Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23580 del 23/09/2019

Cassazione civile sez. lav., 23/09/2019, (ud. 18/06/2019, dep. 23/09/2019), n.23580

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14206/2017 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RICCARDO

GRAZIOLI LANTE, 7, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO MOROSINI,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ATAC S.P.A. – AZIENDA PER LA MOBILITA’ DI ROMA CAPITALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PRENESTINA 5, presso lo studio dell’avvocato STEFANO

BIBBOLINO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5468/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/11/2016 R.G.N. 5099/2013.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che con sentenza n. 5468/2016, depositata il 29 novembre 2016, la Corte di appello di Roma, respinte le altre domande, ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto stipulato da P.A. con ATAC S.p.A. per il periodo dall’1 luglio 2009 al 30 giugno 2010; quanto agli effetti di tale pronuncia, ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per la conversione del rapporto e per la dichiarazione di esistenza fin dall’origine di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, alla stregua della legislazione in materia (L. n. 133 del 2008, nel testo risultante dalle modifiche apportate nel 2009) e sul rilievo che ATAC S.p.A. è una società a partecipazione pubblica totale (unico azionista essendo il Comune di Roma), che svolge in affidamento diretto il servizio di trasporto pubblico locale senza gara, con conseguente applicazione a favore della lavoratrice della sola tutela risarcitoria ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la lavoratrice con due motivi, cui ATAC ha resistito con controricorso;

rilevato:

che con il primo motivo, deducendo la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., art. 2094 c.c. e art. 1322 c.c., comma 2 e della L. 11 agosto 1991, n. 266, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto la domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto, con riferimento al contratto (periodo 12/12/2008 – 12/3/2009) “di prestazione volontaria”, non avendo considerato che, ai fini di tale accertamento, non è sufficiente che la prestazione sia stata qualificata dalle parti come volontaria ma occorre che la qualificazione contrattualmente operata corrisponda alle effettive modalità di svolgimento del rapporto;

– che con il secondo, deducendo la violazione o falsa applicazione del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 18, comma 2 bis, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, così come modificato dal D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 19, comma 1, convertito in L. 3 agosto 2009, n. 102, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, dichiarata la nullità del termine, non ha disposto la conversione in rapporto a tempo indeterminato, senza tener conto che ATAC è una società per azioni a capitale pubblico locale operante in regime di diritto privato e, pertanto, soggetta alle norme del diritto privato concernenti i contratti di lavoro a tempo determinato e relative tutele;

osservato:

che il primo motivo è inammissibile;

– che infatti, come ripetutamente affermato, il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi peri quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata; mentre con il motivo in esame la ricorrente non censura la parte di motivazione, peraltro di rilievo centrale, in quanto relativa all’essenziale ragione decisoria che ha condotto al rigetto della domanda, con la quale la Corte di appello ha accertato come non fosse stata raggiunta dalla lavoratrice, che ne aveva l’onere, la prova “non solo di un obbligo di presenza e di orario, di onerosità ed obbligatorietà della prestazione, ma anche della prestazione lavorativa in sè, almeno con carattere di effettiva continuità”, avendo una testimone “dichiarato di non aver visto più la ricorrente… dopo il dicembre 2008” (cfr. sentenza, p. 6);

– che neppure il secondo motivo può trovare accoglimento;

– che la Corte di appello di Roma ha invero rilevato (p. 10) essere “pacifico che l’ATAC S.p.A. è una società a partecipazione pubblica totale (l’unico azionista è il Comune di Roma) e che svolge servizio di trasporto pubblico locale senza gara”, con ciò accertando il ricorrere dei presupposti indicati nella disciplina di riferimento per l’applicazione anche alle società cosiddette in house dei divieti e delle limitazioni alle assunzioni di personale stabilite per le amministrazioni pubbliche;

– che, d’altra parte, la questione relativa all’ampiezza dell’oggetto sociale di ATAC S.p.A., che comprenderebbe anche attività diverse dal pubblico servizio di trasporto locale, e dell’effettivo esercizio di tali attività, mediante la partecipazione a gare di appalto nel rispetto del principio di concorrenza, è da ritenersi questione nuova e, quindi, come tale, inammissibile nella presente sede di legittimità, non essendovene cenno nella sentenza impugnata, nè avendo la ricorrente dedotto in quale atto del giudizio precedente ebbe a sottoporla al vaglio della Corte di appello (Cass. n. 15430/2018);

– che in definitiva la sentenza impugnata si sottrae alle critiche che le vengono rivolte, avendo il giudice di merito fatto esatta applicazione del principio, per il quale “in tema di società cd. in house, il reclutamento del personale, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008, convertito con modificazioni in L. n. 133 del 2008, nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla L. n. 102 del 2009 di conversione del D.L. n. 78 del 2009, avviene secondo i criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, che impongono l’esperimento di procedure concorsuali o selettive, sicchè la violazione di tali disposizioni, aventi carattere imperativo, impedisce la conversione dei rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato” (Cass. n. 21378/2018);

ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2019

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