Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23592 del 27/10/2020

Cassazione civile sez. un., 27/10/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 27/10/2020), n.23592

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente di Sezione –

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sezione –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8422-2019 proposto da:

NESTLE’ ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante

W.L., che si costituisce anche in proprio, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CICERONE 44, presso lo studio dell’avvocato

MARIANO PROTTO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MARCO SICA;

– ricorrenti –

contro

AGEA – AGENZIA PER LE EROGAZIONI IN AGRICOLTURA, (già AIMA – Azienda

per gli Interventi sul Mercato Agricolo), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente –

nonchè contro

MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI, FORESTALI E DEL

TURISMO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5159/2018 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 3/9/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/9/2020 dal Consigliere CARRATO ALDO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale CARDINO ALBERTO, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati Mariano Protto ed Emanuele Manzo per l’Avvocatura

Generale dello Stato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con nota del 9 marzo 1998 (prot. n. 232), l’allora A.I.M.A. revocò le note prot. 1035 e 1036 del 21 giugno 1996 di sospensione degli aiuti e richieste di restituzione nei confronti del Consorzio Olio Imperia (facente capo alla Nestlè Italia s.p.a.), e, contestualmente, chiese alla citata Nestlè il versamento delle medesime somme contestate per complessive Lire 1.616.978.499, oltre interessi. Il Pretore di Imperia, adito ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22, dichiarò, con due distinte sentenze, la cessazione della materia del contendere nei confronti dell’indicato Consorzio.

Il Ministero delle politiche agricole e forestali- Ispettorato centrale repressione frodi (nelle more subentrato all’A.I.M.A.), in data 22 gennaio 2001, ebbe ad adottare, nei riguardi della società Nestlè, le ordinanze nn. 42 e 45 del 2001 con le quali dispose l’archiviazione dei verbali relativi ad assunti illeciti per indebite percezioni di contributi comunitari fino all’11 maggio 1990 per rilevata prescrizione, nel mentre – con separato provvedimento – irrogò alla stessa Nestlè la sanzione amministrativa (ai sensi della L. n. 898 del 1986, art. 3), per operazioni fittizie riguardanti il mese di dicembre 1990 e il periodo dal 1 gennaio al 31 luglio 1991, nella misura di Lire 182.777.325.

Quest’ultimo provvedimento amministrativo sanzionatorio veniva impugnato dinanzi al Tribunale di Milano, che lo annullò con sentenza n. 12572/2004, che venne confermata dalla 2^ Sezione civile di questa Corte con sentenza n. 9061/2011, in virtù del rigetto del ricorso avanzato dal suddetto Ministero.

2. Sopravvenivano successivamente tre distinte richieste di restituzione dell’A.G.E.A. (Agenzia per le erogazioni in agricoltura) nei confronti della Nestlè s.p.a., nelle date del 25 gennaio 2006, 13 giugno 2006 e 10 settembre 2012. In particolare, con riferimento alla più recente richiesta, la Nestlè contestava ogni avversa pretesa, sulla base dell’archiviazione disposta con l’ordinanza n. 42/2001 e dell’annullamento da parte del giudice civile (con sentenza passata in giudicato) dell’ordinanza n. 45/2001.

L’AGEA riscontrava tali contestazioni con nota dell’8 novembre 2012, ponendo in risalto come le vicende cui esse erano state rivolte riguardavano il procedimento sanzionatorio di competenza del Ministero delle politiche agricole e non quello di recupero dell’indebito, di sua competenza.

3. I già proposti ricorsi, presentati dal Consorzio Olio Imperia (rubricati ai nn. 13375 e 13372 del 1996) e dalla Nestlè Italiana s.p.a. (iscritto al n. 161/1998) dinanzi al TAR Lazio, erano stati così decisi: – con sentenza n. 7635 del 29 maggio 2015, a seguito di costituzione della Nestlè s.p.a., veniva dichiarato improcedibile il ricorso n. 13375/1996, per sopravvenuto difetto di interesse (con riferimento alla nota Aima n. 1036/1996); – con altra contestuale sentenza n. 7636 veniva, sempre a seguito di costituzione della Nestlè s.p.a., dichiarata l’improcedibilità del ricorso n. 13372/1996, anche in tal caso per sopravvenuto difetto di interesse (avuto riguardo alla nota Aima n. 1035/1996); – con sentenza n. 7637, in pari data, veniva accolto il ricorso e, per l’effetto, annullato il provvedimento impugnato (in relazione alla nota Aima n. prot. 2399/1997).

In particolare, con riguardo a quest’ultima, l’adito giudice amministrativo riteneva fondate le censure di difetto dei presupposti e di istruttoria nei riguardi della nota AIMA prot. n. 2399/1997, oggetto di impugnazione, aggiungendo che, per effetto dell’intervenuta revoca del provvedimento di sospensione degli aiuti e dell’archiviazione dei verbali della Guardia di finanza con l’accertata prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute in forza degli stessi verbali, trovava conferma l’esclusione della debenza delle somme da parte della Nestlè s.p.a. in ordine agli aiuti relativi agli anni 1989, 1990 e 1991.

E’ incontestato che le tre suddette sentenze del TAR Lazio passavano in giudicato.

4. Ciò malgrado, l’AGEA, sul presupposto del mancato versamento delle somme richieste, con atto del 22 luglio 2015, ingiungeva alla Nestlè s.p.a. il pagamento dell’importo di Euro 580.131,12, a titolo di sorta capitale (relativa alle somme di cui alle note nn. 1035/1996, 1036/1996 e 2399/1997) con riferimento agli aiuti comunitari al consumo di olio relativi ai citati anni 1989, 1990 e 1991, nonchè di quello di Euro 597.845,87 per interessi maturati sulla predetta somma alla data del 15 giugno 2015.

5. La Nestlè s.p.a. impugnava, quindi, dinanzi al TAR Lazio anche quest’ultima nota dell’AGEA, deducendo, con il formulato ricorso, che era già rimasta accertata la non debenza delle somme, e, quindi, prospettava la violazione del giudicato formatosi a seguito delle indicate sentenze nn. 7635/2015, 7636/2015 e 7637/2015, con la conseguente nullità dell’atto ai sensi del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 114, comma 3, lett. b), denunciando, in subordine, l’illegittimità dell’impugnato provvedimento per vizi autonomi.

Decidendo su quest’ultimo ricorso, l’adito TAR, con sentenza n. 10023 del 2017, dopo aver rinviato al rito ordinario la trattazione dell’azione di annullamento dell’ordinanza-ingiunzione, respingeva la domanda di dichiarazione di nullità per violazione del giudicato.

A fondamento dell’adottata decisione, il TAR Lazio – al fine di escludere che dalle citate sentenze passate in giudicato fossero conseguiti effetti vincolanti e conformativi con riferimento all’insussistenza del debito – osservava, in particolare, che:

– nelle sentenze n. 7635/2015 e n. 7636/2015, la parte ricorrente aveva rappresentato i fatti nonchè allegato documentazione e il collegio si era limitato a prendere atto in entrambe del difetto di una condizione dell’azione, precisando di essere pervenuto a tale conclusione di improcedibilità del giudizio “alla luce anche dei principi generali dettati nell’ambito del processo amministrativo ai sensi del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 64, commi 1 e 2”;

– dalla sentenza n. 7637/2015, con riferimento alla nota n. 2399/1997, si evinceva che quest’ultima non consisteva in un formale atto di messa in mora (in difetto dell’indicazione degli importi ritenuti indebiti), bensì in una comunicazione sulle ragioni della mancata liquidazione, da parte dell’Aima, degli aiuti alla Nestlè (responsabile patrimonialmente nei confronti della stessa Aima, a seguito della collocazione in liquidazione del Consorzio OLEA);

– di contro, l’ordinanza-ingiunzione emanata ai sensi del R.D. n. 639 del 1910, art. 3, non presentava alcun rapporto di consequenzialità con la nota n. 2399/1997 ed era basata sugli appositi presupposti espressamente richiamati nelle premesse dell’atto, ovvero sulla circostanza che la nota n. 232/1998 (non impugnata dalla Nestlè, sua destinataria) era qualificabile come “diffida e messa in mora”, contenendo gli elementi necessari per l’individuazione della prestazione dovuta dall’assunta debitrice, così come le successive richieste pure indicate nell’ordinanza-ingiunzione.

6. La Nestlè s.p.a. ha, quindi, impugnato dinanzi al Consiglio di Stato la citata sentenza n. 7637/2015 del TAR Lazio e, con sua sentenza n. 5159/2018 (pubblicata il 3 settembre 2018), la Terza Sezione (in sede giurisdizionale), ha respinto l’appello.

Con quest’ultima sentenza il Consiglio di Stato ha, in via preliminare, convenuto con l’appellante sulla piena valenza di un accertamento basato sul principio di non contestazione, nonchè sull’avvenuta disamina da parte del giudice di primo grado della portata sostanziale degli atti sulla scorta dei quali la società ricorrente aveva prospettato l’improcedibilità del giudizio per avvenuto soddisfacimento dell’interesse azionato.

Senonchè, ha osservato il giudice di appello, all’esito di un complessivo percorso argomentativo” non poteva ritenersi che con l’impugnata sentenza il TAR si fosse pronunciato sul rapporto sostanziale relativo alla debenza delle somme, escludendo, cioè, che la Nestlè fosse debitrice di AIMA (ora AGEA) con effetti di giudicato sostanziale e preclusivi di qualsiasi futura pretesa di AGEA di ottenere il pagamento delle relative somme.

Infatti, ad avviso del Consiglio di Stato, l’accertamento operato dal giudice amministrativo di prime cure aveva riguardato una sequenza procedimentale definita, lasciando impregiudicata la riconsiderazione, già avviata mediante l’ulteriore esercizio dei poteri amministrativi, degli effetti della questione debitoria sostanziale sottesa alla pretesa. Ha aggiunto, altresì, il Consiglio di Stato che le ordinanze n. 42/2001 e 45/2001 costituivano espressione della potestà sanzionatoria spettante al Ministero delle politiche agricole nella materia ai sensi della L. n. 898 del 1986 e non, invece, di quella relativa al recupero degli indebiti rientrante nella responsabilità dell’AGEA (e prima dell’AIMA).

7. Avverso la suddetta sentenza del Consiglio di Stato n. 5159/2018 la Nestlè s.p.a. e L.W., nella sua qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante pro-tempore della stessa società, hanno congiuntamente proposto ricorso per cassazione dinanzi a queste Sezioni unite, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1, riferito a tre motivi. L’AGEA ha resistito con controricorso.

La difesa delle parti ricorrenti ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno denunciato il vizio di eccesso di potere giurisdizionale per asserito superamento dei limiti esterni della giurisdizione.

A sostegno della formulata censura essi hanno inteso porre in rilievo come, in effetti, con la sentenza n. 7637/2015 (l’unica delle tre con la quale non era stata dichiarata la sopravvenuta carenza di interesse), il TAR Lazio si era pronunciato sul rapporto sostanziale relativo alla debenza da parte della Nestlè s.p.a. delle somme contestate, escludendo che fosse debitrice di AIMA (poi divenuta AGEA) con effetti di giudicato e preclusivi di qualsiasi futura pretesa di AGEA per ottenere il pagamento delle somme.

Senonchè, osservano i ricorrenti, con l’impugnata sentenza il Consiglio di Stato ha ecceduto i limiti esterni della giurisdizione, non essendosi limitato ad interpretare il giudicato, ma disattendendolo, invece, in modo patente, ritenendo dovute somme con riferimento alle quali il precedente giudicato aveva irrevocabilmente statuito la “non debenza” da parte di essa Nestlè, con ciò esercitando inammissibilmente una potestas iudicandi che il giudice amministrativo aveva già totalmente esaurito con la citata sentenza n. 7637/2015 (rimanendo, peraltro, irrilevante, ai fini dell’individuazione del contenuto del giudicato, la parte della nota n. 232/1998 recante la messa in mora).

A conforto del motivo in questione le parti ricorrenti hanno contestato l’impugnata sentenza anche nella parte in cui con essa era stato rilevato che il giudicato riguardasse solo la non debenza delle somme dovute a titolo di sanzione e non anche la restituzione degli aiuti erogati, deducendo la sua erroneità sulla base dell’assunto che, con le sentenze del TAR Lazio nn. 7635/2015, 7636/2015 e 7637/2015, detto giudice aveva chiaramente statuito la non debenza delle somme da parte della società Nestlè senza affatto distinguere tra somme dovute a titolo di sanzioni e somme dovute a titolo di restituzione degli aiuti, precisandosi, inoltre, che gli atti dichiarati illegittimi con sentenza passata in giudicato riguardavano la sospensione di aiuti futuri per effetto della mancata restituzione degli aiuti, poi pretesi da AGEA con l’ordinanza-ingiunzione censurata in sede di ottemperanza, che si asserivano indebitamente percepiti negli anni precedenti.

2. Con la seconda doglianza i ricorrenti hanno dedotto il vizio di eccesso di potere giurisdizionale per asserito superamento dei limiti esterni della giurisdizione sotto l’ulteriore profilo della illegittimità della pronuncia impugnata nella parte in cui era stata attribuita rilevanza, ai fine di disattendere il giudicato, alla “diffida e messa in mora” contenuta nella nota AIMA n. 232 del 1998, assegnandole valore preclusivo, senza che ciò fosse stato in alcun modo oggetto di contestazione da parte di AGEA nei precedenti giudizi, contestando anche la natura di atto di avvio di un procedimento che si sarebbe, però, protratto per quasi venti anni.

3. Con il terzo ed ultimo motivo le parti ricorrenti hanno denunciato il vizio del diniego di giurisdizione sotto il profilo della violazione dell’art. 6 della Convenzione EDU, sul presupposto che il Consiglio di Stato, con l’impugnata sentenza, ha inteso avallare l’abusivo comportamento di AGEA che, anzichè proporre appello avverso le sentenze nn. 7635, 7636 e 7637 del 2015 del TAR Lazio, aveva ritenuto di recuperare le somme in contestazione attraverso l’uso distorto dell’ordinanza-ingiunzione emessa ai sensi del R.D. n. 639 del 1910, nel tentativo di rimettere in discussione – attraverso la nota ministeriale n. 232/1998 (addotta illegittimamente a sostegno di un procedimento in realtà mai avviato, con oltre 20 anni di ritardo rispetto al termine di conclusione certo e predeterminato stabilito dalla L. n. 241 del 1990, art. 2) – un rapporto da considerarsi ormai definitivo in modo irrevocabile per effetto dell’intervenuto giudicato.

4. Rilevano queste Sezioni unite che deve, innanzitutto, essere presa in considerazione l’eccezione pregiudiziale, formulata nelle sue conclusioni dal Pubblico Ministero, di inammissibilità per la prospettata mancata esposizione sommaria del fatto nel ricorso.

Tale eccezione non è fondata poichè il ricorso ha rispettato l’osservanza del requisito stabilito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3) dal momento che dal suo contenuto – non irragionevolmente esteso – si evincono, in modo sufficientemente coerente e lineare, i diversi sviluppi relativi allo svolgimento della complessa vicenda fattuale, che, essendo riferita a varie fasi amministrative e a diversi procedimenti giurisdizionali pregressi, doveva necessariamente essere compiutamente articolata per comprendere adeguatamente i termini della controversia in funzione della piena intellegibilità ed effettiva cognizione dei motivi addotti a sostegno del proposto ricorso.

In altri termini, il rispetto del suddetto requisito è, con riferimento al ricorso in questione, soddisfatto perchè il suo contenuto consente di avere – in ordine allo svolgimento della vicenda processuale nelle sue varie articolazioni – una chiara e completa conoscenza dei fatti sostanziali e processuali che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti od atti.

5. Ciò chiarito, il collegio ritiene che i tre motivi sono tra loro connessi poichè con essi si denunciano – ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1, – vizi tutti asseritamente implicanti una possibile violazione dei limiti interni della giurisdizione del giudice amministrativo con riferimento ad un’unica complessa vicenda processuale.

Essi, pertanto, possono essere esaminanti unitariamente.

Gli stessi devono essere dichiarati inammissibili per le ragioni che seguono, non potendo ritenersi che si sia venuta a configurare la denunciata violazione dei limiti esterni della giurisdizione.

Nell’affrontare la complessa vicenda sottesa ai motivi di ricorso bisogna partire dal presupposto che il TAR, con la sentenza di primo grado confermata dal Consiglio di Stato con la pronuncia impugnata in questa sede, ha respinto la domanda di dichiarazione di nullità per violazione del giudicato, asseritamente ricondotto dalla società Nestlè alla produzione degli effetti giuridici sostanziali di cui alla pregressa sentenza n. 7637/2015 riferita alla nota n. 2399/1997 (mentre con riferimento alle altre due sentenze nn. 7635 e 7636 del 2016 è pacifico che i relativi giudizi si erano conclusi con attestazione del sopravvenuto venir meno della condizione dell’azione relativa all’interesse ad agire).

E’ importante mettere in luce che con la citata sentenza n. 7637/2015 era stato giudicato sulla legittimità della citata nota n. 2399/1997, la quale non costituiva un vero e proprio atto di messa in mora, bensì una comunicazione sulle ragioni della mancata liquidazione da parte dell’AIMA degli aiuti alla società Nestlè.

Nell’impugnata sentenza del Consiglio di Stato si evidenzia che l’ordinanza-ingiunzione era stata basata sulla diversa nota n. 232/1998 (con la quale era stata manifestata – diversamente da quanto sostenuto con il secondo motivo di ricorso – la volontà di AGEA di procedere nella pretesa di recupero dell’indebito), non impugnata dalla Nestlè e con cui era stata intimata la restituzione delle somme indebitamente percepite per gli aiuti comunitari non giustificati, ragion per cui non poteva dirsi che il giudicato eccepito dalla ricorrente avesse investito anche il rapporto sostanziale riconducibile alla pretesa esercitata da AGEA.

Alla stregua di tale ricostruzione va affermato che il Consiglio di Stato si è, con l’impugnata sentenza, mantenuto all’interno dei limiti della propria giurisdizione, avendo, in effetti, nell’interpretare la complessiva vicenda intercorsa tra le parti, accertato, quale giudice di appello, la legittimità della sentenza del TAR nella parte in cui aveva ritenuto che – per effetto della pregressa sentenza n. 7637/2015 – non si fosse formato il giudicato sul rapporto sostanziale relativo alla debenza delle somme da parte della società ricorrente in favore di AGEA.

Secondo il giudice amministrativo di appello l’accertamento compiuto con la citata sentenza aveva investito la sequenza procedimentale definita, lasciando, tuttavia, impregiudicata la valutazione, già avviata attraverso l’esercizio ulteriore dei poteri amministrativi, degli effetti della questione debitoria sottostante alla controversia, ponendosi, altresì, in risalto come la potestà sanzionatoria posta in essere da AGEA era, in effetti, da considerarsi rivolta al recupero degli indebiti rientrante nell’ambito della sua legittimazione, mentre le precedenti ordinanze n. 42 e 45 del 2001 avevano costituito espressione della potestà sanzionatoria del Ministero ad esso spettante ai sensi della L. n. 898 del 1986, in funzione, cioè, dell’esplicazione del potere di irrogazione delle sanzioni amministrative propriamente conseguenti all’accertamento degli illeciti previsti dalla indicata legge in tema di aiuti comunitari.

Alla luce di tali argomentazioni, nella complessiva valutazione sulla sussistenza o meno di una preclusione da giudicato riconducibile ad un’attività interpretativa dello stesso, si deve affermare che il Consiglio di Stato escludendo l’operatività di tale preclusione – abbia pronunciato senza eccedere i limiti della sua giurisdizione, con ciò non incorrendo nemmeno nel diniego di giurisdizione ricollegato dai ricorrenti – con il terzo motivo – alla possibile violazione dell’art. 6 della CEDU.

La giurisprudenza di queste Sezioni unite è univoca nel rilevare che l’eccesso di potere giurisdizionale, denunciabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione – che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale, nonchè di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici; conseguentemente, in coerenza con la nozione di eccesso di potere giurisdizionale esplicitata dalla Corte costituzionale (sent. n. 6 del 2018), che non ammette letture estensive neanche se limitate ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento, tale vizio non è configurabile per “errores in procedendo”, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo (cfr., ex multis, tra le più recenti le sentenze n. 7926/2019, n. 29082/2019 e n. 7839/2020).

Più in particolare (e con diretta attinenza al ricorso in esame), è stato posto in evidenza come la censura che, deducendo il difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato, inerisca l’interpretazione dell’asserito giudicato, interno ed esterno, sotto tutti i profili (ovvero con riferimento alla valutazione del suo contenuto, nonchè ai suoi presupposti ed alla sua efficacia, con i conseguenti limiti), riguarda la correttezza dell’esercizio del potere giurisdizionale del giudice amministrativo, prospettandosi, in effetti, una violazione di legge commessa da quest’ultimo, sicchè resta estranea al controllo e al superamento dei limiti esterni della giurisdizione, donde l’insindacabilità da parte della Corte di cassazione e la conseguente inammissibilità dei relativi motivi (v., ad es., le pronunce di queste Sezioni unite n. 736/2012, n. 10060/2013 e n. 8245/2017).

6. In definitiva, in virtù delle complessive argomentazioni svolte, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle competenze del presente giudizio, che si liquidano, in favore dell’AGEA, nei sensi di cui in dispositivo.

Non occorre, invece, adottare alcuna pronuncia sulle spese con riguardo al rapporto processuale instauratosi tra i ricorrenti e l’intimato Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, non avendo quest’ultimo svolto attività difensiva in questa sede.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza per il versamento, da parte dei ricorrenti, sempre con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte, a Sezioni Unite, dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento dei compensi del presente giudizio in favore della controricorrente AGEA, che si liquidano in Euro 7.500,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza per il versamento, da parte dei ricorrenti, in via solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni unite, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2020

 

 

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