Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23586 del 21/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 21/11/2016, (ud. 28/09/2016, dep. 21/11/2016), n.23586

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2498-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, c.f. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA M. CLEMENTI 68,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA COZZI, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARIO ARGENTO, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza il 91/26/2012 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA PUGLIA SEZIONE DISTACCATA DI FOGGIA, emessa il

17/05/12 e depositata il 28.05.2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

Fatto

IN FATTO

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti di P.A. (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia Sezione staccata di Foggia n. 91/26/2012, depositata in data 28/05/2012, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione del silenzio-rifiuto opposto dall’amministrazione finanziaria ad istanza del contribuente (esercente attività di agente di commercio) di rimborso dell’IRAP versata nell’anno 2006 – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, nel respingere il gravame dell’Agenzia delle Entrate, hanno sostenuto che, nella specie, il contribuente aveva dimostrato l’insussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione, risultando “irrilevanti costi la collaboratrice non essendo addetta alla rendita ed adeguate le spese relative a beni strumentali”.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

Il controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

IN DIRITTO

1. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, l’omessa pronuncia, sia ex art. 360 c.p.c., n. 5, circa un punto decisivo della controversia, rappresentato dalla presenza dell’impresa familiare, avendo l’Agenzia palesato in appello circostanza, taciuta dal contribuente, vale a dire l’essere svolta l’attività sotto forma di azienda familiare, ex art. 230 bis c.c., essendo stato dichiarato dal medesimo, in dichiarazione, che il 49/0 del reddito era attribuito al collaboratore familiare, indice questo della sussistenza del requisito organizzativo eccedente l’id quod plerumque accidit.

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta anche, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3 con riguardo alla sussistenza sia di spese per lavoro dipendente sia di impresa familiare.

2. Le due censure (quella implicante vizio motivazionale da scrutinare alla luce del vecchio disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 5, essendo stata pubblicata la decisione impugnata nel maggio 2012), da esaminare congiuntamente, in quanto connesse, sono fondate.

Invero, la ricorrente incentra la sua doglianza sull’avere la trascurato ovvero ritenuto, implicitamente, irrilevante la presenza di un collaboratore familiare.

La ricorrente richiama l’orientamento di questa Corte (Cass. 10777/2013; Cass. 1537/2014; Cass. 22628/2014) secondo il quale deve ritenersi soggetto all’imposta IRAP l’imprenditore commerciale, titolare di un’impresa familiare (non i familiari collaboratori), afferendo l’IRAP “non al reddito o al patrimonio in se, ma allo svolgimento di un’attività autonomamente organizzata per la produzione di beni e servizi” ed integrando la collaborazione dei partecipanti quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore, o valore aggiunto, rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare.

Quanto poi all’eccepita novità della deduzione, formulata solo in appello dall’agenzia delle Entrate, deve rilevarsi che questa Corte ha già chiarito come, nel processo tributario, quando il contribuente impugni il silenzio rifiuto formatosi su una istanza di rimborso, deve dimostrare che, in punto di fatto, non sussiste nessuna delle ipotesi che legittimano il rifiuto, e l’amministrazione finanziaria può dal canto suo, difendersi quindi “a tutto campo”. Non essendo vincolata ad una specifica motivazione di rigetto”, con la conseguenza che “le eventuali “falle” del ricorso introduttivo possono essere eccepite in appello dall’amministrazione a prescindere dalla preclusione posta dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57 in quanto, comunque, attengono all’originario “thema decidendum” (sussistenza o insussistenza dei presupposti che legittimano il rifiuto del rimborso), fatto salvo il limite del giudicato” (Cass. 11682/2007; Cass. 1133/2009; Cass. 21314/2010; Cass. 3338/2011; Cass. 6246/2012; Cass.10195/2016).

Invero, il divieto di propone nuove eccezioni in appello, posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, riguarda le eccezioni in senso tecnico, ossia lo strumento processuale con cui il contribuente, in qualità di convenuto in senso sostanziale, fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale, ma non limita la possibilità dell’Amministrazione di difendersi dalle contestazioni già dedotte in giudizio, perchè le difese, le argomentazioni e le prospettazioni dirette a contestare la fondatezza di un’eccezione non costituiscono, a loro volta, eccezioni in senso tecnico.

La Commissione, trascurando l’importanza del dato costituito dalla presenza di collaboratore familiare, ritenuto invece sintomatico in sè di quell’attività autonomamente organizzata necessaria ai fini dell’avveramento del presupposto dell’IRAP, non si è in effetti conformata a tali principi di diritto. Nella ordinanza di questa Corte n. 17429/2016 (indicata dal controricorrente in memoria), la sentenza della C.T.R. è stata del pari cassata per vizio motivazionale (ex art. 360 c.p.c., n. 5, ante Novella D.L. n. 83 del 2012), non avendo i giudici di appello comunque esaminato il dato costituito da “quote di collaboratori familiari”.

3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla C.T.R. della Puglia, in diversa composizione, per nuovo esame del merito.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla C.T.R. della Puglia, in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2016

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