Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23596 del 23/09/2019

Cassazione civile sez. I, 23/09/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 23/09/2019), n.23596

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21516/2014 proposto da:

M.D., M.L., M.A., elettivamente

domiciliati in Roma, Piazzale Clodio, 61 presso lo studio

dell’avvocato Anna Mattioli e rappresentati e difesi dagli avvocati

Renato Salimbeni e Flavia Pozzolini giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

AUTOSTRADE PER L’ITALIA S.p.A., in persona del legale rappresentante

p.t. elettivamente domiciliata in Roma, Corso Vittorio Emanuele II,

n. 18 presso lo studio Grez & Associati S.r.l. Piazzale Clodio,

61 e rappresentata e difesa dall’avvocato Alessandro Colzi giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 270/2014 della Corte di appello di Firenze,

depositata il 11/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/05/2019 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Firenze con la sentenza in epigrafe indicata ha determinato le indennità di esproprio ed occupazione legittima spettanti a M.D., M.L. ed M.A., all’esito dell’ablazione disposta con decreto di Autostrade per l’Italia S.p.A. n. 1831 del 24 giugno 2010, in complessivi Euro 307.435,00, disponendo quindi per le statuizioni strumentali ed accessorie.

I giudici territoriali, disattese le diverse conclusioni raggiunte nella disposta c.t.u., hanno ritenuto la natura non edificabile dei terreni espropriati, posti nel Comune di Scandicci ed interessati dalla realizzazione dell’ampliamento dell’autostrada, in applicazione del criterio della destinazione legale prevista dagli strumenti urbanistici generali.

Pur prevedendo l’art. 39 delle N. T.A. del P.R.G., che disciplina le aree a standard speciali – approvato nel 1991 e modificato nel 1998, vigente all’epoca della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera intervenuta per decreto n. 8942 del 8 ottobre 1999 del Ministero Infrastrutture e Trasporti -, l’edificabilità delle aree in questione a mezzo della realizzazione di attività commerciali, direzionali e simili nel sottosuolo purchè venisse garantita, mediante convenzione, la realizzazione sul soprassuolo opere di uso pubblico e/o collettive previste nel Piano Regolatore nonchè spazi di sosta, parcheggi ed edicole, anche nelle linee di arretramento e fasce di rispetto autostradali, la Corte di appello ha escluso l’edificabilità dei terreni in mancanza, fino all’anno 1999, della stipula di apposite convenzioni tra privato e pubblica amministrazione e di attivazione in tal senso di quest’ultima.

La ricomprensione dei terreni espropriati in linee di arretramento e fasce di rispetto stradale avrebbe concorso ad escludere, nell’assoggettamento degli strumenti generali di pianificazione del territorio al rispetto delle norme di legge impositive di limitazioni di carattere assoluto, l’edificabilità dei terreni.

2. Avverso l’indicata sentenza ricorrono in cassazione con quattro motivi M.D., M.L., M.A.. Resiste con controricorso l’intimata.

Entrambe le parti hanno provveduto a depositare memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si fa valere la violazione di legge in relazione al R.D. n. 2359 del 1865, art. 39 e del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37, ed ai principi destinati a valere in materia di indennità di esproprio.

Per le particelle oggetto di esproprio qualificate, ai sensi degli artt. 39 e 44 N.T.A. del P.R.G. del Comune di Scandicci, ad edificazione speciale (standard; aree per il verde pubblico lo sport e gli insediamenti produttivi; a servizio di sedi stradali e spazi pubblici accessori) e comunque ricadenti nella “linea di arretramento e fasce di rispetto stradale”, si sarebbero registrate: a) possibilità edificatorie nel sottosuolo, non “azzerate” dalla necessità di una preventiva valutazione di opportunità da parte del Comune di darvi attuazione; b) una utilizzabilità per infrastrutture tecnologiche a corredo degli interventi da realizzare nelle contigue opere a standard, per la quale ricorrevano comunque i presupposti di edificabilità.

Nel rapporto tra le due classificazioni non si sarebbe trattato quindi di operare una inammissibile valutazione comprensoriale delle diverse aree, ma, piuttosto, di dare conto del riconoscimento di una potenzialità edificatoria sotterranea, non diversa da quella del soprassuolo.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione al R.D. 2359 del 1865, art. 39 ed al D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32,37 e 40, nonchè ai principi in materia di esproprio.

I giudici di appello con l’impugnata decisione avrebbero negato ingresso, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, a quel “terzo genere”, riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità che, inserito tra le categoria dei terreni edificabili e non edificabili, era espressivo di una possibilità di utilizzazione intermedia, tra l’agricola e l’edificatoria, come avviene per i parcheggi, i depositi e le attività sportive e ricreative.

In tal modo sarebbe stato disatteso l’unico criterio di determinazione dell’indennizzo applicabile per qualunque terreno espropriato, quello del valore venale del bene, da apprezzarsi per le possibilità di utilizzo previste dagli strumenti urbanistici.

Il c.t.u. avrebbe affermato la natura edificatoria delle aree oggetto di esproprio ritenendole tutte suscettibili di interventi edificatori sul soprassuolo, con la sola eccezione delle sedi stradali.

L’utilizzazione superficiale a parcheggio sarebbe poi stata implementata del 15% in relazione a quelle porzioni suscettibili di essere sfruttate con le destinazioni nel sottosuolo previste dall’art. 39 NTC.

I calcoli sviluppati dal c.t.u., come corretti dal c.t.p., che in applicazione di un criterio equitativo avevano fissato le indennità di esproprio e di occupazione nella somma di Euro 2.054.914,00, avrebbero dovuto ritenersi applicabili, quale ipotesi realizzativa equitativa rispetto a quella prevista nella consulenza di parte – che valorizzava pienamente l’utilizzazione del sottosuolo per uso commerciale, direzionale e parcheggi – e quindi come soluzione preferibile a quella, minimale, adottata dalla sentenza con riferimento al mero valore seminativo dei terreni.

3. Con il terzo motivo le censure muovono dalla dedotta violazione di norme di diritto in relazione all’art. 132 c.p.c. ed al R.D. n. 2359 del 1865, art. 39 e del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32,37 e 40.

Il c.t.u. aveva accertato la concreta possibilità di sfruttamento dell’area in questione a spazi destinati a parcheggio in risposta al quesito postogli, con cui si richiedeva di verificare il valore venale dei terreni R.D. n. 2359 del 1865, ex art. 39. La Corte di merito, discostandosi dagli esiti della c.t.u. ed in contraddizione con il criterio del valore venale che aveva determinato la Corte stessa alla formulazione del quesito al nominato tecnico, aveva ritenuto che fosse sufficiente ad escludere il carattere edificabile delle aree ablate il loro classamento catastale, come seminativo irriguo.

Incorrendo in difetto di motivazione i giudici fiorentini, confondendo tra classamento catastale e destinazione urbanistica, non avrebbero provveduto a spiegare come il classamento indicato valesse ad integrare il valore venale ex art. 39 R.D. cit..

L’affermazione che i terreni non sarebbero stati edificabili in applicazione della giurisprudenza di legittimità sul valore comprensoriale e la valorizzazione di evidenze in fatto, quale la non esecuzione delle previsioni di piano per mancata attivazione della p.A. nella conclusione di accordi con il privato, non avrebbe integrato la motivazione richiesta là dove la Corte di merito aveva quantificato l’indennità di esproprio in Euro 7,00 al mq.

La mancata condivisione delle conclusioni del c.t.u. o del c.t.p., secondo le quali: a) il primo aveva sviluppato l’ipotesi di un valore venale per utilizzabilità del soprassuolo con un risultato di Euro 2.054.914,00 per l’indennità di esproprio e di Euro 853.868,14 per l’indennità di occupazione; b) il secondo aveva ritenuto una utilizzabilità del sottosuolo per destinazione commerciale, direzionale e parcheggi con una quantificazione dell’indennità di esproprio di Euro 3.566.625,00, cui doveva aggiungersi l’importo di Euro 1.482.021,85 per l’indennità di occupazione; avrebbe dovuto determinare la Corte territoriale al rinnovo delle operazioni peritali.

Si sarebbe così accertato il valore dei terreni in forza di un loro ulteriore e diverso sfruttamento rispetto a quello agricolo che, pur non spingendosi sino alla “edificatorietà”, avrebbe dovuto comunque ricomprendere possibilità di utilizzazione intermedia tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti).

4. Con il quarto motivo si censura l’impugnata sentenza perchè violativa delle norme di diritto in punto di regolamentazione delle spese di lite.

Nonostante la somma accertata dalla Corte di appello in forza del valore agricolo per seminativo irriguo fosse pari al 44% in più rispetto a quella riconosciuta da Società Autostrade nell’atto determinativo, la prima, in violazione dell’art. 91 c.p.c., aveva posto i tre quarti delle spese del giudizio e tutte quelle di c.t.u. a carico dei ricorrenti.

5. Va trattato il primo motivo di ricorso, infondato, e, quindi, congiuntamente, il secondo ed il terzo, fondati.

Viene infatti per questi ultimi, come di seguito meglio precisato, la questione del valore venale da riconoscersi ai beni ablati al fine di quantificare la correlata indennità di esproprio ove si tratti di terreni non edificabili, sub specie di terreni agricoli, ma suscettibili di utilizzazione intermedia, per il criterio del valore venale di cui al R.D. n. 2359 del 1865, art. 39, di cui deve darsi lettura nel rispetto del criterio della edificabilità legale.

Il quarto motivo, strumentale nei suoi contenuti all’esito della lite, resta assorbito nell’annullamento con rinvio che viene dall’accoglimento dei precedenti.

6. Il primo motivo di ricorso è infondato.

6.1. Rientra tra i fermi principi della giurisprudenza di questa Corte di legittimità quello per il quale, ai fini della determinazione dell’indennità espropriativa, il D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, conv. con modif. nella L. 8 agosto 1992 – che ha poi trovato recepimento nel D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, artt. 32 e 37, ha prescelto, come unico, il criterio della edificabilità legale al fine di individuare la destinazione urbanistica del terreno espropriato.

Per edificabilità legale deve intendersi quella contemplata dagli strumenti urbanistici al momento della vicenda ablativa, ma tanto con riferimento alla sola iniziativa privata, restando il concetto di edificazione ripreso dalla L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, una estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà.

Ecco che allora il serio ristoro che l’art. 42, comma 3, della Costituzione riconosce al sacrificio della proprietà per motivi d’interesse generale, si identifica con il giusto prezzo determinato all’esito di libera contrattazione di compravendita e, quindi, con il valore venale del bene.

L’edificabilità legale resta invece esclusa, nei termini precisati, tutte le volte in cui la zona sia stata concretamente vincolata da un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) dallo strumento urbanistico vigente o, ancora, da una destinazione zonale che consenta la costruzione di edifici e attrezzature pubblici.

L’attività di trasformazione del suolo per la realizzazione dell’opera pubblica è infatti rimessa inderogabilmente all’iniziativa pubblica e non è, come tale, assimilabile al concetto di edificazione preso in considerazione dal menzionato art. 5-bis legge cit., correlato all’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area (Cass. 23/05/2014 n. 11503, che richiama, Cass. 14840/2013; 2605/2010; 21095 e 16537/2009; Cass. 24/06/2016 n. 13172; Cass. 01/02/2019 n. 3168).

Con l’ulteriore precisazione di principio che, sempre in tema di espropriazione per pubblica utilità, l’intero sistema indennitario e risarcitorio resta fondato sul valore venale del bene non soltanto quanto ai suoli edificabili, da ritenersi tali sulla base del criterio dell’edificabilità legale, ma anche, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 181 del 2011, ai suoli inedificabili, assumendo rilievo per tale ultima categoria, ai fini indennitari e risarcitori, la possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative etc.) sempre che siano assentite dalla normativa vigente sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative (Cass. 25/10/2017 n. 25314).

Unico limite resta quello che ai fini indennitari permane la distinzione tra suoli edificabili e non edificabili che – imposta dalla disciplina urbanistica in funzione della razionale programmazione del territorio, anche ai fini della conservazione di spazi a beneficio della collettività e della realizzazione di servizi pubblici – le regole di mercato non possono travalicare.

6.2. Sulla indicata generale premessa, è infondato il primo motivo di ricorso nella parte in cui, per richiamo allo strumento urbanistico di specie, viene in considerazione l’intervento del privato rispetto alle “aree ad edificazione speciale per standard” (ex D.M. n. 1444 del 1968).

Come da questa Corte di legittimità in più occasioni rimarcato, in tema di espropriazione per pubblica utilità, l’assegnazione di certi spazi a “standards” all’interno di una determinata zona omogenea può incidere sull’accertamento del valore di un fondo incluso nella stessa, quale elemento di valutazione delle concrete possibilità di sfruttamento edilizio dell’immobile, ma non consente di affermare la vocazione edificatoria in contrasto con la destinazione risultante dalla sua classificazione urbanistica (Cass. 06/07/2012 n. 11408; Cass. 15/07/2011 n. 15682).

Secondo le previsioni del P.R.G. del Comune di Scandicci e delle relative norme di attuazione (artt. 39 e 44 delle N. T.A. del P.R.G. del Comune di Scandicci), le particelle dei terreni ablati, rientranti per lo più in aree ad “edificazione speciale per standard”, vengono ulteriormente classificate come destinate: a) ad “aree per il verde pubblico e lo sport”; b) ad “aree per sedi stradali e piazze e spazi pubblici ad esse accessorie”; c) in “linea di arretramento e fasce di rispetto stradale”.

Ai fini della determinazione dell’indennità espropriativa, nel sistema introdotto dal D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis (conv. nella L. 8 agosto 1992, n. 359), devono essere inclusi nella categoria dei terreni a vocazione edificatoria legale solo quelli in cui l’edificazione, sia pure a tipologia vincolata, sia consentita all’iniziativa privata, in base alla concreta disciplina e destinazione urbanistica attribuita all’area; qualora invece i limitati interventi consentiti non risultino espressione dello “jus aedificandi”, ma siano funzionali alla realizzazione dello scopo pubblicistico, l’area non può essere qualificata come edificabile (Cass. 13/01/2010 n. 404).

L’edificazione speciale per la realizzazione di standard non è di per sè sola espressiva di un’attività edilizia ad iniziativa del privato e come tale non valendo a qualificare, secondo le previsioni dello strumento urbanistico, come edificabile l’area ivi ricompresa essa non ha ricadute, in caso di esproprio, in punto di determinazione della relativa indennità da corrispondersi al privato proprietario.

Corrobora l’indicata conclusione la struttura stessa della operazione negoziale alla cui conclusione lo strumento urbanistico di attuazione subordina l’edificazione del privato (art. 39 che richiama l’art. 22 N. T.A. cit.) là dove è stabilito un intervento del proprietario del terreno nel sottosuolo per la realizzazione di manufatti di interesse pubblico o collettivo ovvero privato (commercio ed attività derivanti) purchè venga mantenuta la destinazione d’uso del soprassuolo prevista dal P.R.G., salve le infrastrutture di collegamento tra i due livelli, il tutto a mezzo della stipula di convenzioni con il Comune.

Il regime di convenzionamento tra Amministrazione e privato, a cui si accompagna la preventiva cessione gratuita del terreno alla prima con successiva concessione al privato del diritto di superficie finalizzato a consentire la realizzazione di opere nel sottosuolo, rimarca dell’intera operazione la finalità pubblica, evidenziando come nel nuovo assetto del territorio l’attività edificatoria del privato nel sottosuolo, insieme a quella destinata ad operare in superficie, resti subordinata alla preventiva valutazione del Comune di darvi attuazione determinandosi alla conclusione dell’accordo.

Il canone della correttezza, a cui deve improntare la propria azione la p.A., che si vorrebbe in ricorso manifestamente violato ove si leggesse nell’indicata operazione una iniziativa rimessa esclusivamente alla volontà pubblica (si voluero), non rappresenta il corretto criterio di scrutinio della descritta fattispecie.

Come ritenuto dalla Corte di appello di Firenze, con motivazione che sul punto si sottrae a censura in sede di legittimità, occorre avere riguardo ad una nozione di edificabilità legale che, di autonoma previsione nello strumento urbanistico, resti espressiva di una iniziativa edificatoria del privato non mediata dalla prevalente realizzazione dell’interesse pubblico.

Tanto è destinato a valere, avuto riguardo sia alla natura pubblica dei beni da edificarsi sia, là dove l’attività edilizia sia subordinata alla conclusione di una convenzione tra P.A. concedente e privato concessionario, alla positiva determinazione dell’Amministrazione previa discrezionale valutazione, tra gli interessi in gioco, di quello pubblico per un giudizio a cui non sono applicabili categorie e figure proprie della contrattazione privata, quale la condizione sospensiva meramente potestativa che lascia alla mera volontà del cedente l’alienazione di un bene e che come tale viene sanzionata dal sistema con la nullità della pattuizione (art. 1355 c.c.).

La mancata conclusione della convenzione indicata e l’insussistenza di ogni preliminare determinazione della p.A. – destinata a sostenere che al momento dell’apposizione del vincolo, nell’anno 1999, l’intervento del privato avesse acquisito, per specifici passaggi procedimentali, il necessario tratto di concretezza – esclude ogni effettiva possibilità per i ricorrenti di mettere in atto unilateralmente una legittima iniziativa edificatoria sulle aree ablate.

6.3. E’ infondato anche l’ulteriore profilo del primo motivo di ricorso, per il quale si denuncia l’illegittimità della sentenza per non aver ritenuto rilevanti, al fine della edificabilità delle aree espropriate, quelle di arretramento a fasce di rispetto di cui all’art. 44 NTA.

In ricorso si deduce delle prime l’edificabilità in quanto utilizzabili per infrastrutture tecnologiche a corredo dell’intervento da realizzare nelle contigue zone a standard, nell’apprezzata loro inscindibile partecipazione alla natura di queste ultime (p. 16 ricorso).

All’indicata impostazione del motivo di ricorso consegue una valutazione dello stesso in termini di infondatezza per le ragioni più sopra espresse sulla categoria urbanistica della edificabilità del bene ablato e sulla sua applicabilità alle zone a standard.

Il primo motivo è quindi conclusivamente infondato.

7. Sono invece fondati il secondo ed il terzo motivo di ricorso nella parte in cui per essi viene più strettamente in valutazione il tema del edificabilità legale e della stima della indennità di esproprio per applicazione della cd. destinazione intermedia.

La questione rientra pienamente anche nel terzo motivo di ricorso là dove, pur lamentandosi dai ricorrenti il vizio di motivazione per mancato rispetto del modello adottato dalla Corte di merito a quello di legge ex art. 132 c.p.c., si fa valere, in ogni caso, una violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32,37 e 40, norme preposte a dare definizione e disciplina al criterio del valore venale in materia di determinazione dell’indennità di esproprio.

Valga sul punto il principio, più sopra già richiamato, formatosi nella giurisprudenza di legittimità sulla utilizzazione intermedia del bene e sulla sua valorizzazione per la quantificazione della indennità di esproprio.

In tema di determinazione dell’indennità di espropriazione di terreni non edificabili, in caso di contestazione da parte dell’espropriato, la stima deve essere effettuata applicando il criterio generale del valore venale pieno, ma l’interessato può dimostrare che il fondo è suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso rispetto a quello agricolo, pur senza raggiungere il livello dell’edificatorietà, e che, quindi, possiede una valutazione di mercato che rispecchia possibilità di utilizzazione intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (come, ad esempio, parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti), sempre che tali possibilità siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative (da ultimo, massimata: Cass. 06/03/2019 n. 6527; in termini: Cass. 01/02/2019 n. 3168; Cass. 19/07/2018 n. 19295; Cass. 28/05/2012 n. 8442).

La qualificazione intermedia dei terreni ablati al fine di determinare l’indennità di esproprio è il portato della sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011 che consente dei terreni agricoli una valutazione in forza di criteri oggettivi che, esclusa l’attribuzione della natura edificabile in contrasto con la disciplina urbanistica, sono idonei a premiarne utilizzazioni alternative non rapportabili all’edificazione ed in cui l’iniziativa privata viene in valutazione non in quanto attività strettamente commisurata alla rendita di trasformazione dei suoli.

7.1. La liquidazione dell’indennità di esproprio operata nell’impugnata sentenza, in violazione della sentenza del giudice delle leggi n. 181 del 2011, in applicazione del valore agricolo medio ai terreni espropriati, con conseguente fissazione della prima in Euro 7,00 al mq., senza distinzione tra area destinata a seminativo irriguo e prato, nella contestazione portata dal privato, comporta l’accoglimento del motivo nel resto sostenuto da accertamenti demandati dai giudici di merito in corso di giudizio alla disposta c.t.u. i cui esiti, sia pure in via subordinata, vengono fatti valere in ricorso a sostegno del richiesto annullamento.

7.2. Segue pertanto la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio del processo alla Corte di appello che, in diversa composizione, provvederà, in applicazione del principio dell’utilizzazione intermedia, a quantificare l’indennità di esproprio dei terreni ablati, stabilendo altresì la regolamentazione delle spese di lite per questa fase del giudizio.

8. Il quarto motivo resta assorbito.

P.Q.M.

Accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione, rigetta il primo e assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2019

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