Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23596 del 09/10/2017


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Cassazione civile, sez. I, 09/10/2017, (ud. 12/07/2017, dep.09/10/2017),  n. 23596

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3937/2012 proposto da:

O.M.T. S.r.l. in Amministrazione Straordinaria, in persona del

commissario straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via F. Paulucci Dè Calboli n. 9, presso lo studio

dell’avvocato Sandulli Piero, rappresentata e difesa dall’avvocato

Basilavecchia Massimo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G & A S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Piazza della Libertà n. 13,

presso lo studio dell’avvocato Farina Antonio, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Cavanenghi Alfredo, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1388/2011 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 04/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/07/2017 dal Cons. Dott. LOREDANA NAZZICONE;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che chiede il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 4 ottobre 2011, la Corte d’appello di Torino, in riforma della decisione impugnata, ha respinto la domanda revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 2, proposta dalla O.M.T. s.r.l. in amministrazione straordinaria contro la G.&A. s.p.a., con riguardo a pagamenti eseguiti per l’importo di Euro 54.762,00, ritenendo altresì inammissibile l’appello incidentale proposto dalla procedura.

La corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che non sussista la prova della scientia decoctionis, la quale deve essere effettiva e non potenziale, sebbene dimostrabile anche con presunzioni, nel gruppo dovendo essa comprendere il fatto dell’appartenenza al gruppo e delle condizioni di insolvenza del medesimo: laddove, invece, il tribunale ha ritenuto sussistente l’elemento, sulla base di una mera ignoranza colposa della situazione di insolvenza, affermando che con la normale diligenza la società avrebbe dovuto rendersi conto della situazione per la doverosa conoscenza di bilanci della capogruppo Merker, correlati al bilancio della O.M.T. s.r.l. al 31 dicembre 2001, noto a metà del 2002. Al contrario, nessun dato di fatto sussiste, da cui poter dedurre il presupposto della conoscenza dello stato di decozione della O.M.T. s.r.l., posto che il comportamento commerciale di questa continuò in maniera del tutto regolare e senza nessun sintomo di difficoltà economica, come ampiamente documentato in giudizio, posto inoltre che il crollo della società fu istantaneo e determinato unicamente dal crollo del socio unico Merker.

Inoltre, ha ritenuto inammissibile l’appello incidentale proposto della procedura, non avendo esso censurato specificamente le rationes decidendi della sentenza impugnata.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la procedura, sulla base di sei motivi.

Resiste con controricorso l’intimata.

Il P.G. ha presentato le sue conclusioni, chiedendo il rigetto del ricorso.

Le parti hanno depositato pure la memoria di cui all’art. art. 380-bis c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il motivi del ricorso possono essere riassunti come segue:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c., perchè le circostanze relative alla conoscenza dell’appartenenza di O.M.T. s.r.l. al gruppo Merker, delle difficoltà finanziarie dello stesso e della conoscenza della situazione risultante dal bilancio 2001 non furono oggetto di appello, onde su di esse si era formato il giudicato; inoltre, la sola questione rimasta aperta, concernente la consapevolezza delle ripercussioni sulla società della crisi del gruppo, non avrebbe comunque potuto mutare le conclusioni positive cui era giunto il tribunale, con la conseguente carenza di interesse della deduzione;

2) omessa e contraddittoria motivazione, non avendo fatto la sentenza impugnata congrua valutazione dei documenti in atti, che evidenziavano la esposizione debitoria della controllante, e non potendosi ritenere che la G.&A. s.p.a. non avesse ragioni particolari per interessarsi dei bilanci della controparte e della capogruppo;

3) violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67 e art. 2697 c.c., non avendo la corte del merito valutato circostanze decisive e pretendendo una prova documentale della scientia, che invece ben può provarsi con presunzioni;

4) violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67 e art. 2729 c.c., per avere la corte del merito reputato irrilevanti importanti sintomi della scientia, nonostante i documenti in atti palesassero la crisi del gruppo Merker, tenuto conto che la G.&A. s.p.a. non era piccola società, ma soggetto particolarmente informato;

5) violazione dell’art. 342 c.p.c., nonchè omessa pronuncia, avendo la corte territoriale ritenuto inammissibile l’appello incidentale, mentre l’atto di appello aveva evidenziato che le partite contabilizzate mediante compensazione impropria erano pur sempre corrispettivo per l’acquisto di beni, onde i motivi erano adeguatamente specifici;

6) violazione della L. Fall., art. 67 e motivazione carente, laddove la corte del merito, sempre con riguardo all’appello incidentale, ha comunque affermato che non si dà revocatoria delle compensazioni, mentre, invece, la datio in solutum costituisce mezzo anomalo di pagamento, e perchè ha attribuito rilevanza ad una presunta normalità di prassi commerciale fra le società, che invece non esisteva, non trattandosi di permute nuovo/usato ricorrenti da lungo tempo.

2. – Il primo motivo è infondato.

L’art. 346 c.c., nel predicare la decadenza dalle domande e dalle eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado e non espressamente riproposte, si riferisce alla necessità di enucleare i motivi di appello individuando le singole questioni che si intende censurare, in quanto su di esse si deduca l’errore del giudice di primo grado. Si tratta delle statuizioni che il giudice di primo grado ha operato a soluzione di punti logico-giuridici affrontati per addivenire alla pronuncia circa l’esistenza o l’inesistenza del diritto dedotto in giudizio.

Pertanto, il termine “questioni” non ricomprende le mere argomentazioni giuridiche: come questa Corte ha chiarito, “la decadenza di cui all’art. 346 c.p.c., riguarda le domande e le eccezioni in senso proprio non riproposte in sede di appello, e non anche le mere argomentazioni giuridiche, ovvero le questioni di fatto e di diritto addotte a sostegno delle medesime, che devono viceversa ritenersi implicitamente richiamate con la semplice istanza di rigetto dell’impugnazione da parte dell’appellato, anche se esse si fondano sulla deduzione di particolari fatti e sulla loro interpretazione; il medesimo principio vale anche per la riconduzione di un rapporto ad una determinata norma o ad un fatto, specifico, atteso che neppure in tal caso la mancata, espressa riproposizione della tesi difensiva implica rinuncia alcuna all’originario petitum sì come svolto in primo grado” (Cass. 21 gennaio 2005, n. 1277; nonchè Cass. 23 ottobre 2003, n. 15936; Cass. 20 ottobre 2010, n. 21506).

Nella specie, tale onere fu assolto dall’appellante G.&A. s.p.a., la quale contestò specificamente, in relazione all’avversa domanda revocatoria, la statuizione circa la ricostruita scientia decoctionis, valorizzandone gli elementi a proprio favore, ed il punto relativo all’elemento soggettivo della fattispecie è stato quello esaminato dal giudice d’appello.

3. – I motivi dal secondo al quarto sono inammissibili.

Essi, invero, sotto l’egida del vizio di violazione di legge o di motivazione, mirano, in verità, a riproporre il giudizio di fatto, precluso in sede di legittimità.

La valutazione degli elementi di fatto, che hanno indotto la corte del merito ad escludere la conoscenza effettiva dello stato di insolvenza della O.M.T. s.r.l., è stata ampiamente motivata dalla stessa, senza vizi logico-giuridici.

Nè, dall’argomentare della impugnata decisione, risulta affatto che la stessa abbia preteso una prova necessariamente documentale della scientia decoctionis, limitandosi invece a motivare la ritenuta insussistenza di sufficienti elementi indiziari della conoscenza effettiva dell’altrui stato d’insolvenza.

4. – Il quinto motivo è infondato.

La corte d’appello ha evidenziato (cfr. pag. 15 s.) che manca l’impugnazione di tutte le rationes decidendi della sentenza di primo grado, la quale aveva escluso la revocazione dei pagamenti per Euro 87.084,00, argomentando (1) dalla mancata prova del pagamento, in ragione del “saldo zero” derivato dall’appostazione all’attivo ed al passivo degli automezzi usati, (2) dall’esistenza di una compensazione atecnica, e (3) dalla prassi, secondo cui le parti usavano operare l’acquisto di automezzi nuovi pagati con automezzi usati e conguaglio del prezzo, onde non si tratta di mezzo anomalo di pagamento: laddove l’appellante incidentale si limitò ad affermazioni apodittiche, senza contestare la prima e la terza ratio.

In particolare, come rileva la corte territoriale, l’appello non ha attaccato la ratio decidendi del giudice di primo grado, secondo cui la domanda di revocazione dei pagamenti per l’importo di Euro 87.084,00 non era accoglibile, in ragione della mancata prova di un pagamento per essere l’operazione “a saldo zero”; nè l’appellante attaccò specificamente la ratio afferente la normalità della prassi commerciale anzidetta, escludente qualsiasi anomalia del pagamento.

La corte del merito ha fatto dunque corretta applicazione del principio consolidato, secondo cui, “(o)ve la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza” (Cass. 11 febbraio 2011, n. 3386; 3 novembre 2011, n. 22753, che ha affermato il principio ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1; sez. un., 29 marzo 2013, n. 7931; 4 marzo 2016, n. 4293).

5. – Il sesto motivo è inammissibile, trattandosi di affermazioni della corte territoriale esposte solo ad abundantiam; mentre laddove esso nega – in contrapposizione alle affermazioni della corte del merito – l’esistenza di una prassi commerciale in uso tra le due società, attiene ad apprezzamento di fatto.

6. – Le spese seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie al 15% ed agli accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2017

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