Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23612 del 09/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 09/10/2017, (ud. 10/03/2017, dep.09/10/2017),  n. 23612

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4527/2015 proposto da:

G.R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 10,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO VISCA, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIOVANNI CARACCI;

– ricorrente –

contro

F.R.;

– intimato –

e contro

D.D.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIACOMO BONI

15, presso lo studio dell’avvocato ELENA SAMBATARO, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIOVANNI LENTINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 282/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 26/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/03/2017 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte di Appello di Palermo, a seguito dell’annullamento con rinvio effettuato dalla Cassazione, rigettava la domanda riconvenzionale proposta da G.R.A. nel giudizio promosso da F.R. per negatoria servitutis, volta ad ottenere la dichiarazione di acquisto per usucapione della servitù di passaggio sul fondo di proprietà del F., nel quale interveniva Concetta D.D., quale acquirente del fondo del F..

A sostegno della suddetta decisione la Corte territoriale, premesso che, sulla scorta del principio di diritto fissato dalla Corte di Cassazione, la presenza di opere visibili e permanenti indicative di un transito configura un requisito necessario ai fini dell’acquisto della servitù di passaggio per usucapione, evidenziava che non era dato individuare opere visibili denotanti un passaggio diretto al fondo G. sul terreno di F., anche alla luce delle puntuali indagini effettuate dal C.T.U. con le aerofotogrammetrie. Precisava inoltre che le testimonianze raccolte non apparivano altresì idonee a fondare una pronunzia di acquisto per usucapione ventennale, perchè verosimilmente avevano inteso far riferimento ad altro passaggio.

Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso per cassazione la G., formulando un unico motivo, cui resisteva la D.D. con controricorso, rimasto intimato il F..

Ritenuto che il ricorso potesse essere respinto, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), su proposta del relatore, regolarmente notificato ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.

Atteso che:

l’unico motivo di ricorso (col quale si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1061 c.c., nonchè il travisamento della prova sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo) è inammissibile prima che infondato.

Il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere la non apparenza della servitù di passaggio oggetto del processo, limitandosi ad aderire in maniera acritica alle conclusioni del C.T.U., senza tenere in debito conto le osservazioni del C.T.P. confortate dalla documentazione allegata. Inoltre contesta l’illogicità della motivazione relativamente alla valutazione di inidoneità delle dichiarazioni testimoniali ai fini dell’accertamento dell’usucapione.

Con riferimento al vizio di violazione e falsa applicazione della legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, richiamato espressamente nel ricorso, è sufficiente ricordare che la consolidata giurisprudenza di questa Corte ha inteso il principio di specificità nel senso per cui il vizio in esame va dedotto, a pena d’inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che argomentatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Corte di legittimità di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 12 gennaio 2016 n. 287; Cass. 15 gennaio 2015 n. 635; Cass. 1 dicembre 2014 n. 25419; Cass. 26 giugno 2013 n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012 n. 3010).

Analogamente con riguardo al vizio motivazionale, sono ben noti i nuovi termini del controllo di legittimità a seguito della riforma del motivo n. 5 dell’art. 360, c.p.c., limitato al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, secondo le Sezioni Unite n. 8054 del 2014.

Nella specie la sentenza impugnata ha motivato in maniera puntuale e senza vizi logici le ragioni per le quali non si è tenuto conto delle osservazioni critiche formulate dal consulente della G., nonchè i motivi per i quali le testimonianze raccolte non sono state ritenute idonee a fondare una pronunzia di acquisto della servitù per usucapione, valutazioni che in tutta evidenza spettano al giudice di merito.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte deL ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 10 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2017

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