Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23615 del 11/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 11/11/2011, (ud. 22/09/2011, dep. 11/11/2011), n.23615

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE e MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in

persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore,

rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, nei cui

uffici, in Roma, Via dei Portoghesi, 12 sono domiciliati;

– ricorrenti –

contro

R.E.P., quale erede di R.A., residente a

(OMISSIS), rappresentata e difesa, giusto mandato a margine

del

controricorso, dall’Avv. CORTI Pio, elettivamente domiciliata nel

relativo studio in Roma, Viale dei Paridi, 47;

– controricorrente –

AVVERSO la sentenza n. 61/22/2005 della Commissione Tributaria

Regionale di Milano – Sezione n. 22, in data 26/05/2005, depositata

il 24.06.2005;

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica Udienza del 22

settembre 2011 dal Cons. Antonino Di Blasi;

Sentito l’Avv. Pio Corti, per la controricorrente;

Sentito il P.M. dott. APICE Umberto, che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La contribuente, quale erede di R.A., impugnava in sede giurisdizionale gli avvisi di accertamento, ai fini Irpef ed Ilor per gli anni 1991 e 1992, con i quali l’Ufficio aveva determinato il reddito di partecipazione, in dipendenza della quota societaria detenuta nelle società RE.BE. srl e RE.BE. ITALIA srl e dei maggiori redditi accertati nei confronti di queste ultime.

L’adita CTP di Varese accoglieva, parzialmente, il ricorso, ritenendo, per un verso, legittima l’imputazione del reddito di partecipazione in capo ai soci e, però, disponendo che nella relativa quantificazione si tenesse conto dei costi da detrarre. I Giudici di Secondo Grado, pronunciando sull’appello principale della contribuente ed incidentale dell’Agenzia Entrate, accoglievano il primo e rigettavano il secondo.

In particolare, ritenevano ed affermavano che l’avviso di accertamento impugnato era a ritenersi nullo, tenuto conto che al socio non era stato notificato l’avviso di accertamento elevato a carico della società, che il contenzioso relativa alle società era tuttavia pendente e che, d’altronde, nel caso trattavasi di società di capitali, partecipate da altro socio estraneo al contesto familiare del R.a., ragion per cui era da escludersi la possibilità di applicare la presunzione di distribuzione degli utili ai soci.

Con ricorso 19 gennaio 2006, l’Agenzia Entrate ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, hanno chiesto la cassazione della decisione di appello. Con controricorso 02 marzo 2007, la contribuente ha chiesto il rigetto dell’impugnazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo mezzo, i ricorrenti censurano la decisione di appello, per violazione e falsa applicazione DEL D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 5 e 41, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 7, 14, 57, 71, 72, e 79 del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 19 bis art. 112 c.p.c., dei principi generali in materia di giudizio tributario, nonchè per motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su punto decisivo della controversia;

Con il secondo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 41, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. e dei principi generali in materia di prova, nonchè motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su punto decisivo;

Con il terzo ed ultimo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, artt. 2697, 2727 – 2729 c.c., nonchè motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su punto decisivo. In via preliminare, va dichiarata inammissibile l’impugnazione proposta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, in considerazione del fatto che il giudizio di appello, al cui esito è stata emessa la decisione impugnata, si è svolto tra il contribuente e l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Luino, che è l’unica controparte contemplata in sentenza, e non anche nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che è rimasto del tutto estraneo al detto giudizio.

Infatti, nel caso, essendo stata, la sentenza di primo grado, depositata il 04.06.2003, e risultando, quindi, l’appello notificato successivamente alla data dell’1.01.2001, in cui è divenuta operativa la riforma ordinamentale di cui al D.Lgs. n. 300 del 1999, il contribuente, ha esercitato una delle due opzioni offerte dal quadro normativo di riferimento e dai principi giurisprudenziali alla relativa stregua fissati (SS.UU. n. 3116/2006).

Il ricorso per Cassazione di che trattasi non può, quindi, ritenersi promosso nei confronti della giusta parte, stante che la sentenza impugnata non risulta emessa nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria, la quale, essendo stata estromessa dal processo nel precedente grado di appello, nel quale non era stata evocata, deve ritenersi priva di legittimazione passiva nel presente giudizio di legittimità, cui hanno titolo solo i soggetti che hanno partecipato al precedente grado del giudizio.

Le spese del giudizio tra il Ministero e la controricorrente, tenuto conto della novità della questione e dell’epoca del consolidarsi dell’orientamento giurisprudenziale applicato, vanno compensate.

Il ricorso dell’Agenzia Entrate è fondato, stante che la decisione impugnata, – che ha dichiarato la nullità degli atti impugnati quale conseguenza dell’omessa notifica dell’avviso di accertamento nei confronti della società, che ha escluso l’applicazione della presunzione di distribuzione degli utili ai soci nonostante la restrittissima base azionaria della società (tre soci, di cui due familiari), e che ha respinto l’appello incidentale dell’Agenzia Entrate, senza dare contezza degli elementi presi in considerazione per affermare che i costi non registrati, comunque risultavano da elementi certi, fa malgoverno del quadro normativo di riferimento e di condivisi principi.

Le censure mosse con il primo mezzo risultano fondate sia avuto riguardo alla tardività, e quindi alla inammissibilità della deduzione, sia pure alla erroneità della statuizione.

Sotto il primo profilo, in base al principio secondo cui “In tema di contenzioso tributario, il divieto di proporre in appello nuove eccezioni in senso tecnico, introdotto con il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 2, non si applica, in virtù della norma transitoria dettata nel successivo art. 79, ai giudizi già pendenti in grado di appello davanti alle commissioni tributarie di secondo grado e a quelli già iniziati davanti alla commissione tributaria regionale se il primo grado si è svolto sotto la disciplina della legge anteriore, che stabiliva il divieto delle sole “domande nuove” e non anche delle eccezioni nuove” (Cass. n. 1189/2002, n. 5543/1999, n. 8835/1998).

Nel caso, è pacifico che il primo grado del giudizio non si è svolto interamente nel vigore della previgente disciplina ed è stato definito con sentenza n. 67/06/2003, depositata il 04.06.2003.

Sotto altro profilo, rileva il Collegio, che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40, comma 1, e art. 42, comma 1 nel prevedere le modalità dell’accertamento e della relativa notifica, nei confronti delle persone giuridiche, non prescrivono che lo stesso debba essere notificato, a pena di nullità, anche ai soci, e ciò in considerazione della soggettività giuridica e dell’autonomia patrimoniale che connota le società di capitali, che rende i singoli soci indifferenti e privi di legittimazione processuale nel giudizio relativo alla determinazione del reddito sociale. D’altronde, per consolidato orientamento giurisprudenziale, “Il requisito motivazionale dell’accertamento, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 2 esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione di fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando poi affidate al giudizio d’impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva” (Cass. n. 14700/2001, n. 4061/2001, n. 7149/2001, n. 658/2000).

Ciò posto, è a ritenersi erroneo l’operato del Giudice di appello che, in accoglimento dell’eccezione sollevata da parte contribuente – secondo cui, anzitutto, gli avvisi di accertamento erano a ritenersi illegittimi per “grave carenza di motivazione per la mancata notifica al sig. R.A.” degli avvisi a carico della società, – ha annullato tali avvisi, stante l’assenza di specifica previsione di legge ed il tenore del trascritto principio in ordine agli elementi necessari, agli effetti motivazionali, per la validità dell’accertamento.

Del pari, fondato è il secondo mezzo, con il quale viene aggredita l’affermazione contenuta in sentenza della insussistenza di idonea presunzione di percezione del reddito non dichiarato dalle due società, sulla base del pacifico principio secondo cui “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, è legittima la presunzione di attribuzione “pro quota” ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria (nella specie, quattro soci). Tale presunzione – fondata sul disposto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d) – induce inversione dell’onere della prova a carico del contribuente e non viene meno in ipotesi di presentazione di domanda integrativa di condono da parte della società, essendo questa ed il socio titolari di posizioni fiscali distinte e indipendenti” (Cass. 20851/2005, n. 3254/2000, n. 2390/2000, n. 16885/2003). Pure fondato è, infine, a ritenersi il terzo motivo, avuto riguardo al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, in virtù del D.L. 27 aprile 1990, n. 90, art. 2, comma 6 bis, convertito con L. 26 giugno 1990, n. 165, avente, come norma interpretativa, efficacia retroattiva, sia il D.P.R. n. 597 del 1973, art. 74 che il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 devono intendersi nel senso che le spese ed i componenti negativi sono deducibili anche se non risultino dal conto dei profitti e delle perdite, purchè siano almeno desumibili dalle scritture contabili” (Cass. n. 8000/2003, n. 6051/2002, n. 3736/1996) e per cui è ravvisabile “il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Cass. n. 1756/2006, n. 890/2006).

Nel caso, in effetti, la sentenza impugnata dopo avere, correttamente richiamato le condizioni necessarie per la deduzione dei costi non registrati, omettendo ogni verifica e concreto riferimento alla fattispecie, ha affermato, apoditticamente, il diritto alla detrazione, senza dare contezza del procedimento logico- giuridico seguito per giungere al rassegnato decisum. Conclusivamente il ricorso va accolto e, per l’effetto, cassata l’impugnata decisione.

Il Giudice del rinvio, che si designa in altra sezione della CTR della Lombardia, procederà al riesame e, quindi, adeguandosi ai principi affermati dalle citate pronunce, deciderà sul merito e sulle spese del presente giudizio di cassazione, offrendo congrua motivazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile l’impugnazione proposta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e compensa le spese del giudizio tra il Ministero e la contribuente; accoglie il ricorso dell’Agenzia Entrate, cassa l’impugnata decisione e rinvia ad altra sezione della CTR della Lombardia.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA