Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2360 del 03/02/2020
Cassazione civile sez. lav., 03/02/2020, (ud. 30/10/2019, dep. 03/02/2020), n.2360
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16747/2014 proposto da:
C.L., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA NAZARIO SAURO 16, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA
REHO, rappresentati e difesi dall’avvocato MASSIMO PISTILLI;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in
persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso
dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia
ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 10739/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 17/12/2013 R.G.N. 6121/2009.
Fatto
RILEVATO
che:
1. con sentenza n. 10739 in data 17 dicembre 2013 la Corte d’appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, accoglieva l’opposizione del Ministero della Difesa e rigettava la domanda proposta, in sede monitoria, dai ricorrenti indicati in epigrafe volta alla condanna del Ministero al pagamento di una ulteriore quota aggiuntiva di retribuzione in relazione ai giorni di festività nazionali (2 giugno 2002, 25 aprile 2004 e 1 maggio 2005) coincidenti con la domenica ai sensi della L. n. 260 del 1949, art. 5;
superava preliminarmente la Corte territoriale le questioni di inammissibilità e improcedibilità dell’appello formulate dagli appellati;
valorizzava, poi, lo ius superveniens, costituito dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 224, richiamava la decisione della Corte costituzionale n. 146 del 16 maggio 2008 (che aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 266 del 2005, del suddetto art. 1, comma 224) e riteneva che il diritto al compenso aggiuntivo per le festività civili coincidenti con la domenica, attribuito dalla L. 27 maggio 1949, n. 260, art. 5, comma 3, come modificato dalla L. 31 marzo 1954, n. 90, art. 1, fosse stato escluso della L. n. 266 del 2005, citato art. 1, comma 224, che, con portata retroattiva, aveva espressamente compreso tale disposizione tra quelle riconosciute inapplicabili dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 1, secondo periodo, a seguito della seconda tornata di contratti collettivi in materia di lavoro con la P.A.;
2. avverso tale sentenza i ricorrenti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca ha resistito con controricorso;
3. è stata successivamente depositata rinuncia alla domanda.
Diritto
CONSIDERATO
che:
1. il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse avendo i ricorrenti dichiarato di rinunciare alla domanda fatta valere, e coltivata con il ricorso per cassazione, in ragione dell’orientamento ormai consolidato di questa Corte contrario alle argomentazioni giuridiche poste a base del ricorso stesso;
2. nella specie, la rinuncia è irrituale (per non essere stata notificata alla controparte);
3. la rinuncia al ricorso per cassazione (id est la rinuncia all’intera pretesa azionata) è atto unilaterale non accettizio, nel senso, cioè, che non esige, per la sua operatività, l’accettazione della controparte;
4. l’art. 390 c.p.c., peraltro, richiede che l’atto scritto sia notificato alle parti costituite o comunicato ai loro avvocati che vi appongono il visto, sicchè, ove la rinuncia venga effettuata senza il rispetto di tali formalità, non può essere dichiarata l’estinzione del processo ex art. 391 c.p.c.;
5. tuttavia la rinuncia, benchè irrituale, è pur sempre significativa del venir meno dell’interesse al ricorso, del quale determina l’inammissibilità (v. Cass. 8 novembre 2018, n. 28524; Cass. 24 ottobre 2018, n. 27868; Cass. 7 giugno 2018, n. 14782; Cass., Sez. Un., 18 febbraio 2010, n. 3876);
6. le spese del giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate, in considerazione del comportamento processuale dei ricorrenti nonchè dell’oggettiva incertezza interpretativa, ancora esistente al momento della notifica del ricorso;
7. non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17;
trattasi, invero, di misura sanzionatoria che non trova applicazione allorquando l’inammissibilità dell’impugnazione sia dichiarata per sopravvenuto difetto di interesse (cfr. Cass. 2 luglio 2015, n. 13636; Cass. 10 febbraio 2017, n. 3542; Cass. 18 gennaio 2019, n. 1343).
PQM
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse; compensa le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2020