Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23615 del 31/08/2021

Cassazione civile sez. VI, 31/08/2021, (ud. 22/04/2021, dep. 31/08/2021), n.23615

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35866-2019 proposto da:

A.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ATTILIO

REGOLO, 12/D, presso lo studio dell’avvocato ITALO CASTALDI,

rappresentata e difesa dall’avvocato STANISLAO ANTONIO LUCARELLI;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO SGROI, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati CARLA D’ALOISIO,

LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2926/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 21/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 22/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA

CALAFIORE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 2926/2019, ha rigettato l’impugnazione proposta da A.I. nei confronti dell’INPS avverso la sentenza del Tribunale di Benevento che aveva rigettato, dichiarando la parte decaduta dall’azione, le domande proposte dalla A. al fine di ottenere l’annullamento dei provvedimenti di disconoscimento del rapporto di lavoro subordinato asseritamente intercorso con D.C.V. e di cancellazione della stessa dagli elenchi dei braccianti agricoli per gli anni indicati in ricorso;

ad avviso della Corte territoriale, il D.L. n. 7 del 1979, art. 22, doveva considerarsi vigente ed applicabile alla fattispecie concreta, posto che il ricorso giudiziario era stato depositato il 26 marzo 2014 e quindi ben oltre i 120 giorni previsti a fronte del pur tempestivo ricorso amministrativo proposto a seguito delle cancellazioni dagli elenchi che erano state comunicate il 20.2.2008 ed il 16.5.2008;

avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione A.I. sulla base di un motivo relativo alla violazione del D.L. n. 7 del 1970, art. 22, e del D.Lgs. n. 124 del 2004, dell’art. 14 preleggi, ed all’omessa e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio; si sollecita, inoltre ed in caso di mancato accoglimento, la questione di costituzionalità del combinato disposto del D.L. del 1970, art. 22, e del D.Lgs. n. 124 del 2004, art. 17, in quanto l’applicazione del citato art. 22, comporterebbe un pregiudizio maggiore rispetto a quello previsto dal D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 11;

resiste l’INPS con controricorso;

la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

l’unico motivo è manifestamente infondato;

va data continuità ai principi affermati da Cass. n. 6229 del 2019, secondo cui, in tema di indennità di disoccupazione agricola, l’iscrizione negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli costituisce presupposto per l’attribuzione della prestazione previdenziale, che, pertanto, non può essere riconosciuta in difetto di impugnazione del provvedimento amministrativo di esclusione da tali elenchi nel termine decadenziale di cui al D.L. n. 7 del 1970, art. 22, conv. con modif. in L. n. 83 del 1970;

si è infatti affermata l’infondatezza della tesi secondo la quale, nonostante la maturazione della decadenza di cui al D.L. 3 febbraio 1970, n. 7, art. 22 (120 giorni per l’esercizio della azione giudiziaria avverso i provvedimenti definitivi adottati in sede amministrativa sul diritto alla iscrizione negli elenchi), il giudice possa egualmente accertare il diritto alla prestazione previdenziale in agricoltura in quanto la funzione degli elenchi è di mera certificazione e non anche costitutiva del diritto alle prestazioni previdenziali;

le Sezioni Unite di questa Corte, nell’arresto n. 1133 del 26 ottobre 2000, hanno chiarito che il diritto dei lavoratori subordinati a tempo determinato nel settore dell’agricoltura alle prestazioni previdenziali è condizionato all’esistenza di una complessa fattispecie, che è costituita dallo svolgimento di un’attività di lavoro subordinato a titolo oneroso per un numero minimo di giornate per ciascun anno di riferimento, che risulti dall’iscrizione negli elenchi nominativi di cui al R.D. 24 settembre 1940, n. 1949, e successive modifiche ovvero dal possesso del cosiddetto certificato sostitutivo. Pertanto, sul piano processuale, colui che agisce in giudizio per ottenere le suddette prestazioni ha l’onere di provare, mediante l’esibizione di un documento che accerti la suddetta iscrizione negli elenchi nominativi o del certificato sostitutivo, gli elementi essenziali della complessa fattispecie dedotta in giudizio;

non vi è dubbio, quindi, che la iscrizione negli elenchi costituisca presupposto per richiedere la prestazione previdenziale prevista per i lavoratori agricoli, di talché l’interessato deve chiedere il riconoscimento del diritto alla iscrizione nel medesimo giudizio promosso per ottenere la prestazione (in termini: Cassazione civile sez. lav., 15/07/2005, n. 14994); del resto la ricorrente nel ricorso introduttivo proponeva una domanda di riconoscimento del diritto alla iscrizione negli elenchi ed una domanda diretta al conseguimento delle prestazioni connesse ed il giudicato interno formatosi quanto alla decadenza rispetto al diritto alla iscrizione negli elenchi ha precluso, come rilevato implicitamente dalla Corte territoriale, l’accesso alle prestazioni previdenziali;

il fatto che l’atto di iscrizione è soltanto atto accertativo di un diritto alla iscrizione, che nasce dalla prestazione lavorativa, comporta unicamente la azionabilità di tale diritto davanti al giudice ordinario; non consente, invece, di riconoscere il diritto alla prestazione previdenziale indipendentemente dalla attualità del diritto alla iscrizione e dunque nel caso di maturazione della decadenza prevista dalla citata L., art. 22, che ha natura di decadenza sostanziale (ex plurimis: Cassazione civ. sez. lav., 12/05/2015, n. 9622, Cass. 1 ottobre 1997 n. 9595; Cass., 21 aprile 2001 n. 5942; Cass., 8 novembre 2003 n. 16803; Cass., 10 agosto 2004 n. 15460, 18 maggio 2005 n. 10393; Cass., 5 giugno 2009, n. 13092);

il dubbio di costituzionalità sollevato dalla ricorrente, come già rilevato dalla Corte territoriale, è stato risolto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 192 del 2005 con la quale si è affermato che è impossibile istituire confronti tra sistemi previdenziali diversi data la loro specificità e la non uniformità di discipline e ciò non lede di per sé il principio di uguaglianza, se non per evidente irragionevolezza della differenza di disciplina; inoltre, la finalità della decadenza di cui alla norma impugnata è da rinvenire nella esigenza di accertare nel più breve tempo possibile la sussistenza del diritto all’iscrizione ed alle conseguenti prestazioni, tenuto conto che l’atto di iscrizione negli elenchi costituisce presupposto per l’accesso alle prestazioni previdenziali collegate al solo requisito assicurativo e titolo per l’accredito, per ciascun anno, dei contributi corrispondenti al numero di giornate di iscrizione negli elenchi. Peraltro, il fatto che le prestazioni considerate dalla norma costituzionale invocata (art. 38 Cost.), siano subordinate alla iscrizione negli elenchi nominativi, per cui la prevista decadenza dell’azione giudiziaria, diretta alla contestazione dei provvedimento di cancellazione o di mancata inclusione negli stessi, impedirebbe il godimento della tutela costituzionalmente garantita, è giustificabile alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale, secondo cui la disposizione di cui all’art. 38 Cost., comma 2, attiene all’adeguamento dei mezzi di carattere previdenziale alle esigenze di vita dell’interessato, piuttosto che alle modalità necessarie a conseguirle, ovvero che non è in contraddizione con il carattere di imprescrittibilità della pensione il fatto che vicende volte a determinare i presupposti di consistenza quantitativa si svolgano entro limiti temporali, come pure il principio, secondo cui ogni diritto, anche costituzionalmente garantito, può essere dalla legge regolato e sottoposto a limitazioni, mentre il termine di decadenza per conseguire il trattamento di quiescenza è frutto di una scelta discrezionale del legislatore, coerente con il sistema previdenziale e giustificabile se non altro per ragioni di certezza della situazione finanziaria dell’Ente erogatore;

il disposto in esame e’, infine, ratione temporis applicabile alle fattispecie di cancellazione in esame, comunicate il 20 febbraio 2008 ed il 16 maggio 2008, essendosi pure affermato che (Cass. n. 16661 del 2018) il termine di cui si discute pari a centoventi giorni per impugnare i provvedimenti di cancellazione del D.L. n. 7 del 1970, ex art. 22, conv. con modif. nella L. n. 83 del 1970, già abrogato dal D.L. n. 112 del 2008, conv. con modif. nella L. n. 133 del 2008, è stato ripristinato dal D.L. n. 98 del 2011, art. 38, comma 5, conv. con modif nella L. n. 111 del 2011, sicché, in applicazione del principio generale in materia di termini di cui all’art. 252 disp. att. c.c., esso riprende a decorrere “ex novo” dalla data della sua entrata in vigore, ossia dal 6 luglio 2011, per i provvedimenti comunicati anteriormente a tale epoca e per i quali la decadenza non sia ancora maturata al 21 dicembre 2008;

pertanto, il ricorso deve essere respinto;

il verificarsi delle vicende normative di cui al superiore punto nel periodo immediatamente successivo alle circostanze di causa, in ordine ai quali si solo recentemente pronunciata questa Corte di legottimità, giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta l’appello. Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2021

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