Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23591 del 21/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 21/11/2016, (ud. 28/09/2016, dep. 21/11/2016), n.23591

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19680-2014 proposto da:

D.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA S.

GIROLANIO EMILIANI 19, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCHINO

D’APICI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCA

SUCAPANE giusta procura speciale a margine della comparsa di

costituzione e memoria difensiva:

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 13179/2014 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

DI ROMA, depositata il 11/06/2014:

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. IOFRIDA GIULIA;

udito l’Avvocato Franca Sucapane, per il ricorrente, che si riporta

agli scritti insistendo per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

IN FATTO

L’Avv.to D.F. propone ricorso per revocazione, affidato ad un motivo, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che non resiste), avverso la sentenza n. 13179/2014 della Corte Suprema di Cassazione, depositata l’11/06/2014, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di liquidazione, per INVIM dovuta per effetto di un atto di compravendita di terreni, ritenuti dall’Ufficio edificabili, registrato il 4/09/1995, ed in forza della sentenza n. 41/33/2002 emessa dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, nel giudizio concernente l’impugnazione del pregresso avviso di accertamento (emesso per l’accertato maggior valore del bene ceduto rispetto a quello dichiarato è stata, in accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassata la sentenza della C.T.R. del Lazio n. 72/26/2009 e, decidendo nel merito, e stato respinto il ricorso introduttivo del contribuente.

In particolare, i giudici di legittimità – dopo avere ritenuto, in accoglimento, seppure per ragioni giuridiche diverse da quelle prospettate dalla parte, del primo motivo del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, non decaduta l’Amministrazione finanziaria dalla potestà accertatrice – hanno accolto anche il secondo motivo del ricorso, affermando che “in ragione del definitivo accertamento dell’imposta conseguente al… giudicato formatosi sul “prodromico” avviso”, la aveva errato “nel rimettere in discussione l’imponibile definitivamente determinato” ed anche “il potere impositivo in precedenza esercitato con il ridetto atto prodromico”.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

All’udienza del 17/12/215, la causa veniva rinviata a N.R., disponendosi l’acquisizione del fascicolo di merito del giudizio definito con la sentenza di questa Corte n. 13179/2014, oggetto di revocazione. A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

Il ricorrente ha nuovamente depositato memoria (con costituzione di ulteriore difensore).

Diritto

IN DIRITTO

1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, l’errata percezione, posta in essere nella decisione impugnata, del contenuto materiale del giudicato n. 41/33/2002, avendo i giudici di questa Corte ritenuto, da un lato, che l’avviso di accertamento prodromico fosse divenuto definitivo, all’esito del giudizio di impugnativa conclusosi con la decisione n. 41/33/2002, laddove invece esso era stato, in parziale accoglimento del gravame di esso contribuente, annullato e sostituito dall’accertamento giudiziale, e, dall’altro lato, che “il valore del terreno accertato con la sentenza passata in giudicato costituisse il valore finale del bene e quindi la base imponibile ai fini del calcolo dell’INVIM”, laddove invece il valore del terreno rideterminato, rispetto all’accertato, nella suddetta sentenza n. 41/33/2002 (previo giudizio di non edificabilità di fatto di quota del bene ceduto), era da riferirsi al valore di mercato del bene alla data dell’atto di compravendita, nel luglio 1995, ed avrebbe dovuto pertanto, dall’Ufficio erariale, ai tini della liquidazione dell’INVIM dovuta (imposta questa abrogata con la L. n. 504 del 1992, istitutiva dell’ICI, essere aggiornato”, mediante moltiplicazione del prezzo per un coefficiente di legge (“0,85”), alla data del 31/12/1992 (di abolizione dell’imposta).

In sostanza, ad avviso del ricorrente, da un lato, secondo la corretta interpretazione del giudicato portato dalla sentenza n. 41/33/2002, “l’accertamento di valore contenuto in essa sentenza era passato in giudicato come accertamento del valore di mercato del bene alla data della compravendita – luglio 1995 – e giustificato anche in ragione della non edificabilità di fatto del terreno riconosciuta con la stessa sentenza” e, dall’altro lato, l’avviso di accertamento, prodromico rispetto all’avviso di liquidazione, non era stato con detta sentenza del 2002 “reso definitivo”, essendo stato al contrario “definitivamente e totalmente annullato”.

2. La censura è inammissibile.

2.1. Questa Corte, anche di recente (Cass. 15286/2015), ha chiarito che, secondo consolidata giurisprudenza, l’errore di fatto, che può dar luogo a revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, consiste nell’erronea percezione degli atti di causa che si sostanzia nella supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure nella supposizione dell’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato: tal genere di errore presuppone, quindi, il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purchè, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio, e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti.

Il suddetto errore inoltre non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche; deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronunzia sarebbe stata diversa.

Ora, con riguardo al profilo dell’erronea interpretazione del contenuto della pronuncia n. 41/33/2002, passata in giudicato, l’eventuale errore non può essere qualificato come errore revocatorio. Invero, come affermato dalle S.U. (sentenza n. 23242/9005) “il giudicato, essendo destinato a fissare la “regola” del caso concreto, partecipa della natura dei comandi giuridici e, conseguentemente, la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto, ma deve essere assimilata, per la sua intrinseca natura e per gli effetti che produce, all’interpretazione delle norme giuridiche; pertanto l’erronea presupposizione dell’esistenza del giudicato, equivalendo ad ignoranza della “regola juris” rileva non quale errore di fatto, ma quale errore di diritto, risultando sostanzialmente assimilabile al vizio del giudizio sussuntivo, consistente nel ricondurre la fattispecie ad una norma diversa da quella che reca invece la sua diretta disciplina, inidoneo, come tale, a integrarne gli estremi dell’errore revocatorio contemplato dall’art. 393 c.p.c., n. 4″ (cfr. anche Cass. 17443/2008; Cass. 321/2015).

Nella specie, lo stesso ricorrente, anche nella memoria, da ultimo depositata, fa specifico e ripetuto riferimento ad un “errore di “giudizio” posto in essere da questa Corte nella decisione impugnata) (pagg. 6-7-12).

Infine, non può essere preso in esame il motivo, del tutto nuovo, di revocazione, prospettato nella memoria, consistente nell’inesistenza agli atti del giudizio della sentenza passata in giudicato, oggetto di interpretazione da parte della Corte, in quanto non prodotta dalla ricorrente Agenzia delle Entrate con il ricorso per cassazione, seppure prodotta nelle fasi di merito, senza che tuttavia l’acquisizione dei fascicoli del giudizio di merito fosse “mai avvenuta nemmeno in esito all’istanza di trasmissione del fascicolo ex art. 369 c.p.c.”.

Secondo il ricorrente, allora, l’interpretazione del giudicato da parte della Corte di Cassazione sarebbe stata “frutto dell’erronea supposizione di fatti non riscontrabili ne mai riscontrati in atti” e non di un errore di giudizio. Vi è dunque una diversa prospettazione dell’errore revocatorio, introdotta inammissibilmente con la memoria ex art. 78 c.p.c., in quanto nel ricorso si lamentava soltanto “un’errata percezione del contenuto della sentenza della C.T.R. 41/33/2002”, quale evincibile “incontrovertibilmente dalla lettura della sentenza” (pag.35 del ricorso)

2.3. Inoltre, da un lato, se l’errore di fatto revocatorio deve presentare i caratteri dell’evidenza ed obiettività, così da non richiedere lo sviluppo di argomentazioni induttive o indagini, e non deve avere costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato, nella specie, lo stesso ricorrente deduce che vi era proprio contrasto tra le stesse parti (Agenzia e contribuente) sull’interpretazione del contenuto del suddetto giudicato, in quanto, con esso, “secondo la tesi difensiva dell’Ufficio, era stato riconosciuto al terreno un diverso valore ai fini INVIM al 31/12/1992 – e non al luglio 1991, come sostenuto dal contribuente – sulle basi l’Ufficio aveva ricevuto nuovamente a calcolare l’imposta” (pag. 36 del presente ricorso per cassazione), l’Agenzia, nel secondo motivo del ricorso per cassazione, nel giudizio n. 24154/2009 RG, si doleva proprio di una violazione dell’art. 2909 c.c. (pag. 7 della sentenza n. 13179/2014 di questa Corte, qui impugnata).

2.4. Ancora, secondo il ricorrente, la sentenza di questa Corte, impugnata per revocazione, avrebbe errato nella parte in cui ha ritenuto, cassando la sentenza della C.T.R. n. 79 del 2009, che l’accertamento dell’imposta dovuta, del 23/01/1997, atto prodromico, rispetto all’avviso di liquidazione, sarebbe divenuto “definitivo e non piuttosto annullato, per effetto del giudicato di cui alla sentenza n. 41/33/2002.

Ma questa Corte ha invece affermato, nella decisione qui impugnata, che, per effetto del suddetto giudicato, non poteva essere rimesso in discussione “l’imponibile definitivamente accertato” non anche l’avviso di accertamento di maggior valore del 23/7/1997.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrente, dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso per revocazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2016

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