Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23588 del 30/08/2021

Cassazione civile sez. II, 30/08/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 30/08/2021), n.23588

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27054-2019 proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, X19

rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato

e domiciliato sempre ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

O.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1088/2019 della Corte di appello di Milano,

depositata il 12/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/12/2020 dal Consigliere Dott.ssa Milena FALASCHI.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– con provvedimento notificato il 04.09.2015 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano rigettava la domanda della ricorrente, volta all’ottenimento dello status di rifugiato, della protezione c.d. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria;

– avverso tale provvedimento interponeva opposizione O.M., che veniva respinta dal Tribunale di Milano con ordinanza comunicata in data 22.04.2016, la quale veniva – a sua volta impugnata dinanzi alla Corte di appello di Milano che con sentenza n. 1088 del 12.03.2019, rinunciate dal ricorrente tutte le domande di protezione, confermata solo quella umanitaria, accoglieva parzialmente il gravame e per l’effetto in riforma dell’ordinanza del Tribunale, riconosceva a O. il diritto alla protezione umanitaria;

– la decisione impugnata evidenziava che le ragioni su cui si fondava l’accoglimento della domanda di protezione umanitaria erano strettamente connesse al lungo processo migratorio che il richiedente aveva dovuto affrontare all’indomani dalla sua fuga da Agbor (Nigeria) dove era nato e cresciuto, allo sforzo di integrazione sul territorio italiano dimostrato, per avere egli documentato di essere stato assunto dal 16.01.2018 come operaio generico nel settore alimentare a (OMISSIS) presso la ditta Gervasio s.r.l., considerato, infine, il non completato percorso di normalizzazione del Paese di origine che lo avrebbe esposto ad una condizione di fragilità in ipotesi di forzato rientro;

– propone ricorso per la cassazione avverso tale decisione il Ministero dell’interno, affidato ad un unico motivo;

– l’ O. è rimasto intimato.

Atteso che:

– con l’unico motivo il Ministero lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, dell’art. 8 CRDU, dell’art. 2 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per non aver tenuto conto che nel solco dell’orientamento giurisprudenziale l’istituto della protezione umanitaria non può che essere accordato in ipotesi del solo inserimento sociale del richiedente, circostanza che di per sé non integra gli estremi della vulnerabilità, totalmente trascurando di analizzare in concreto le condizioni di effettiva compromissione del nucleo essenziale dei diritti fondamentali del ricorrente in caso di rimpatrio, al fine di procedere alla necessaria comparazione con il grado di integrazione del nostro paese.

Il motivo è fondato nei limiti di seguito illustrati.

Occorre rilevare come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Cass., Sez. Un., n. 29459 del 2019; Cass. n. 4455 del 2018). Si è sottolineata, con riguardo al tema del riconoscimento della c.d. protezione umanitaria, la piena condivisibilità dell’approccio che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva che verrebbe a determinarsi nel paese di origine a seguito del rimpatrio, al fine di verificare se tale rientro non valga a determinare una non tollerabile privazione dell’esercizio dei diritti umani del richiedente, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale. In particolare, il giudice di merito, nel procedere alla ridetta comparazione, mentre non potrà riconoscere al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dell’isolata e astratta considerazione del suo livello di integrazione in Italia, sarà tenuto a coniugare, quella considerazione, con l’esame del modo in cui l’eventuale rimpatrio (e dunque il contesto di generale compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza) verrebbe a incidere sulla vicenda esistenziale dell’interessato, avuto riguardo alla sua storia di vita e al grado di sviluppo della sua personalità; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale compromissione possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, sanitaria; culturale, etc..

In questi termini, la considerazione delle condizioni del paese di provenienza (comunque da indagarsi e accertarsi, dal giudice di merito, in termini obiettivi) varrà – non già a tradursi in una valutazione meramente generale e astratta della relativa situazione nazionale bensì a declinarsi e sintetizzarsi in un giudizio “personalizzato” mediante la ponderazione, di quelle generali condizioni del paese di origine, con l’incidenza che le stesse finirebbero per assumere sulla storia di vita (sulla “biografia”) del richiedente, alla luce del principio che impone in ogni caso la salvaguardia della dignità della persona.

In tal senso, il giudizio fermato sull’entità della degradazione che l’interessato sarebbe destinato a subire a seguito del rimpatrio chiede d’essere calibrato in rapporto alle modalità concrete e irripetibili della vicenda esistenziale di quella specifica persona, sì che l’esame del modo della compromissione del c.d. nucleo ineliminabile della dignità personale (e dunque il senso della sua specifica “vulnerabilità”) consisterà propriamente nella verifica del grado di aggressione (“qualitativa”) della dignità di quella singolare ed unica esperienza individuale, sì da non potersi astrattamente escludere che, con riguardo a uno stesso paese, l’esame diretto al riconoscimento della protezione umanitaria possa anche condurre ad esiti diversi in rapporto a storie di vita differenti e non commensurabili; e ciò, non già in forza di un’inammissibile (e inaccettabile) graduazione qualitativa della dignità umana, bensì in ragione dell’inevitabile conformazione di quest’ultima (anche) in correlazione ai differenti percorsi di vita che sostanziano in modo irripetibile il senso dell’identità individuale, da valutarsi anche in relazione alla situazione psico-fisica attuale del richiedente e al contesto culturale e sociale di riferimento (v., in tal senso, Cass. n. 13088 del 2019; Cass. n. 1104 del 2020).

Proprio in forza di tali premesse, dunque, acquista significato il senso (sul piano propriamente esistenziale) della comparazione tra le condizioni del paese di origine del richiedente e la relativa storia di vita, ivi compreso il grado di sviluppo e di integrazione della propria esperienza nel tessuto socio-economico del nostro paese. Nei casi in cui la ricostruzione della storia di vita del richiedente risulti ostacolata dalla ritenuta non credibilità delle relative dichiarazioni, o dall’irriducibile frammentarietà delle informazioni complessivamente acquisite, il giudice di merito dovrà in ogni caso procedere a verificare se le condizioni sociali, politiche o economiche, obiettivamente riscontrate nel paese di origine non appaiano tali da porsi in evidente contrasto con la misura del rimpatrio, avuto riguardo all’incidenza di dette condizioni con la conservazione, in capo al richiedente, del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità umana, al di là di ogni specifica caratterizzazione che valga a qualificarne l’identità.

Ciò posto, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche ed economiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Cass. n. 13897 del 2019).

Nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver sottolineato l’effettiva realizzazione del processo di integrazione del richiedente nel paese di accoglienza, si è di seguito inammissibilmente limitato ad affermare, in termini meramente apodittici, come, in conseguenza del rientro nel paese di origine, l’odierno richiedente si troverebbe in un contesto sociale, politico e ambientale tale da determinare concretamente la significativa compromissione dei suoi diritti fondamentali – ovvero la compromissione della possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze in eludibili della vita personale, quali quelli connessi al proprio sostentamento e raggiungimento dei livelli minimi per un’esistenza dignitosa – idonea a pregiudicare la possibilità di esercitare i diritti fondamentali, trascurando totalmente di specificare i contenuti e i termini delle prerogative personali asseritamente poste a rischio in caso di rimpatrio del richiedente, sì da impedire ogni possibile controllo in ordine all’effettiva e concreta sussistenza delle condizioni sociali così apoditticamente attestate in rapporto alla paventata aggressione del nucleo essenziale dei diritti fondamentali dell’odierno ricorrente.

Il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – al di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. “minimo costituzionale”.

Sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la fondatezza del ricorso principale, in accoglimento dello stesso deve essere disposta la cassazione del provvedimento impugnato, con il conseguente rinvio alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso;

cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2021

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