Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23587 del 30/08/2021

Cassazione civile sez. II, 30/08/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 30/08/2021), n.23587

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25171-2019 proposto da:

A.D., rappresentato e difeso dall’avvocato Sergio Biondino del

foro di Milano ed elettivamente domiciliato agli indirizzi PEC dei

difensori iscritti nel REGINDE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato

e domiciliato sempre ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

contro

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA presso TRIBUNALE DI MILANO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2156/2019 della Corte di appello di Milano,

depositata il 16/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/12/2020 dal Consigliere Dott.ssa Milena FALASCHI.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– con provvedimento notificato il 28.03.2017 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano rigettava la domanda del ricorrente, volta all’ottenimento dello status di rifugiato, della protezione c.d. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria;

– avverso tale provvedimento interponeva opposizione A.D., che veniva respinta dal Tribunale di Milano con ordinanza comunicata in data 11.05.2018, che veniva impugnata dinanzi alla Corte di appello di Milano che, con sentenza n. 2156 del 16.05.2019, rigettava il gravame;

– la decisione evidenziava l’insussistenza dei requisiti previsti dalla normativa, tanto per il riconoscimento dello status di rifugiato quanto per la protezione sussidiaria e umanitaria, rilevando che le ragioni che avevano indotto il richiedente asilo, proveniente dalla Nigeria – Edo State, a fuggire dal Paese di origine non erano tali da consentire di ritenere sussistente nei suoi confronti una situazione persecutoria diretta e personale che lo poneva in una situazione di effettivo o quanto meno verosimile rischio di un grave danno alla persona non essendo tutta la Nigeria oggetto di direttive di non rimpatrio da parte dell’Unchr. Aggiungeva che in Nigeria – Edo State non sussisteva alcun conflitto armato interno, ma piuttosto i disordini ed i sequestri di persona costituivano manifestazioni di criminalità, e quasi tutte si presentavano, sia pure in forme differenti, nella maggior parte degli Stati del mondo. Del pari veniva negata la ricorrenza dei presupposti per la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari in difetto di prova di una effettiva integrazione sociale, non avendo il richiedente in tre anni di presenza in Italia mai lavorato, per cui provvedeva ai suoi due figli la sola madre, con la quale conviveva.

Di converso il ricorrente svolgeva regolare attività in Nigeria, dove peraltro rivestiva una posizione apicale in una banda dedita ad attività criminali anche con l’uso della violenza estrema e non era escluso che la situazione poteva essersi riprodotta anche in Italia;

– propone ricorso per la cassazione di tale decisione – notificato in data 28.08.2019 – l’ A., affidato a quattro motivi, cui resiste con controricorso il Ministero dell’interno.

Atteso che:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia, quanto al diritto al riconoscimento dello status di protezione sussidiaria, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 6, 14 e 17, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, nonché l’omesso esame di fatti decisivi, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale avrebbe totalmente omesso di esaminare nel merito la situazione del richiedente asilo ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e non aveva espresso alcuna motivazione in merito a tale scelta limitandosi ad affermare la “pacifica” insussistenza dei presupposti. La Corte aveva, inoltre, effettuato solo un generico riferimento alle “fonti” per escludere la sussistenza di un conflitto armato, omettendo però di prendere in esame la specifica situazione personale del ricorrente attinente alla sua libertà religiosa.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 In particolare la Corte sarebbe incorsa nella violazione dei criteri normativi per la definizione di un grave danno derivante dalla presenza di una situazione di violenza indiscriminata causata da un conflitto armato, omettendo di indicare le fonti consultate e le informazioni sulla base delle quali ha ritenuto che i conflitti armati oggettivamente esistenti non causavano una situazione di violenza indiscriminata.

Il primo ed il secondo motivo possono esaminarsi congiuntamente, essendo fondati nei termini di cui appresso si dirà.

Nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente.

Nei giudizi aventi ad oggetto domande di protezione internazionale e di accertamento del diritto al permesso per motivi umanitari, la verifica delle condizioni socio politiche del paese di origine non può fondarsi su informazioni risalenti ma deve essere svolta, anche mediante integrazione istruttoria ufficiosa, all’attualità (Cass. n. 28990 del 2018).

Pertanto sulla base di tali principi il giudice del merito deve verificare la situazione attuale del Paese attraverso delle Coi aggiornate.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha errato perché non ha indicato alcuna Coi facendo un riferimento generico al fatto che in Nigeria non ci sia un conflitto armato (cfr. pag. 8 sentenza impugnata), ma che i disordini siano manifestazioni di criminalità più o meno presenti in tutti i Paesi del mondo;

– con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 e dell’art. 10 Cost., comma 3 perché in violazione dei parametri normativi e giurisprudenziali ha ritenuto assenti gravi motivi umanitari pur rilevando la consolidata situazione familiare del ricorrente e l’oggettiva presenza di gravi criticità nel paese di provenienza. Si tratterebbe di motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria e alla valutazione di assenza di specifica vulnerabilità.

Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 per avere la Corte territoriale ritenuti insussistenti i gravi motivi umanitari che ne impediscono il rimpatrio per una pretesa “pericolosità sociale” dello stesso richiedente, valutazione che oltre a non trovare riscontro nelle risultanze istruttorie, per espressa previsione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, non è pertinente all’istruttoria in oggetto.

Anche il terzo ed il quarto motivo – attinenti entrambi alla protezione umanitaria – possono esaminarsi congiuntamente, essendo fondati nei termini di cui appresso si dirà.

Al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Cass., Sez. Un., n. 29459 del 2019; Cass. n. 4455 del 2018).

Nella ricordata decisione delle Sezioni Unite, si è dunque sottolineata, con riguardo al tema del riconoscimento della c.d. protezione umanitaria, la piena condivisibilità dell’approccio che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva che verrebbe a determinarsi nel paese di origine a seguito del rimpatrio, al fine di verificare se tale rientro non valga a determinare una non tollerabile privazione dell’esercizio dei diritti umani del richiedente, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale. In particolare, il giudice di merito, nel procedere alla ridetta comparazione, mentre non potrà riconoscere al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dell’isolata e astratta considerazione del suo livello di integrazione in Italia, sarà tenuto a coniugare, quella considerazione, con l’esame del modo in cui l’eventuale rimpatrio (e dunque il contesto di generale compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza) verrebbe a incidere sulla vicenda esistenziale dell’interessato, avuto riguardo alla sua storia di vita e al grado di sviluppo della sua personalità; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale compromissione possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, sanitaria; culturale, etc. In questi termini, la considerazione delle condizioni del paese di provenienza (comunque da indagarsi e accertarsi, dal giudice di merito, in termini obiettivi) varrà – non già a tradursi in una valutazione meramente generale e astratta della relativa situazione nazionale bensì a declinarsi e sintetizzarsi in un giudizio “personalizzato” mediante la ponderazione, di quelle generali condizioni del paese di origine, con l’incidenza che le stesse finirebbero per assumere sulla storia di vita (sulla “biografia”) del richiedente, alla luce del principio che impone in ogni caso la salvaguardia della dignità della persona. In tal senso, il giudizio fermato sull’entità della degradazione che l’interessato sarebbe destinato a subire a seguito del rimpatrio chiede d’essere calibrato in rapporto alle modalità concrete e irripetibili della vicenda esistenziale di quella specifica persona, sì che l’esame del modo della compromissione del c.d. nucleo ineliminabile della dignità personale (e dunque il senso della sua specifica “vulnerabilità”) consisterà propriamente nella verifica del grado di aggressione (“qualitativa”) della dignità di quella singolare ed unica esperienza individuale, sì da non potersi astrattamente escludere che, con riguardo a uno stesso paese, l’esame diretto al riconoscimento della protezione umanitaria possa anche condurre ad esiti diversi in rapporto a storie di vita differenti e non commensurabili; e ciò, non già in forza di un’inammissibile (e inaccettabile) graduazione qualitativa della dignità umana, bensì in ragione dell’inevitabile conformazione di quest’ultima (anche) in correlazione ai differenti percorsi di vita che sostanziano in modo irripetibile il senso dell’identità individuale, da valutarsi anche in relazione alla situazione psico-fisica attuale del richiedente e al contesto culturale e sociale di riferimento (v., in tal senso, Cass. n. 13088 del 2019; Cass. n. 1104 del 2020).

Proprio in forza di tali premesse, dunque, acquista significato il senso (sul piano propriamente esistenziale) della comparazione tra le condizioni del paese di origine del richiedente e la relativa storia di vita, ivi compreso il grado di sviluppo e di integrazione della propria esperienza nel tessuto socio-economico del nostro paese; nei casi in cui la ricostruzione della storia di vita del richiedente risulti ostacolata dalla ritenuta non credibilità delle relative dichiarazioni, o dall’irriducibile frammentarietà delle informazioni complessivamente acquisite, il giudice di merito dovrà in ogni caso procedere a verificare se le condizioni sociali, politiche o economiche, obiettivamente riscontrate nel paese di origine non appaiano tali da porsi in evidente contrasto con la misura del rimpatrio, avuto riguardo all’incidenza di dette condizioni con la conservazione, in capo al richiedente, del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità umana, al di là di ogni specifica caratterizzazione che valga a qualificarne l’identità.

Ciò posto, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche ed economiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Cass. n. 13897 del 2019).

Nel caso di specie, il giudice a quo, nell’affrontare il tema della vulnerabilità del ricorrente, si è inammissibilmente limitato ad affermare, in termini apodittici, l’inesistenza di alcun serio pericolo per la propria vita o il rischio concreto di persecuzione, sostenendo genericamente l’assenza di un adeguato livello di integrazione del richiedente, o di condizioni di vulnerabilità conseguente al rientro in patria, trascurando totalmente di approfondire e circostanziare (attraverso la corroborazione di fonti di informazioni specifiche e adeguatamente aggiornate) gli aspetti dell’indispensabile valutazione comparativa tra la situazione personale ed esistenziale attuale del richiedente sul territorio italiano, e la condizione cui lo stesso verrebbe lasciato in caso di rimpatrio, al fine di attestare – necessariamente attraverso l’individuazione di specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni assunte in relazione alle condizioni generali del paese di origine, indipendentemente da quanto attestato con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria (fonti qui neppure adombrate) – che il ritorno del richiedente nel proprio paese non valga piuttosto a esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale rischio possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, culturale, etc., ovvero alla sua situazione familiare.

Ciò chiarito, il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – al di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. “minimo costituzionale” ed anzi invocando una sostanziale “pericolosità” del ricorrente di cui non sono neanche individuate le fonti.

Sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza delle censure esaminate, dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso;

cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo esame alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2021

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