Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2360 del 02/02/2010

Cassazione civile sez. III, 02/02/2010, (ud. 18/12/2009, dep. 02/02/2010), n.2360

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – rel. Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16937/2005 proposto da:

V.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CRESCENZIO 2, presso lo studio dell’avvocato PAYNE MONICA,

rappresentata e difesa dall’avvocato BARRACANO ALESSANDRO giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AUTOSTRADE SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2370/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA, 3^

SEZIONE CIVILE, emessa il 31/3/2004, depositata il 19/05/2004, R.G.N.

1809/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/12/2009 dal Consigliere Dott. AMATUCCI Alfonso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Nella notte tra il (OMISSIS), sull’autostrada (OMISSIS) che stava percorrendo in direzione (OMISSIS) alla guida di una vettura Mercedes 250, N.A. uscì di strada e morì.

Nell'(OMISSIS) la vedova V.F., anche quale legale rappresentante dei figli minori P. ed A., agì giudizialmente per il risarcimento nei confronti di Autostrade s.p.a., cui imputò la mancanza di guard-rail e di adeguata protezione del raccoglitore di acqua piovana (di mt. 4,80 x 4,80, profondo mt. 2,80 e pieno per metà) posto circa otto metri a lato della carreggiata, nel quale la vettura era piombata 400 metri dopo essere uscita dalle sede stradale, cappottandosi per l’urto contro il bordo superiore del manufatto (il raccoglitore di acqua piovana). Il N. era morto per annegamento, com’era risultato dagli accertamenti autoptici, che ne avevano anche evidenziato lo stato commotivo cerebrale conseguito all’incidente.

2.- La società convenuta resistette e l’adito tribunale di Cassino rigettò la domanda con sentenza n. 19.2001, confermata dalla corte d’appello di Roma con sentenza n. 2370 del 2004, avverso la quale V.F., anche nella qualità suddetta, ricorre per cassazione affidandosi ad un unico motivo.

La società intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- La sentenza è censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., per ogni tipo di vizio della motivazione e per “erronea interpretazione dei mezzi istruttori”. Sostengono i ricorrenti che il fatto raro o eccezionale non vale ad integrare in se stesso il fortuito e che, nella specie, “se la sede stradale fosse stata delimitata dal guard-rail e se il pozzetto fosse stato protetto da mura laterali, se fosse stato coperto o, più semplicemente se il canale fosse stato libero, certamente lo sfortunato N. non sarebbe morto, in autostrada, per annegamento”; ed aggiunge che, dopo il fatto, la società autostradale ha provveduto a recintare con un’adeguata protezione l’area, prima connotata dalla presenza di una semplice rete metallica, abbattuta dalla vettura che violentemente la aveva investita.

2.- Escluso che la vettura condotta dal N. fosse venuta a collisione con altro veicolo ed attribuita l’uscita di strada a non accertate cause (come un colpo di sonno o un malore del conducente), la corte d’appello ha ritenuto che la vettura procedesse a velocità non particolarmente moderata (pagina 8, terzultimo capoverso, della sentenza), ovvero eccessiva (pagina 9, seconda riga), concludendo – questa la ratio decidendi – che la responsabilità del sinistro deve essere quindi attribuita allo stesso conducente, non potendosi ritenere che il convogliatore, cosa inerte, possa di per sè ritenersi pericoloso, ove considerato nella normale realtà circostante, nel cui contesto non determina, anche in caso di incidenti, alcun rischio di pregiudizio per i normali utenti dell’autostrada, da cui è posto ad una certa distanza (pagina 9, primo capoverso).

Tanto in affermata applicazione del principio enunciato dalla contestualmente richiamata Cass., 4.11.2003, n. 16527 – secondo il quale il giudizio sulla pericolosità delle cose inerti deve essere condotto alla stregua di un modello relazionale, in base al quale la cosa venga considerata nel suo normale interagire con il contesto dato, sicchè una cosa inerte in tanto può ritenersi pericolosa in quanto determini un alto rischio di pregiudizio nel contesto di normale interazione con la realtà circostante.

Di tale principio la corte d’appello ha fatto erronea applicazione ed il ricorso è dunque fondato.

Va subito detto che, nel caso cui si riferisce il citato precedente, questa Corte aveva confermato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso la responsabilità di un Comune in relazione al danno riportato da una persona che, in condizioni di piena visibilità, nel risollevarsi dopo essersi chinata per raccogliere le chiavi, aveva urtato contro un ramo di un albero collocato sul ciglio di una strada.

Si ritenne in quell’occasione conforme a diritto l’affermazione del giudice del merito che il giudizio sulla pericolosità della cose inerti non può prescindere da “un modello relazionale per cui la cosa venga vista nel suo normale interagire col contesto dato” e che una cosa inerte può definirsi pericolosa “quando determini un alto rischio di pregiudizio nel contesto di normale interazione con la realtà circostante”.

E si aggiunse che “del resto, se sì prescindesse da tali parametri valutativi, dovrebbe paradossalmente ravvisarsi la responsabilità del custode anche in caso di urto di un pedone contro il tronco di un albero (che egli non abbia per avventura scorto perchè voltatosi a salutare un amico, così come la M. non scorse il ramo perchè chinatasi per raccogliere le chiavi) che non fosse stato adeguatamente protetto con una struttura avvolgente morbida. Ma così come non è pericoloso il tronco perfettamente visibile, non è pericoloso il ramo che sia altrettanto chiaramente visibile, per l’ovvia ragione che nè l’uno nè l’altro determinano un rischio di pregiudizio in contesti del tipo di quello considerato dal tribunale.

Se, nonostante ciò, il contatto con la cosa provochi un danno per l’abnorme comportamento del danneggiato, difetta il presupposto per l’operare della presunzione di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., atteggiandosi in tal caso la cosa come mera occasione e non come causa del danno”.

Nel caso che viene ora in considerazione, la realtà circostante il raccoglitore d’acqua (contro il quale la vettura dapprima urtò capovolgendosi e nel quale poi precipitò) era un’autostrada. Dunque un’arteria per definizione destinata al traffico veloce in condizioni di sicurezza, sulla quale è del tutto legittimo viaggiare ad una velocità non particolarmente moderata, pur se nei limiti imposti (ora) dalla legge e (prima) dalle norme di comune prudenza in relazione alle situazioni contingenti.

Il primo vizio della sentenza – e si tratta di un errore in diritto prim’ancora che logico – è di aver presupposto che su un’autostrada si debba, pur in assenza di specifiche ragioni che la impongano, tenere “una velocità particolarmente moderata”, invece prevista dal codice della strada solo per situazioni di particolare pericolosità.

E di avere, per questo, escluso la sussistenza di nesso causale tra cosa e danno per gli effetti di cui all’art. 2051 c.c..

Il secondo concerne la motivazione, nella parte in cui s’è apoditticamente escluso che il convogliatore, cosa inerte, possa di per sè ritenersi pericoloso, ove considerato nella normale realtà circostante, nel cui contesto non determina, anche in caso di incidenti, alcun rischio di pregiudizio per i normali utenti dell’autostrada, da cui è posto ad una certa distanza.

Volta che ai normali utenti della strada è consentito tenere in autostrada una velocità relativamente elevata, è del tutto inspiegato come possa essere stato considerato non pericoloso un manufatto di quel tipo, posto a circa otto metri di distanza laterale da una sede autostradale neppure delimitata da guard-rail. E ciò, come la sentenza afferma, “anche in caso di incidenti”, che pure annoverano eventualità del tipo di quella occorsa, secondo la corte d’appello verosimilmente indotta da un colpo di sonno (era notte) o da un malore, che provocò l’uscita di strada 400 metri prima dell’impatto. Sicchè la motivazione si rivela, sotto tale aspetto, anche intrinsecamente contraddittoria.

Alla fattispecie si attagliano piuttosto i principi esposti da Cass., n. 488 del 2003, con la quale si è affermato che, qualora l’evento dannoso si ricolleghi a più azioni o omissioni, il problema del concorso delle cause trova soluzione nell’art. 41 c.p. – norma di carattere generale, applicabile nei giudizi civili di responsabilità – in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l’evento, essendo quest’ultimo riconducibile a tutte, tranne che si accerti la esclusiva efficienza causale di una di esse. In particolare, in riferimento al caso in cui una delle cause consiste in una omissione, la positiva valutazione sull’esistenza del nesso causale tra omissione ed evento presuppone che si accerti che l’azione omessa, se fosse stata compiuta, sarebbe stata idonea ad impedire l’evento dannoso ovvero a ridurne le conseguenze, e non può esserne esclusa l’efficienza soltanto perchè sia incerto il suo grado di incidenza causale (nella specie, concernente un incidente stradale occorso su di un’autostrada a seguito del violento impatto di un autoveicolo contro lo spigolo di una galleria privo di barriera protettiva, in conseguenza del quale si era verificato il decesso di uno dei passeggeri del veicolo, mentre il conducente ed un altro passeggero avevano riportato lesioni, la Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità della società concessionaria dell’autostrada sull’assunto che la circostanza che era rimasta ignota la velocità e la traiettoria dell’autovettura non avrebbero permesso di ritenere che la presenza della barriera protettiva avrebbe evitato l’evento dannoso, ovvero ne avrebbe attenuato le conseguenze).

Principi ribaditi, con specifico riguardo ad incidenti verificatisi in autostrada e/o per difetto di barriere protettive, da, ex multis, Cass., nn. 6516/04, 18094/05, 3651/06, 17377/07, 11903/08.

3.- La sentenza va conclusivamente cassata perchè il giudice del rinvio, che si designa nella stessa corte d’appello in diversa composizione, rivaluti il fatto alla stregua degli enunciati principi.

Il giudice del rinvio regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE accoglie il ricorso, cassa e rinvia, anche per le spese, alla corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2010

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