Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23607 del 31/08/2021

Cassazione civile sez. VI, 31/08/2021, (ud. 21/04/2021, dep. 31/08/2021), n.23607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PONTERIO Carla – Presidente –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13550-2019 proposto da:

A.G., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato VITO GIUSEPPE CELLIE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA

((OMISSIS)), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1392/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 19/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Lecce, in riforma della pronuncia di primo grado, per quanto in questa sede interessa, rigettava la domanda avanzata da A.G., dipendente del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca in qualità di docente nella scuola media secondaria, diretta al riconoscimento di un ristoro in ragione della reiterazione dei contratti a termine e condannava la predetta a restituire quanto eventualmente ricevuto in esecuzione della sentenza di primo grado;

a fondamento del decisum, la Corte territoriale ha rilevato che non poteva essere riconosciuto alcun risarcimento del danno in favore della docente, in ragione dell’avvenuta stabilizzazione e in assenza della deduzione e prova di danni ulteriori e diversi da quelli risarciti per effetto dell’immissione in ruolo (v. penultima pagina della sentenza impugnata);

per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso A.G., sulla base di due motivi;

il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha resistito con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la parte ricorrente deduce la nullità della sentenza e del procedimento, per non avere la Corte territoriale integrato il contraddittorio nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dell’Ufficio scolastico regionale per la Puglia, pure evocati nel giudizio di primo grado; tale omissione era potenzialmente idonea a creare un contrasto di giudicati, essendo la pronuncia di primo grado passata in giudicato nei confronti di questi ultimi;

il motivo è infondato;

questa Corte (Cass. n. 1033 del 2021), in fattispecie perfettamente sovrapponibile alla presente, a fondamento del rigetto di analoghe censure, richiamando il principio di diritto espresso da Cass. n. 21381 del 2018, ha osservato come “anche a non voler considerare che la circostanza della partecipazione al giudizio di primo grado della Presidenza del consiglio e dell’Ufficio scolastico regionale per la Puglia non è supportata da adeguata autosufficienza (circa il rispetto dell’onere di autosufficienza anche con riguardo agli errores in procedendo, v. Cass. sez. un. 8077 del 2012), e che non risulta che la ricorrente abbia eccepito la mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello, deve escludersi che la partecipazione della Presidenza del Consiglio e dell’Ufficio regionale fosse necessaria ai sensi dell’art. 102, o disposta dal giudice ai sensi dell’art. 107 c.p.c., trattandosi di soggetti privi della titolarità passiva del rapporto giuridico dedotto, essendo il rapporto di lavoro intercorso unicamente con il MIUR”;

medesime considerazioni si impongono, dunque, nel caso in esame;

le censure presentano, infatti, gli stessi limiti di specificità e il rapporto di lavoro riguarda esclusivamente il Ministero in epigrafe;

con il secondo motivo, la parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 107 del 2015, art. 1, comma 132, della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, nonché violazione della Dir. 70/99/CE, clausola 5 e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di un fatto decisivo, costituito dall’acquiescenza risultante da atti incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione, osservando: a) che l’immissione in ruolo successiva non può aver sanato l’illegittima reiterazione dei contratti a termine protrattasi nel tempo, b) che un’interpretazione in tal senso della L. n. 107 del 2015 non è conforme a diritto, poiché nessuna disposizione prevede l’esclusione del risarcimento, c) che è irrilevante, ai fini del risarcimento, la distinzione tra organico di fatto e di diritto, d) che incombeva sul Ministero l’indicazione dei dati numerici dell’organico di fatto nel periodo di causa, a dimostrazione della sua transitorietà;

il motivo è manifestamente infondato, avendo la Corte territoriale deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame del motivo non offre elementi per mutare l’orientamento né per dar luogo ad una nuova rimessione delle questioni alla Corte di giustizia;

al riguardo si richiamano i principi già espressi da questa Corte (da ultimo, ordinanze VI sez. n.7082 del 2021, n. 1033 del 2021 cit.; n. 1912 del 2020) ai quali si intende dare continuità ed alle cui motivazioni si rinvia, anche ai sensi dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c.;

risulta infatti dalla sentenza impugnata non solo che la ricorrente sia stata immessa nei ruoli – così da escludere il danno derivante dalla precarizzazione del rapporto – ma, altresì, che la stessa non abbia, nell’originaria domanda, allegato l’esistenza di danni ulteriori e diversi rispetto a quelli “risarciti” dalla immissione in ruolo, la cui prova grava sul lavoratore e che comunque non potrebbero identificarsi con quelli “da mancata conversione e quindi da perdita del posto di lavoro”, secondo quanto affermato nella decisione delle sezioni unite n. 5072 del 2016;

allo stesso modo manifestamente infondato è il profilo di censura attinente all’acquiescenza,

a tacer del fatto che si tratta di questione che involge apprezzamenti di fatto e che non risulta specificamente affrontata dalla sentenza impugnata – che si è limitata a “condanna(re) l’appellato alla restituzione di quanto eventualmente corrisposto per effetto della sentenza impugnata” – questa Corte ha affermato che la spontanea esecuzione della decisione di primo grado provvisoriamente esecutiva non comporta acquiescenza alla sentenza, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione (in termini, Cass. n. 1912 del 2020 cit. che richiama Cass. n. 13293 del 2014);

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato;

le spese del giudizio di legittimità vanno compensate avuto riguardo alla complessa stratificazione del quadro normativo (in termini, Cass. n. 1912 del 2020);

sussistono, invece, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 21 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2021

 

 

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