Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2359 del 01/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 01/02/2011, (ud. 12/01/2011, dep. 01/02/2011), n.2359

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1077-2007 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SARDEGNA 38, presso lo studio dell’avvocato DI GIOVANNI FRANCESCO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ZUMMO VINCENZO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO REGIONALE PER IL CREDITO ALLA COOPERAZIONE (I.R.C.A.C.), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA PIAVE 52, presso lo studio dell’avvocato

CARCIONE RENATO, rappresentato e difeso dall’avvocato BARGIONE

ANTONIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1640/2005 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 15/12/2005 r.g.n. 1896/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

L’ing. M.R. chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Palermo, pubblicata il 15 dicembre 2005, che ha respinto l’appello contro la sentenza del Tribunale della medesima città che aveva, a sua volta, respinto la domanda dell’ingegnere nei confronti del suo datore di lavoro, Istituto regionale per il credito alla cooperazione (IRCAC).

La domanda era di riconoscimento della qualifica superiore del 4 livello, capo ufficio, con condanna alle conseguenti differenze retributive.

Il Tribunale sì espresse negativamente. La Corte d’appello ha confermato la decisione.

Il ricorso è articolato in due motivi. L’Istituto si difende con controricorso.

Con il primo motivo si denunzia un vizio di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione”.

La motivazione sarebbe insufficiente (pag. 10) perchè omette di esaminare i rilievi critici formulati contro la sentenza di primo grado nella parte in cui interpreta la deposizione del teste M. e perchè omette di analizzare e sindacare il contenuto della relazione del 28 marzo 1995 e delle lettere successive; sarebbe contraddittoria perchè non attribuisce la giusta valenza probatoria ai mansionari del 7 dicembre 1989 e del 5 aprile 1994; e sarebbe ancora insufficiente perchè nega rilievo alla assegnazione del ricorrente all’ufficio analisi dei trattamenti aziendali operata con ordine di servizio del 31 dicembre 1997, n. 281.

In realtà, dalla lettura della sentenza si evince che tutti gli elementi di prova su richiamati sono stati considerati dalla Corte che li ha esaminati e valutati ed ha fornito una motivazione, adeguata e priva di incoerenze logiche, della sua decisione.

Le critiche mosse non rientrano nell’alveo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ma si risolvono in una richiesta di rivalutazione del merito della decisione, che non può essere svolta in sede di giudizio di legittimità.

Con il secondo motivo si denunzia violazione del diritto di difesa, del principio del contraddittorio e degli artt. 437 e 156 c.p.c., per non aver la Corte ammesso, ribadendo quanto già ritenuto dal giudice di primo grado, la testimonianza di F.P. articolata in due capitoli, “in quanto vertenti su circostanze non conducenti ai fini della decisione”.

In realtà la motivazione specificamente formulata sul punto dalla Corte d’appello a pag. 6 della sentenza, non è ristretta a tale valutazione, peraltro non immotivata, fatta invero dal primo giudice, ma sottolinea anche la “assoluta genericità” dei capitoli di prova e il fatto che nessuno dei due era volto a comprovare il livello di responsabilità inerente le specifiche mansioni svolte.

La scelta della Corte è motivata e la motivazione è adeguata e coerente. Anche sul punto, in sede di legittimità, non è possibile riaprire questioni strettamente di merito. Il ricorso pertanto deve essere rigettato. Le spese sono a carico della parte che perde il giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione alla controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 17,00, nonchè 3.000,00 per onorari, oltre accessori.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2011

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