Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23608 del 23/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 23/09/2019, (ud. 02/04/2019, dep. 23/09/2019), n.23608

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 24213-2017 proposto da:

B.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSENZA, 8,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA STRATA, rappresentato e difeso

dall’avvocato CHIARA LANZILLOTTA;

– ricorrente –

contro

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 34,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PETRUCCI, rappresentato e

difeso dagli avvocati GIUSEPPE CAGLIA, ANDREA CAPRESI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1631/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 14/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DOLMETTA

ALDO ANGELO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- C.R. ha convenuto avanti al Tribunale di Firenze Sezione distaccata di Empoli B.D. (nonchè altri soggetti, la cui posizione non viene peraltro qui interesse), per chiedere l’accertamento della risoluzione del contratto di associazione in partecipazione, tra loro stipulato nell’ottobre 2007 in relazione all’attività di “rivendita di monopoli di una tabaccheria”, quale effetto di diffida ex art. 1454 c.c. comunicata nell’agosto 2008 e titolata in più inadempimenti imputati all’associante. Con connessa richiesta di restituzione dell’apporto a suo tempo conferito e risarcimento del danno ex art. 1224 c.c.

Nel costituirsi B.D., oltre a respingere le richieste formulate nei suoi confronti, ha lamentato degli inadempimenti contrattuali dell’associato e chiesto il risarcimento del danno per l’effetto subito.

2.- Con sentenza depositata il 28 agosto 2012, il Tribunale ha respinto tanto le domande dell’associato, quanto la riconvenzionale dell’associante.

C.R. ha presentato appello avanti alla Corte di Appello di Firenze che, con sentenza depositata il 14 luglio 2017 la ha parzialmente accolta: così dichiarando la risoluzione per inadempimento del contratto di associazione e altresì condannando l’associante alla restituzione dell’apporto a suo tempo conferito; respingendo, invece, la domanda risarcitoria per difetto di prova.

3.- In proposito, la Corte territoriale ha rilevato che nella specie risultavano più inadempimenti dell’associante.

Così, quello di non avere investito nell’impresa la somma di cui all’apporto dell’associato, così “pregiudicando il diritto dell’associato agli utili pro quota”. Quello di avere compiuto in più occasioni diretti prelievi di somme dalla cassa aziendale: “se è vero che l’associante e l’associato hanno ruolui ben distinti nel funzionamento della associazione in partecipazione, ciò non significa che l’autonomia di gestione dell’associante possa estendersi al compimento di atti tali da indebolire e/o pregiudicare la situazione patrimoniale dell’azienda e il diritto agli utili dell’associato”. Quello relativo alla rendicontazione dell’attività, a cui “l’associato aveva diritto in base al principio generale di esecuzione del contratto secondo buona fede”. Quello di consentire all’associato accesso e consultazione alla documentazione fiscale e contabile, che gli spettavano “in base al contratto”.

Dichiarata la risoluzione, la Corte fiorentina ha poi ritenuto che la stessa produca effetti ex tunc ai sensi dell’art. 1458 c.c.: dunque, l’associato ha diritto alla restituzione dell’apporto a suo tempo conferite e non ha invece diritto “ad ottenere il pagamento degli utili, asseritamente spettanti neppure a titolo di risarcimento del danno”.

4.- Avverso questo provvedimento, B.D. ha proposto ricorso, articolandolo in due motivi di cassazione.

Ha resistito, con controricorso, C.R..

5.- Il resistente ha presentato, nell’aprile 2018, un’istanza “per la liquidazione delle spese relative alla procedura di sospensione della sentenza di appello ex art. 372 c.p.c.”.

6.- Il ricorrente ha anche depositato memoria.

7.- I motivi di ricorso denunziano i vizi che qui di seguito vengono richiamati.

7.1.- Con il primo motivo – che risulta intestato nel vizio di violazione di legge e nel vizio di omesso esame di fatto decisivo – il ricorrente assume, in particolare, che la sentenza impugnata non ha “interpretato correttamente la normativa in materia di gestione dell’azienda da parte dell’associante e di violazione del canone di buona fede e tutela dell’associante”. Gli imputati prelievi di cassa “non sono stati dimostrati “in quanto il contratto sottoscritto dalle parti non contempla un simile obbligo a carico dell’associante”; “non esiste uno specifico obbligo di astensione da prelevare somme a carico dell’imprenditore”.

Nè può discorrersi, nella specie, di violazione dell’obbligo di rendiconto, posto che la norma dell’art. 2252 c.c., comma 3 lo pone in capo all’associante solo nel caso in cui la gestione si protragga più di anno (e, allora, con cadenza annuale) ovvero nel caso di avvenuto compimento dell’affare: nè l’una, nè l’altra di tali circostanze essendosi verificate nella fattispecie concreta. Comunque la violazione di tale obbligo “non comporta necessariamente la “risolvibilità del contratto, trovando applicazione lo criterio dell’art. 1455 c.c.”.

7.2.- Il secondo motivo di ricorso – che è intestato nei vizi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 – manifesta un contenuto articolato in due distinte censure, comunque attinenti all’apporto dell’associato.

Quanto all’utilizzo delle relative somme, che nel concreto ne ha fatto l’associante, il motivo rileva che “il contratto di associazione in partecipazione prevede l’esclusività dell’imputazione del potere discrezionale dell’impresa in capo all’associante (e dunque il divieto di ingerenza da parte dell’associato)”. “La corresponsione di tale somma non ha altra ragione se non quella di costituire il controvalore dell’ingresso in partecipazione”.

Quanto poi agli effetti della risoluzione contrattuale, il ricorrente osserva che “la restituzione” dell’apporto non può operare, “perchè tale importo è stato acquisito come contributo di ingresso” e pure perchè, in ogni caso, “l’obbligo di restituzione dell’apporto è da ritenersi condizionato alla verifica dell’esito positivo dell’affare, ossia alla prova della conclusione dell’affare, ossia alla prova della conclusione dell’affare, che deve essere fornita proprio dall’associato, ai sensi dell’art. 2697 c.c..

8.- In relazione al ricorso così formulato, il Collegio osserva come questo venga a proporre una serie di interrogativi rilevanti.

8.1.- Quanto al tema relativo agli assunti inadempienti dati dai prelievi di cassa, nonchè dalla mancata rendicontazione, è da chiedersi, prima di tutto, se l’associante abbia o meno – in ragione della conformazione strutturale propria del contratto di associazione in partecipazione, come pure del canone di buona fede oggettiva (cui non manca di essere soggetto il contratto in questione: cfr. già Cass., 27 marzo 1996, n. 2715) – il dovere di comportarsi senza produrre disordine contabile: nel caso, quindi annotando, con scrupolosa attenzione, le somme che via via egli viene a prelevare dalla cassa. Cosa, peraltro, in sè stessa non insignificante in punto di successiva definizione degli utili (ovvero delle perdite) connessi allo svolgimento dell’impresa o degli affari di cui alla associazione in partecipazione.

E’ da chiedersi, altresì, se, anche tenuto conto dell’appena richiamata circostanza degli asseriti prelievi, il canone di buona fede ponga oppure no in capo all’associante il dovere integrativo del precetto dell’art. 2252 c.c., comma 3 – di offrire idonea documentazione di conto, come anche di mettere a disposizione dell’associato la relativa contabilità, allorchè tale richiesta sia stata più volte sollecitata per iscritto, trovi supporto nel testo contrattuale intercorso tra le parti e lo svolgimento del rapporto sia ormai prossimo al passaggio dell’anno (nella specie, al compimento dell’annualità mancando circa due mesi).

8.2.- Non meno delicata si pone, in materia, la tematica relativa agli effetti di taglio restitutorio seguenti alla risoluzione del contratto di associazione in partecipazione per inadempimento dell’associante. Se, dunque, l’associato abbia diritto alla restituzione della somma che ebbe propriamente a dare all’associante in sede di apporto o per contro della somma che derivi dall’applicazione sull’importo a suo tempo apportato della considerazione – in addizione o in sottrazione – degli utili/perdite maturati sino al momento della risoluzione del contratto.

A favore della prima soluzione si è sostenuto, con osservazione che è da stimare tradizionale in giurisprudenza, che l’applicazione in via sostanziale della regola contenuta nella seconda parte dell’art. 1458 c.c., comma 1 (per i contratti a esecuzione continuata oppure periodica) risulta sbarrata dal rilievo che “l’apporto dell’associato” costituisce “una dazione o prestazione unitaria (di natura patrimoniale o tecnica) in cambio di una controprestazione pur essa unitariamente considerata nella partecipazione agli utili ed eventualmente delle perdite” (così Cass., 28 ottobre 2011, n. 22521).

Nel senso dell’opposta soluzione normativa, si è rilevato che se la risoluzione del contratto segue a vicende che affliggono non la fattispecie, ma lo svolgimento del rapporto contrattuale – nel contratto di associazione in partecipazione l’associato corre, per l’intero periodo di esecuzione del rapporto, il rischio propriamente afferente all’esercizio dell’impresa e/o allo svolgimento degli affari a cui il contratto pertiene: così come non manca di segnalare la norma dell’art. 2253 c.c., per cui le relative “perdite… colpiscono l’associato” sino al limite dell’azzeramento dell’apporto. Del resto – si è anche rilevato -, nel caso di cessazione del contratto di associazione in partecipazione per scadenza del termine di durata fissato dalle parti, l’associato ha diritto non già alla restituzione dell’apporto in quanto tale (come pure seguirebbe alla soluzione per prima richiamata), bensì all’ottenimento di una somma che conteggi apporto e risultati dell’attività di periodo dell’impresa o degli affari compiuti (non diversamente avviene nel caso di recesso da contratto a tempo indeterminato). Come rileva, precisamente, Cass. 21 giugno 2016, n. 12816, “dal momento in cui l’affare è concluso… diventa esigibile il diritto alla restituzione dell’apporto, sempre che siano derivati utili (diversamente, secondo la previsione di cui all’ultima parte dell’art. 2553 c.c., l’associato partecipa alle perdite, entro il valore del proprio apporto)”.

Pure potrebbe rivelarsi importante al riguardo – anche in ragione del fatto che le più recenti pronunce di questa Corte intendono l’associazione in partecipazione come contratto “che mira, nel quadro di un rapporto sinallagmatico con elementi di aleatorietà, al perseguimento di finalità in parte analoghe a quelle dei contratti societari” (Cass., 10 agosto 2017, n. 19937) – la disposizione della L. Fall., art. 77 comma 1 per il cui dettato “l’associazione in partecipazione si scioglie per il fallimento dell’associato. L’associato ha diritto di far valere nel passivo il proprio credito per quella parte dei conferimenti, la quale non è assorbita dalle perdite a suo carico”. In effetti, la disciplina dettata da questa norma sembrerebbe porsi secondo quanto rilevato dalla dottrina – come conseguenza diretta, in ogni caso sintonica, della regola di non retroattività dei contratti a esecuzione continuata (di cui alla seconda parte dell’art. 1458 c.c., comma 1).

9.- Posti questi rilievi, il Collegio rileva, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 3, di non potere ravvisare evidenze decisorie tali da consentire la definizione del ricorso presso la c.d. sezione filtro. Lo stesso deve pertanto essere avviato alla discussione in pubblica udienza, presso la sezione che è tabellarmente competente.

P.Q.M.

La Corte dispone la rimessione del ricorso alla pubblica udienza della Sezione Prima.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione, il 2 aprile 2019.

Depositato in cancelleria il 23 settembre 2019

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