Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23580 del 27/10/2020

Cassazione civile sez. I, 27/10/2020, (ud. 17/07/2020, dep. 27/10/2020), n.23580

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15377/2019 proposto da:

A.N., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvocato

Giuseppe Lipera, in Roma Via Attilio Regolo n. 19, unitamente

all’Avvocato Gaziella Coco, che lo rappresenta e difende, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 784/2018 della CORTE DI APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 18/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/07/2020 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

A.N., nato in (OMISSIS), con ricorso del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, aveva impugnato dinanzi il Tribunale di Caltanissetta, con esito sfavorevole, il provvedimento di diniego adottato della Commissione Territoriale in merito alla domanda di riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria; la decisione è stata confermata con la sentenza della Corte territoriale oggi impugnata.

Il ricorrente aveva narrato di essere fuggito dal proprio Paese per paura di ritorsioni da parte di un cacciatore: riferiva che durante un’escursione aveva assistito ad un incidente in cui erano morte delle persone e che il cacciatore, che aveva causato l’incidente per una sua negligenza, lo aveva accusato ingiustamente; di essere stato vittima di un incidente stradale volontariamente causato dal cacciatore e di avere saputo dalle guardie del corpo, che aveva assunto, che queste erano state indotte ad ucciderlo; aggiungeva che questi fatti, esposti alla polizia, non avevano sortito alcun effetto a sua tutela.

I fatti narrati non sono stati ritenuti credibili dalla Corte territoriale, che ha rimarcato – tra l’altro – la non plausibilità e contraddittorietà degli stessi.

La Corte territoriale ha, quindi, escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non ricorrendo persecuzioni per motivi di razza, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale, e della protezione sussidiaria, non ritenendo che ricorresse, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), il rischio grave di morte o di assoggettamento a trattamenti inumani e degradanti, e, ex art. 14, lett. c) della stessa legge – sulla scorta dell’esame delle fonti accreditate (IGC maggio 2016 – Pakistan Institute for Conflict and Security Studies 2017 – EASO 2018) -, una situazione di violenza generalizzata nella regione del Punjab di provenienza del richiedente, tale da porre in pericolo la vita di un civile a cagione della sua presenza nel territorio dello Stato.

Infine, ha negato la protezione umanitaria sulla considerazione che, pur profilandosi un significativo radicamento del richiedente nel territorio italiano, la complessiva inattendibilità del racconto non dava adeguata contezza di una specifica condizione di vulnerabilità e di uno sradicamento significativo dal territorio di origine nel caso di rientro a distanza di alcuni anni, di guisa che non ricorrevano i presupposti per procedere alla comparazione ex Cass. n. 4455/2018.

Avverso detta sentenza il richiedente propone ricorso per cassazione con due mezzi, concernenti le domande di riconoscimento della protezione sussidiaria e del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il Ministero dell’Interno ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 14, lett. A) e C) e si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in merito alla sussistenza dei presupposti per ottenere il riconoscimento della protezione sussidiaria.

In particolare il ricorrente critica la valutazione compiuta sulle base delle informazioni desunte da EASO 2018 in relazione alla sua zona di provenienza e richiama il contenuto del sito (OMISSIS), che consiglia di limitare i viaggi verso il Pakistan, oltre che precedenti giurisprudenziali di merito in linea con le sue prospettazioni; lamenta anche che non sia stato considerato che il Pakistan non protegge adeguatamente i suoi cittadini, ribadendo il timore di essere ucciso, una volta rientrato in patria.

Il primo motivo è inammissibile.

Osserva il Collegio che la Corte territoriale ha accertato, con riferimento a fonti accreditate, aggiornate ed indicate nella motivazione della sentenza che la zona del Punjab di provenienza del richiedente è connotata da episodi di conflitti armati che non sono tali da generare una situazione di violenza indiscriminata.

Giova rammentare che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. n. 26728 del 21/10/2019).

Orbene, nel caso di specie, la censura non corrisponde al modello: invero, i precedenti giurisprudenziali non sono rilevanti, posto che il richiamo generico non consente di valutare la effettiva sovrapponibilità delle fattispecie esaminate nei pregressi giudizi; inoltre il ricorrente sostanzialmente fornisce una personale interpretazione del Report EASO 2018 – documento esaminato dalla Corte territoriale -, e ne sollecita una rivalutazione inammissibile in sede di legittimità; inoltre l’informazione desumibile dal sito (OMISSIS), circa la presenza del rischio terrorismo, non integra uno specifico elemento di fatto idoneo a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, posto che questi ne ha tenuto conto.

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, art. 3 della CEDU, artt. 2 e 32 Cost., dell’art. 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, della L. n. 881 del 1977, art. 11, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo in merito alla sussistenza dei presupposti per ottenere la protezione umanitaria, anche se non sufficienti al riconoscimento delle forme di protezione maggiori, e l’omessa valutazione di documenti prodotti.

Il ricorrente si duole che la Corte nissena, pur avendo ravvisato il personale significativo radicamento in Italia, non abbia considerato ai fini della comparazione ex Cass. n. 4455/2018 se la situazione che si troverebbe ad affrontare in caso di rientro in patria sia connotata da rischi per la sicurezza, dovuti al terrorismo ed alle minacce subite dai trafficanti, e non abbia tenuto conto della permanenza in Libia del ricorrente, da cui si era poi dovuto allontanare.

Il motivo è inammissibile perchè prescinde dall’accertata non credibilità del ricorrente, non illustra specifiche condizioni di vulnerabilità tempestivamente dedotte in modo non generico e non coglie la ratio decidendi, fondata sulla impossibilità di effettuare la comparazione come delineata ex Cass. n. 4455 del 23/02/2018.

Inoltre, questa Corte ha chiarito (Cass. n. 29875 del 20/11/2018) che nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione. In sostanza, il vissuto nel Paese di transito può rilevare ove abbia determinato nel richiedente una situazione di vulnerabilità per i traumi psichici e le condizioni fisiche riportate (Cass. n. 13096 del 15/05/2019), situazione che qui il ricorrente non ha dedotto e che non può essere automaticamente fatta discendere dal suo trascorso, considerato che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018).

La decisione in esame si è attenuta a questi principi, anche se la motivazione va corretta laddove, oltre a riferirsi alla rilevanza dell’accertamento in ordine alla personale condizione di vulnerabilità del richiedente ed alla sua situazione soggettiva ed oggettiva riferita al Paese di origine, introduce – errando – come elemento di comparazione anche il “preteso sradicamento dal territorio” di provenienza.

3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di legittimità che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2020

 

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