Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23606 del 27/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 27/10/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 27/10/2020), n.23606

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3763-2016 proposto da:

B.B.L.E., elettivamente domiciliato in ROMA,

CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo studio dell’avvocato GREZ

STUDIO, rappresentato e difeso dagli avvocati ALESSANDRO STANZIOLA,

NADIA STANZIOLA;

– ricorrente –

contro

BO.MA.LE., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

COSTANTINO CORVISIERI 4, presso lo studio dell’avvocato ANDREA

INGENITO, rappresentata e difesa dall’avvocato ALBERTO CORSINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 250/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 30/07/2015 r.g.n. 155/2015.

LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore.

 

Fatto

RILEVA IN FATTO

Che:

BO.Ma.Le. adiva il giudice del lavoro di Massa per ottenere la condanna al pagamento di complessivi 30.653,29 Euro, per differenze retributive, della titolare della ditta BURGA LOURDES con sede in (OMISSIS), dove asseriva di aver lavorato, senza alcuna regolarizzazione del rapporto, in regime di subordinazione dal (OMISSIS) per gli anni dal (OMISSIS), con mansioni di commessa di 4 livello c.c.n.l. commercio. Chiedeva altresì di essere reintegrata nel posto di lavoro a seguito del licenziamento verbalmente intimatole dalla datrice di lavoro il (OMISSIS);

radicatosi il contraddittorio, si costituiva in giudizio B.B.L.E., che resisteva alle pretese avversarie, eccependo tra l’altro la prescrizione ex art. 2956 c.c., dei pretesi crediti maturati in data anteriore al 15 settembre 2006, nonchè il fatto che l’attrice risultava titolare di partita i.v.a. e legale rappresentante della M.J. IMPROVEMENT di BO.Ma.Le., operante nel settore edile;

all’esito di prova testimoniale e di c.t.u. contabile il giudice adito con sentenza n. 387/2014 così provvedeva: in parziale accoglimento della domanda, dichiarava che tra le parti erano intervenuti tra l’anno 2000 e l’anno 2009 ripetuti rapporti di lavoro stagionali della durata di tre mesi (dal (OMISSIS) di ogni anno) a tempo parziale, con orario 9 – 13, fatta eccezione per il 2009 – dal (OMISSIS) – periodo durante il quale vi era stata prestazione a tempo pieno con orario 8.30/13 e 15/24. Affermava che alla ricorrente andava riconosciuto l’inquadramento nel quarto livello del suddetto contratto collettivo in vigore all’epoca dei fatti, con conseguente diritto a percepire differenze retributive spettanti, nonchè al versamento della contribuzione dovuta. Condannava, quindi, la convenuta ditta individuale BURGA Lourdes, in persona dell’omonima titolare, al pagamento in favore dell’attrice, tenuto conto di limiti prescrizionali di cui all’art. 2948 c.c., n. 4, i somma di Euro 20.233,00 a titolo di differenze retributive spettanti e di t.f.r., al lordo delle trattenute fiscali retributive, oltre accessori di legge. Dichiarava, inoltre, l’inefficacia del licenziamento intimato oralmente alla lavoratrice il (OMISSIS), condannando per l’effetto la convenuta a reintegrare immediatamente la ricorrente nel posto di lavoro in precedenza occupato, nonchè a corrisponderle, a titolo di risarcimento del danno, un’indennità pari alle retribuzioni maturate dal giorno del recesso sino a quello dell’effettiva reintegrazione, con tutti gli accessori di legge. Rigettava per il resto la domanda, con la condanna però della resistente al rimborso delle spese di lite in favore della ricorrente. Secondo il Tribunale nel caso di specie non era ravvisabile un unico rapporto di lavoro protratto dall’anno 2000 fino al 2009, trattandosi invece di distinti rapporti di lavoro, stagionali o intermittenti, intercorsi ogni anno dal (OMISSIS) nei periodi di apertura del mercatino locale nella zona di (OMISSIS), denominata (OMISSIS). Di conseguenza, al 15 settembre di ogni anno al termine di ciascun rapporto era iniziato a decorrere il termine di prescrizione di cui al succitato art. 2948, n. 4, sicchè risultavano estinti i crediti maturati prima dell’anno 2005. Infatti, il primo atto interruttivo della prescrizione era dovuto al verbale di mancata conciliazione dinanzi alla direzione provinciale del lavoro di (OMISSIS);

avverso l’anzidetta pronuncia proponeva appello B.B.L.E., la quale in particolare deduceva la nullità insanabile della gravata sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, con riferimento a motivazione apparente, perplessa, obiettivamente incomprensibile, nonchè caratterizzata da contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili. Resisteva la BO., che eccepiva tra l’altro l’inammissibilità dell’appello per la sua genericità, essendo privo dei requisiti di cui all’art. 434 c.p.c., spiegando a sua volta appello incidentale, relativamente alla parte in cui l’impugnata pronuncia aveva dichiarato il credito azionato parzialmente prescritto, avuto riguardo alle eccezione di prescrizione, non rilevabile quindi d’ufficio ed opponibile da parte convenuta a pena di decadenza nella comparsa di costituzione tempestivamente depositata. Nel caso di specie la resistente aveva formulato con la propria memoria difensiva un’eccezione di prescrizione presuntiva ex art. 2956, mentre soltanto in corso di causa con la costituzione di un nuovo difensore aveva eccepito la prescrizione estintiva quinquennale di cui all’art. 2948 c.c., perciò oltre che tardiva incompatibile con quella in precedenza opposta;

la Corte d’Appello di Genova con sentenza n. 250 in data 17 – 30 luglio 2015 (r.g. 155/2015), dichiarava l’inammissibilità dell’impugnazione principale, mancando i requisiti di cui all’art. 434 del codice di rito, perchè si limitava ad eccepire la nullità della sentenza gravata, senza tuttavia formulare conclusioni di merito, ed in quanto neppure emergeva con chiarezza quale sarebbe stato l’interesse ad impugnare in ordine ad una diversa qualificazione del rapporto come di lavoro subordinato a tempo indeterminato, risultando incomprensibili le modifiche richieste alla ricostruzione del fatto, operata dal primo giudicante, laddove per altro verso, quanto alle ulteriori doglianze, dall’esame complessivo dell’atto le stesse apparivano finalizzate unicamente a rimarcare la nullità della sentenza impugnata, non potendosi ritenere, secondo 4. Corte genovese, se non con una inammissibile forzatura interpretativa, che l’appellante principale avesse inteso formulare sul punto conclusioni di merito. Veniva, per contro, accolto l’appello incidentale, dovendo ritenersi che il primo giudicante avesse erroneamente applicato la prescrizione estintiva, sebbene non fosse stata tempestivamente dedotta dalla convenuta, che aveva invece invocato quella presuntiva (all’uopo richiamando Cass. n. 3443 del 2005 e n. 13552/2014). Di conseguenza, facendo riferimento alla c.t.u. contabile di prime cure, la somma complessivamente spettante all’attrice – senza tener conto della prescrizione – ammontava a 40.427,54 Euro, da cui andava detratta la retribuzione corrisposta nel corso del rapporto per complessivi Euro 12.105,90. Quindi, in parziale riforma dell’impugnata pronuncia, la Corte genovese condannava la suddetta BURGA Lourdes al pagamento, in favore della BO., della somma di Euro 28.321,64 in luogo del minor importo quantificato dal giudice di primo grado, oltre accessori di legge dalle singole scadenze al saldo, confermata nel resto l’impugnata sentenza. Condannava, infine, l’appellante principale al rimborso delle ulteriori spese di lite, all’uopo liquidate; avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione B.B.L.E. con atto del 28/29 gennaio 2016, affidato a due motivi (non numerati), cui ha resistito la sig.ra BO.Ma.Le. mediante controricorso dell’8 marzo 2016 (v. anche avvisi postali di ricevimenti pervenuti a destinazione il successivo giorno 16);

nonostante rituali avvisi tramite posta elettronica certificata del 25 settembre 2019 per l’adunanza del collegio in camera di consiglio, fissata al 28.11.2019, non risultano depositate memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

con il primo motivo la ricorrente ha denunciato violazione dell’art. 434 c.p.c., – nullità della sentenza impugnata, che aveva dichiarato l’inammissibilità del gravame sulla base di una interpretazione illogica, ben oltre quella restrittiva consentita dal testo dell’art. 434, laddove l’avverbio ulteriormente, impiegato nella motivazione della pronuncia circa le lagnanze aventi ad oggetto la qualifica attribuita alla lavoratrice, i conteggi, le conseguenze del licenziamento etc., lasciava intravedere un vizio logico. Se era pur vero che il gravame aveva avuto come scopo primario la declaratoria di nullità della sentenza di primo grado sulla base dell’assunto che la pronuncia n. 387 del 2014 “, con tutta evidenza conteneva un contrasto irriducibile tra affermazioni ed istituti contrattuali giuslavoristici (stagionali o intermittente? peraltro come ampiamente contestato, neppure applicabili in quanto non in vigore e/o comunque richiedenti particolari requisiti), tra dati appurati ed omessa pronuncia su istanze istruttorie, sul fatto che non poteva parlarsi di reintegra per un rapporto di lavoro con ambulante (sic), di declaratoria contrattuale (commessa IV livello) per assenza di elementi probatori sulla qualificazione del lavoro della convenuta, è altresì vero che le sollevate incongruenze erano e non potevano che essere dirette al rigetto della domanda dell’attuale convenuta stante la chiarissima incongruenza della ricostruzione giuridica e probatoria del caso B./ Bo. operata dal Giudice di Massa”. Non risultava pertanto coerente con il contenuto del ricorso d’appello l’affermazione della Corte territoriale secondo cui non emergeva con chiarezza quale sarebbe stato l’interesse ad impugnare. Ciò che si era voluto sostenere con l’atto d’appello era, come unica soluzione possibile, la riforma del provvedimento impugnato per totale assenza di un iter logico conseguenziale nella definizione del rapporto tra le parti in causa, essendo la gravata pronuncia talmente confusa, contraddittoria ed obiettivamente incomprensibile. A pagina 9 della pronuncia d’appello la Corte territoriale aveva perfettamente compreso la portata delle osservazioni di parte appellante, ma asseriva di non capi quale sarebbe stato l’interesse alla qualificazione del rapporto, sulla base delle disquisizioni formulate, evidenziando un contrasto rispetto alla difesa iniziale “in cui si era limitata a negare qualsiasi rapporto lavorativo”. Richiamate (in parte) alcune osservazioni svolte con l’atto di appello alle pagine 4 e 5, la ricorrente ha sostenuto che con le espressioni ivi utilizzate non veniva significata alcuna asserzione dell’esistenza di un rapporto di lavoro, quanto piuttosto confutazione dell’assunto della gravata pronuncia, la quale aveva ritenuto il rapporto a tempo indeterminato con conseguente condanna alla reintegra, peraltro con aspetti esulanti dalla tutela reale invocata. In sintesi, la declaratoria di nullità insanabile veniva invocata per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4. “Se è pur vero come si legge nella sentenza della Corte d’Appello di Genova a pagina 10 che l’eccepita nullità non integra i presupposti di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c. (remissione al primo giudice), anche se non si volesse dare il giusto significato all’appello che è quello di riforma/inesistenza di qualsiasi rapporto di lavoro (vedi sentenze Corte di Cassazione sez. lavoro 5.2.2015 n. 2143 nonchè… 3 ottobre – 15 novembre 2013 n. 25751), l’impugnazione che si limiti a dedurre solo vizi diritto (caso de quo in cui si contestano i presupposti “formativi” della sentenza) è ammissibile(vedi Cassazione 99/11394. In tal senso anche autorevole dottrina, Chiarloni, Verde, Rascio)”;

con la seconda censura parte ricorrente ha dedotto “omessa motivazione sulla qualificazione dell’eccepita prescrizione”. La Corte d’Appello, pur riconoscendo che il primo difensore costituito aveva tempestivamente eccepito “ogni intervenuta prescrizione”, di fatto facendo riferimento all’art. 2956 c.c., aveva ritenuto che parte resistente aveva inteso soltanto parlare di prescrizione presuntiva, omettendo tuttavia di considerare che il difensore costituitosi successivamente al primo, e quindi avvalendosi della tempestività della costituzione, avesse eccepito anche ad abundantiam la prescrizione estintiva. “Non specifica poi la qualificazione dell’eccepita prescrizione nel caso di specie”;

entrambe le censure vanno disattese per le seguenti ragioni;

in primo luogo, infatti, il ricorso appare carente in termini di autosufficienza, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, laddove si limita ad una estrema sintesi del pregresso iter processuale, omettendo soprattutto di riprodurre compiutamente non soltanto la gravata pronuncia di primo grado, ma soprattutto il successivo atto d’appello, principale, però dichiarato inammissibile con esaurienti e lineari argomentazioni, perfettamente comprensibili, dalla Corte di merito, peraltro anche corrette in punto di diritto. Ed invero, l’omessa esauriente trascrizione del suddetto ricorso ex art. 434 c.p.c., preclude l’accesso diretto agli atti del precedente giudizio, eccezionalmente consentito nel caso di errores in procedendo rilevanti ex art. 360 c.p.c., n. 4, che infatti anche in tale ipotesi resta subordinato alla rigorosa osservanza dei requisiti richiesti a pena d’inammissibilità dal succitato art. 366 (cfr. tra le altre in proposito Cass. lav. n. 2143 del 16 dic. 2014 / 5 feb. 2015, in part. al punto 4 della motivazione, cui si rimanda con la giurisprudenza ivi menzionata), affinchè questa Corte possa immediatamente rilevare in concreto l’errore processuale lamentato da parte ricorrente (cfr. anche Cass. sez. un. civ. n. 8077 del 22/05/2012, secondo cui quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito ed quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. V. parimenti Cass. lav. n. 8008 del 4/4/2014: in caso di denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, del vizio di pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c., da parte del giudice di merito, per avere pronunciato su di una domanda non proposta, il giudice di legittimità è investito del potere di esaminare direttamente il ricorso introduttivo del giudizio, purchè ritualmente indicato ed allegato nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, al fine di verificare contenuto e limiti della domanda azionata. V. ancora Cass. V civ. n. 14107 del 07/06/2017: il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci l’omessa o inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, anche ove intenda far valere un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, è onerato, a pena di inammissibilità del ricorso, non solo della specifica indicazione del documento e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti e dei documenti così da rendere immediatamente apprezzabile dalla Suprema Corte il vizio dedotto. Conforme Cass. lav. n. 20914 del 5/8/2019. In senso analogo pure Cass. Sez. 6 – 3, ordinanza n. 19985 del 10/08/2017, circa la necessità della trascrizione per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, in base al quale il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nello stesso ricorso, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative. Conforme, tra le varie, anche Cass. Sez. 6 – L, ordinanza n. 17915 del 30/07/2010);

per altro verso, correttamente la Corte ligure, non avendo ravvisato nella specie alcuna delle ipotesi di rimessione al primo giudice, contemplate dagli artt. 353 e 354 c.p.c., nè rilevato specifici e pertinenti motivi di merito da parte appellante, dichiarava inammissibile l’interposto gravame principale (cfr. Cass. III civ. n. 2053 del 29/01/2010: è ammissibile l’impugnazione con la quale l’appellante si limiti a dedurre soltanto vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole, solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c.; nelle ipotesi in cui, invece, il vizio denunciato non rientri in uno dei casi tassativamente previsti dai citati artt. 353 e 354 c.p.c., è necessario che l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, con la conseguenza che, in tali ipotesi, l’appello fondato esclusivamente su vizi di rito, è inammissibile, oltre che per un difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione.

In senso conforme, tra le altre, Cass. sez. un. civ. – sentenza n. 12541 del 14/12/1998. Parimenti, più recentemente, secondo Cass. II civ. n. 11299 del 10/05/2018, è ammissibile l’impugnazione con cui l’appellante deduca esclusivamente vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso in senso a lui sfavorevole anche nel merito solo qualora detti vizi comportino, se fondati, la rimessione al primo giudice ex artt. 353 e 354 c.p.c.. Ed analogamente, secondo Cass. I civ. n. 2302 del 5/2/2016, è inammissibile, oltre che per difetto di interesse anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione, il reclamo avverso la sentenza dichiarativa del fallimento proposto ai sensi della L.Fall., art. 18, laddove lo stesso sia fondato esclusivamente su vizi di rito, senza la contestuale e rituale deduzione delle eventuali questioni di merito, ed i vizi denunciati non rientrino tra quelli che comportino una rimessione al primo giudice, tassativamente indicati dagli artt. 353 e 354 c.p.c.. Idem Cass. III civ. n. 24612 del 3/12/2015);

generica ed infondata risulta, inoltre, la doglianza relativa alla pretesa omessa motivazione sulla qualificazione dell’eccepita prescrizione, laddove la sentenza qui impugnata nell’accogliere l’appello incidentale chiariva benissimo le ragioni di tale decisione, evidenziando come erroneamente il primo giudicante avesse applicato le norme di legge in tema di prescrizione estintiva, benchè quest’ultima non fosse stata tempestivamente eccepita dalla convenuta, che aveva invece invocato la prescrizione presuntiva, all’uopo citando anche pertinente giurisprudenza di legittimità, chiarendo altresì la possibilità di dedurre, nel corso del giudizio, una differente disciplina in materia, ma soltanto nell’ambito del medesimo tipo (prescrizione, estintiva o presuntiva), in relazione al quale risulti formulata specifica eccezione. Precisava, dunque, la Corte di merito che nel caso in esame parte convenuta nel costituirsi in giudizio aveva opposto la prescrizione presuntiva, come poteva desumersi in particolare dal riferimento all’art. 2956 c.c. e dalla specifica indicazione dei crediti che vi si assumevano prescritti (quelli sorti in data anteriore al 15 settembre 2006), mentre (come precisato a pag. 8 nella parte narrativa della sentenza n. 250/15 de qua), soltanto in corso di causa, con la costituzione del nuovo procuratore di parte resistente, era stata eccepita la prescrizione estintiva quinquennale di cui all’art. 2948 c.c., motivo in forza del quale era stato quindi spiegato appello incidentale da parte della lavoratrice, accolto poi dalla Corte distrettuale, nel senso che il Tribunale non avrebbe dovuto applicare (d’ufficio, a fronte di una diversa tempestiva eccezione sul punto della parte interessata) la disciplina dettata dal codice per la prescrizione estintiva (per la quale, tra l’altro, non opera la disposizione di cui all’art. 2959 c.c., che infatti espressamente richiama i soli casi indicati dai precedenti artt. 2954, 2955 e 2956);

la Corte genovese, pertanto, ha correttamente applicato il principio secondo cui la parte che eccepisce in giudizio la prescrizione ha l’onere di puntualizzare se intende avvalersi di quella presuntiva o di quella estintiva, poichè si tratta di eccezioni tra loro logicamente incompatibili e fondate su fatti diversi, mentre non è necessaria la specificazione del tipo legale e della durata della prescrizione estintiva, la cui identificazione spetta al giudice secondo le varie ipotesi previste dalla legge, in base al principio Tura novit curia (Cass. III civ. n. 16486 del 5/7/2017. V. anche Cass. n. 19545 del 26/08/2013, secondo cui l’eccezione di prescrizione presuntiva e l’eccezione di prescrizione estintiva non sono reciprocamente fungibili, nè rappresentano espressioni di un’attività difensiva sostanzialmente unitaria, costituendo, invece, rispettivamente, una difesa fondata su una mera presunzione legale di avvenuta estinzione del diritto azionato dalla controparte e una difesa volta a determinare l’estinzione dell’avverso diritto. Ne consegue che, proposta originariamente la prima, non è consentito alla stessa parte invocare in suo luogo, nel corso del giudizio di rinvio, la seconda, o viceversa. Cfr. ancora Cass. II civ. n. 3443 del 21/02/2005, richiamata in massima espressamente e testualmente nella sentenza qui impugnata: “La prescrizione estintiva e la prescrizione presuntiva sono ontologicamente differenti, logicamente incompatibili e fondate su fatti diversi, in quanto elementi costitutivi della prima sono il decorso del tempo e l’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio che estinguono il debito, sicchè il debitore può giovarsene, liberandosi dalla pretesa, sia che contesti l’esistenza del credito sia che ammetta di non aver adempiuto l’obbligazione; mentre la seconda è fondata su una presunzione “iuris tantum”, ovvero mista, di avvenuto pagamento del debito, esponendosi colui che la oppone al suo rigetto non solo se ammette di non aver estinto l’obbligazione ma anche se ne contesta la stessa insorgenza. Ne consegue l’onere, per la parte che eccepisce in giudizio la prescrizione, di specificare se intende avvalersi di quella presuntiva o di quella estintiva, mentre nell’ambito di quest’ultima non è necessario che la parte ne identifichi il tipo legale e ne indichi la durata, spettando al giudice, in base al principio “iura novit curia”, identificare quale sia il termine di prescrizione applicabile secondo le varie ipotesi previste dalla legge”. Ed in senso analogo anche Cass. lav. n. 6120 del 5/12/1985:

nell’eccezione di prescrizione presuntiva non può ritenersi compresa anche l’eccezione di prescrizione estintiva, stante l’incompatibilità dei due istituti che si fondano il primo su una presunzione di pagamento ed il secondo sulla semplice inerzia del titolare del diritto nel chiedere la sua attuazione. Pertanto, proposta in primo grado l’eccezione di prescrizione presuntiva la parte non può in appello, nel rito del lavoro, sollevare eccezione di prescrizione estintiva ordinaria);

del resto, è noto che l’eccezione di prescrizione costituisce un eccezione in senso stretto e va proposta, nel rito del lavoro, a pena di decadenza, nella memoria difensiva di cui all’art. 416 c.p.c., la cui costituzione deve avvenire almeno dieci giorni prima dell’udienza fissata per la discussione, laddove poi soltanto in caso di gravi motivi le parti possono modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate, comunque previa autorizzazione del giudice, autorizzazione che peraltro nel caso di specie risulta del tutto insussistente, non avendone fatto menzione nemmeno la ricorrente (cfr. Cass. lav. n. 3375 in data 8/3/2001, conformi tra le varie Cass. nn. 9046 del 4/7/2001, 8898 del 4/6/2003 e 12214 del 20/08/2003. V. ancora Cass. lav. n. 5380 del 2/9/1986, secondo cui la decadenza stabilita dall’art. 416 c.p.c., comma 2, in ordine alla proponibilità, da parte del convenuto, delle domande riconvenzionali e delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio -fra le quali rientra quella di prescrizione- ha carattere assoluto ed inderogabile e dev’essere rilevata d’ufficio dal giudice, essendo in contrario irrilevante il silenzio serbato dall’attore; essa, inoltre, si verifica sia quando il convenuto abbia omesso di costituirsi sia Quando il medesimo si sia costituito oltre il termine perentorio di almeno dieci giorni prima dell’udienza di discussione);

pertanto, il ricorso va respinto, dovendosi per completezza soltanto rilevare, da ultimo, come ad ogni modo nel caso di specie parte ricorrente non abbia obiettato alcunchè sulla ritualità della pronuncia di merito, favorevolevlavoratrice con l’accoglimento dell’appello incidentale, per l’eventuale perdita di efficacia di quest’ultimo, a fronte della declaratoria d’inammissibilità del gravame principale, ex art. 334 c.p.c., eventuale inefficacia peraltro nemmeno comunque rilevabile dalla lettura della sentenza qui impugnata, dal ricorso e neanche dal controricorso, nel quale si accenna soltanto al deposito della sentenza di primo grado in data 31.12.2014 e dell’appello principale in data 8 aprile 2015, sicchè del resto, visto che il dispositivo della sentenza n. 250/2015 risale all’udienza del 17 luglio 2015, considerata la vicinanza dei tempi, appare anche del tutto improbabile che l’impugnazione incidentale sia stata tardiva nei sensi cui al cit. 334 (ossia proposta oltre il 30 giugno 2015);

infine, con il rigetto del ricorso la parte rimasta soccombente va condannata al rimborso delle relative spese, sussistendo, quindi, anche i presupposti di legge per il versamento dell’ulteriore contributo unificato, stante l’esito interamente negativo dell’impugnazione qui proposta.

PQM

La Corte RIGETTA il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida a favore della controricorrente in Euro 3800,00 (tremilaottocento/00) per compensi professionali ed in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2020

 

 

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