Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23582 del 27/10/2020

Cassazione civile sez. I, 27/10/2020, (ud. 17/07/2020, dep. 27/10/2020), n.23582

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17694/2019 proposto da:

A.S., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Diego Giuseppe Perricone, giusta procura su foglio

allegato al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4/2019 della CORTE DI APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 10/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/07/2020 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

A.S., nato in (OMISSIS), con ricorso del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, aveva impugnato dinanzi il Tribunale di Caltanissetta, con esito sfavorevole, il provvedimento di diniego adottato della Commissione Territoriale in merito alla domanda di riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria; la decisione è stata confermata con la sentenza di appello oggi impugnata.

Il ricorrente aveva narrato di essere fuggito dal proprio Paese per paura di essere ucciso perchè sospettato di appartenere ad un gruppo terroristico che aveva nascosto delle armi nella Madrassa che aveva fatto erigere il padre.

I fatti narrati non sono stati ritenuti credibili perchè generici e non circostanziati in merito alle attività lecite svolte nella Madrassa ed alle circostanze della morte del padre e del fratello ad opera della Polizia.

La Corte territoriale ha, quindi, escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, non ritenendo che ricorresse, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), il rischio grave di morte o di assoggettamento a trattamenti inumani e degradanti, e, ex art. 14, lett. c) della stessa legge – sulla scorta dell’esame di fonti accreditate (Report internazionali – EASO 2017 IGC 2016) -, una situazione di violenza generalizzata nel distretto del Punjab di provenienza del richiedente, tale da porre in pericolo la vita di un civile a cagione della sua presenza nel territorio dello Stato.

Infine, ha negato la protezione umanitaria sulla considerazione che la complessiva inattendibilità del racconto non dava adeguata contezza di una specifica condizione di vulnerabilità in patria, nè si evinceva una integrazione sociale in Italia.

Avverso detta sentenza il richiedente propone ricorso per cassazione con due mezzi, concernenti le domande di riconoscimento della protezione sussidiaria e del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Il ricorrente critica il diniego di protezione sussidiaria, sostenendo che la situazione socio/politica del Pakistan era caratterizzata da violenza generalizzata, tale da integrare il presupposto richiesto.

Il motivo è inammissibile perchè si limita a riproporre principi giurisprudenziali ed a formulare astratti postulati, sollecitando impropriamente una riesame di quanto accertato in fatto nella fase di merito, in termini conformi alla aspettativa del ricorrente.

Va invero osservato che, in applicazione del principio secondo il quale “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. n. 26728 del 21/10/2019) la censura avrebbe dovuto essere specifica e non già assiomatica.

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Il ricorrente sostiene che l’instabilità del Paese di origine e la mancanza di libertà democratiche è condizione oggettiva per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Il motivo è inammissibile.

Risulta decisivo osservare che “In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato” (Cass. Sez. U. n. 29459 del 13/11/2019) e che, giacchè non risulta accertata l’integrazione in Italia – nè tale profilo è oggetto di censura – non sarebbe, comunque, possibile procedere al riconoscimento della protezione umanitaria (confr. Cass. n. 4455 del 23/2/2018).

3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese, in assenza di attività difensive del resistente.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2020

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