Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23604 del 27/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 27/10/2020, (ud. 09/10/2019, dep. 27/10/2020), n.23604

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20779-2015 proposto da:

C.V., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati avvocato DOMENICO DAMIANI, IRENE DAMIANI;

– ricorrente –

contro

MANIFATTURE DEL NORD S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI DARDANELLI 46,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO SPINELLA, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI ZACCHINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1257/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 21/07/201 r.g.n. 349/2012.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che la Corte di Appello di Palermo, con sentenza pubblicata in data 21.7.2014, ha rigettato il gravame interposto da C.V., nei confronti della s.r.l. Manifatture del Nord, avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede resa il 15.9.2011, con la quale era stata rigettata la domanda proposta dal C., diretta ad ottenere – sul presupposto di un rapporto di agenzia intercorso tra il 1982 ed il 1994 – “maggiori provvigioni concernenti la stagione primavera/estate 1995” ed “il riconoscimento del diritto alla restituzione dell’IVA relativa a provvigioni che erano state cedute alla Credemfactor S.p.A. e che la preponente aveva indebitamente versato alla cessionaria unitamente agli imponibili provvisionali”;

che la Corte di merito, per quanto ancora in questa sede rileva, ha ritenuto che, “prima dell’intervento della direttiva comunitaria del 13 dicembre 1986 sugli agenti di commercio indipendenti e delle due leggi italiane di attuazione (D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303; D.Lgs. 15 febbraio 1999, n. 65), l’agente aveva diritto alla provvigione solo per gli affari che avevano avuto regolare esecuzione (art. 1748 c.c., comma 1) e per gli affari che non avevano avuto esecuzione per causa imputabile al preponente (art. 1749 c.c.). Se l’affare aveva avuto esecuzione parziale, la provvigione spettava all’agente in proporzione della parte eseguita (art. 1748 c.c., comma 1). Di tal che, in base alla norma, così come era formulata prima dell’attuazione della direttiva, l’agente acquistava il diritto alla provvigione non nel momento in cui aveva svolto l’attività di promozione del contratto, ma solo quando questo era stato accettato dalle parti e aveva avuto regolare esecuzione, ovvero, era andato a buon fine. Promozione del contratto, conclusione del contratto e esecuzione del contratto erano dunque i tre fatti giuridici costitutivi del diritto dell’agente alla provvigione. Prima del verificarsi di questa triplice condizione l’agente non poteva vantare alcun diritto, ma era titolare di una mera aspettativa…”, ed altresì che “… le risultanze istruttorie nulla adducono in ordine alla prova della vigenza, nel periodo coperto dalla prescrizione, del dichiarato accordo di non escussione”;

che per la cassazione della sentenza ricorre C.V. articolando due motivi, cui la S.r.l. Manifatture del Nord resiste con controricorso;

che sono state comunicate memorie nell’interesse del C.; che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il ricorso, si deduce: 1) la “violazione dell’art. 1749 c.c., ante riforma D.Lgs. 15 dicembre 1999, n. 64, art. 4”, per avere la Corte di merito erroneamente interpretato l’art. 1749 c.c., nel testo vigente in epoca anteriore alla riforma introdotta con il D.Lgs. n. 64 del 1999, in quanto, “contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale e dalla Corte di Appello, con lettera del 10.11.1994 la società comunicava l’ammontare globale delle vendite e non delle proposte d’ordine”; 2) la “violazione dell’art. 2936 c.c., nel duplice aspetto del tempo di maturazione della prescrizione e del termine iniziale della decorrenza della prescrizione”, perchè la Corte di merito avrebbe errato nel dichiarare l’estinzione per prescrizione, ai sensi dell’art. 2948 c.c., n. 4, del diritto del ricorrente ad ottenere il pagamento della somma di Euro 16.688,67, a titolo di IVA maturata sulle provvigioni oggetto di cessione in favore della Credemfactor S.p.A., non avendo i giudici di merito, a parere del ricorrente, tenuto conto della circostanza che il decorso del termine prescrizionale era rimasto sospeso nelle more del giudizio pendente davanti al Tribunale di Reggio Emilia, avente ad oggetto i pignoramenti presso terzi promossi su tali crediti, ed altresì del fatto che “la mancata escussione del credito era stata giustificata da una sorta di pactum de non petendo concluso tra il C. e le Manifatture del Nord per non esporre il primo al rischio che anche tale ulteriore credito relativo all’IVA non restituita sugli imponibili riguardanti le provvigioni cedute alla Credemfactor S.p.A. nel 1994 venisse attratto nell’esecuzione forzata intentata dalla coniuge separata”, e che “tale accordo interno aveva impedito il decorso del termine prescrizionale”;

che il primo motivo non è fondato, dovendosi reputare del tutto corretta e condivisibile l’operazione di sussunzione operata dai giudici di appello (v. pag. 3 della sentenza impugnata), i quali, conformemente agli arresti giurisprudenziali di legittimità nella materia (cfr., tra le molte, Cass. nn. 5467/2000, 6875/2001), hanno sottolineato che, dovendosi pacificamente applicare nella fattispecie la norma di cui all’art. 1748 c.c. (e, conseguentemente, dell’art. 1749 c.c.) nel testo vigente prima della riforma introdotta con la L. n. 65 del 1999, l’agente avrebbe potuto vantare un diritto esclusivamente nel caso in cui vi fosse stata la promozione del contratto, la conclusione e l’esecuzione dello stesso, in quanto, prima del verificarsi di questi tre elementi fondamentali, avrebbe potuto configurarsi in capo al medesimo solo la titolarità di una mera aspettativa (v. quanto riportato in narrativa al riguardo). Pertanto, non avendo il C. fornito elementi delibatori relativamente al buon fine degli affari in ordine ai quali aveva chiesto la liquidazione degli emolumenti – e non avendo provato che gli stessi non erano stati conclusi per causa imputabile al preponente -, lo stesso non era titolare di alcun diritto (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 25023/2013; 10821/2011), essendo, appunto, il buon fine degli affari un fatto costitutivo del diritto alla provvigione e non potendosi, dunque, considerare assolto l’onere probatorio dalla mera produzione degli ordini raccolti;

che il secondo motivo è inammissibile poichè manca la prova della sussistenza dell’asserito pactum de non petendo che, secondo la prospettazione del ricorrente, avrebbe impedito il decorso del termine prescrizionale; non è stato, infatti, prodotto (e neppure indicato come documento offerto in comunicazione nel ricorso per cassazione), nè trascritto, “l’accordo con cui le parti avrebbero deciso di ritardare l’esigibilità del credito”;

che, pertanto, l’articolazione del motivo viola il principio (sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (Cass. n. 14541/2014). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013); per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di apprezzare la veridicità delle doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza, che si risolvono, quindi, in considerazioni di fatto del tutto inammissibili e sfornite di qualsiasi delibazione probatoria (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 24374/2015; 80/2011);

che, per tutto quanto innanzi esposto, il ricorso va respinto;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come specificato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2020

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