevalente, in quanto obbligazione privatistica assunta nei confronti delle parti processuali; da altri si era invece sostenuto che nel sequestro si realizzerebbe una sorta di “negotiorum gestio”. Altri ancora avevano prospettato la tesi della rappresentanza, assumendo che la figura del sequestratario fosse assimilabile a quella di un mandatario per conto di chi spetta. In realtà il sequestratario deve ritenersi, più che rappresentante delle parti, un gestore autonomo, un ausiliario del giudice, dal quale direttamente ripete l’investitura e i poteri-doveri che attengono alla custodia e all’amministrazione dei beni sequestrati.

Egli opera perciò sotto la direzione e il controllo del giudice ed è tenuto alla retta amministrazione non tanto verso le parti o i terzi, quanto rispetto alla autorità giudiziaria, che gli ha conferito tale “munus publicum” (così Cass. Civ., 17 luglio 1963, n.1958, Riv. 263014; Sez. Un. Civ., 13 febbraio 1963, n. 287, Riv.

260363; Cass. Civ., 3 settembre 1955, n.2569, Riv. 880404). Il custode-amministratore assume (nell’ambito dei sequestri e in particolare di quello giudiziario civile ex art. 670 c.p.c.) la figura giuridica di ausiliario di giustizia, essendo un privato che in seguito al provvedimento del giudice viene occasionalmente incaricato di un pubblico ufficio temporaneo, che deve esercitare, imparzialmente, come “longa manus” degli organi giudiziari, ancorchè con una certa autonomia.

4.2. – Tale concezione va inquadrata in quella più vasta del titolare d’ufficio e non va confusa neppure con quella del legale rappresentante, dalla quale si discosta perchè l’operato del custode è diretto al perseguimento del fine che si prefigge l’ufficio cautelare e dell’interesse di un titolare ignoto o incerto, la cui identificazione spetta al giudice all’esito del giudizio civile. Il custode-amministratore esercita, dunque, una pubblica funzione in quanto ausiliare dell’autorità giudiziaria, così pienamente giustificandosi la sistemazione del codice di procedura civile che il custode, nel capo 3^ del libro 1^. Nella giurisprudenza è, quindi, esattamente ricorrente il riferimento sia all’assenza di ogni rapporto di tipo privatistico con i titolari delle cose sotto sequestro, sia all’esercizio di una funzione pubblica temporanea da svolgere quale “longa raanus” degli organi giudiziari (Parlano, riguardo al sequestro civile, di pubblica funzione Cass. Civ., 15 maggio 1971, n. 1406, Riv. 351668 e Cass. Civ., 21 agosto 1985, n. 4464, Riv. 441928).

Del resto il custode – amministratore presenta, sotto il profilo empirico, tutte le caratteristiche individuate dalla dottrina amministrativistica per delineare la titolarità di un ufficio:

mancanza di mandato; utilità sociale; obbligatorietà, con azione parzialmente vincolata; derivazione da provvedimento dell’autorità;

obbligo di diligenza.

4.3. – Se questo è l’inquadramento dommatico della figura del custode giudiziario non possono residuare obblighi fiscali dell’intestatario dell’immobile riguardo ai canoni per la locazione dell’immobile sequestrato. Il riferimento della normativa fiscale, in particolare del D.P.R. n. 917, art. 25, (ora art. 26), al “possesso” quale presupposto impositivo va collegato con le modalità di esecuzione del sequestro giudiziario che, ai sensi dell’art. 677 c.p.c., seguono le forme dell’art. 605 c.p.c. e segg., e in particolare l’art. 608 c.p.c., quanto al modo del rilascio. In base a tale disposizione, “l’ufficiale giudiziario…. immette il custode nel possesso dell’immobile…. ingiungendo agli eventuali detentori di riconoscere il nuovo possessore”. Il che esclude in radice che permanga, in qualche modo, il possesso dell’intestatario del cespite.

4.4.-Questo, dunque, non può considerarsi titolare di alcun reddito proveniente dall’immobile sequestrato, poichè i canoni e in generale tutti i frutti civili sono nella disponibilità del custode, ai sensi dell’art. 560 c.p.c., richiamato dal successivo art. 676, e l’obbligo legale di rendiconto prescritto a carico del custode dall’art. 593 impone l’esclusione di tali frutti dalla base imponibile dell’intestatario, ai sensi del D.P.R. n. 917, art. 3, comma 1, a tenore del quale “l’imposta si applica sul reddito complessivo netto del soggetto, formato… da tutti i redditi posseduti”.

Del resto il D.P.R. n. 917, art. 1, stabilisce che “presupposto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche è il possesso di redditi in denaro o in natura”, il che significa “il possesso come capacità di disporre”, secondo una felice definizione dottrinaria.

Essendo i frutti dell’immobile, assoggettato a sequestro giudiziario, nella disponibilità dell’ufficio cautelare si coglie l’estraneità di essi rispetto all’imposizione fiscale verso il mero intestatario dell’immobile stesso. Il che comporta il rigetto del ricorso.

5.-Nessuna pronunzia va adottata in punto di spese stante la mancata costituzione della parte intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2011

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