Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2358 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/01/2017, (ud. 30/11/2016, dep.31/01/2017),  n. 2358

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22370-2015 proposto da:

L.S.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SABOTINO

12, presso lo studio dell’avvocato LUCA SAVINI, rappresentata e

difesa dall’avvocato FRANCESCO VERGERIO DI CESANA giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SUD SPA (OMISSIS), in persona del suo procuratore Resp. del

Contenzioso Rag. Lazio Avv. S.M., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO NIBBY 11, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO BIASIOTTI MOGLIAZZA, che la rappresenta e

difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI FIUMICINO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 8587/2015 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

21/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/11/2016 dal Consigliere Dott. COSIMO D’ARRIGO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS LUISA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L.S.S. ha proposto innanzi al giudice di pace di Roma opposizione, ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ., avverso una cartella di pagamento emessa da Equitalia Sud s.p.a. per la riscossione di contravvenzioni del codice della strada elevate dal Comune di Fiumicino.

Con sentenza del 28 febbraio 2012, il giudice di pace accoglieva l’opposizione con condanna degli opposti in solido al pagamento delle spese processuali.

La decisione veniva appellata innanzi al Tribunale di Roma da Equitalia Sud s.p.a. Proponevano appello incidentale la L.S. e il Comune di Fiumicino.

Il giudice di appello, con sentenza del 21 aprile 2015, rigettava l’appello incidentale proposto dalla L.S.; dichiarava inammissibile, in quanto tardivo, l’appello incidentale proposto dal Comune di Fiumicino; in accoglimento dell’appello principale, rigettava l’opposizione all’esecuzione proposta dalla contribuente, che condannava al pagamento delle spese processuali del primo (in solido con il Comune di Fiumicino) e del secondo grado di giudizio.

Avverso tale decisione ricorre la L.S. con tre motivi. Equitalia Sud s.p.a. resiste con controricorso. Il Comune di Fiumicino non ha svolto attività difensiva. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso la L.S. denuncia il vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata, che ha deciso l’opposizione all’esecuzione nel merito, nonostante l’appello fosse stato proposto da Equitalia Sud s.p.a. solo al fine di regolare le spese processuali.

La censura è infondata e deve essere rigettata.

Va premesso, anzitutto, che il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale (Sez. 6 1, Sentenza n. 118 del 07/01/2016, Rv. 638481; Sez. 1, Sentenza n. 23794 del 14/11/2011, Rv. 620426).

Nella specie, l’agente di riscossione ha lungamente prospettato, nell’atto di appello, le ragioni per le quali sarebbe dovuta essere rigettata l’opposizione proposta dalla L.S.. Si tratta, peraltro, come vedremo dopo, di questioni relative all’attività dell’agente di riscossione e non dell’ente impositore, rispetto alle quali quindi Equitalia Sud s.p.a. era pienamente legittimata a contraddire. Per tali ragioni, ha fatto corretto governo delle regole processuali il giudice di appello che, anzichè fermarsi al profilo meramente formale della conclusioni dell’appellante, ha esaminato nel merito tutte le doglianze effettivamente dedotte con l’impugnazione.

Il preteso vizio di ultrapetizione, pertanto, non sussiste.

2. – Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’onere della prova, in quanto nè il Comune di Fiumicino, nè Equitalia Sud s.p.a. avrebbero fornito prova della notifica del verbale di accertamento e illegittimamente il giudice di appello avrebbe tratto convinzione della regolarità della notificazione dalla sola circostanza che il predetto verbale di contravvenzione sia menzionato nella cartella di pagamento.

La doglianza è inammissibile, in quanto la ricorrente non ha fornito alcuna prova di aver mai dedotto, innanzi ai giudici, di merito la pretesa inesistenza della notificazione del verbale di accertamento.

Dalla lettura della sentenza impugnata si legge che, in via incidentale, l’appellata ha denunciato il “difetto di titolo sotteso all’opposta cartella” (pag. 2). Motivo ritenuto infondato in quanto “a fronte della elevazione del verbale di contravvenzione che, quale titolo, sostiene ogni successivo atto, (…) la cartella di impugnata è stata emessa legittimamente”.

Da nessuna parte della sentenza impugnata emerge che nei gradi precedenti si era fatta questione della notificazione dell’avviso di accertamento. Si parla, genericamente, di “difetto di titolo”, concetto riferibile a una pluralità di anomalie procedurali.

Pertanto sarebbe dovuto essere onere della ricorrente indicare l’atto processuale la cui consultazione avrebbe consenti la delibazione della censura in esame, che è quindi inammissibile.

3. – Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 27 in quanto le maggiorazioni ivi previste per il ritardato pagamento non troverebbero applicazione in caso di sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada.

Secondo la ricorrente dette somme non sono dovute giacchè la citata disposizione riguarderebbe la sola ipotesi in cui, nella legislazione vigente, era prevista l’emissione di un’ordinanza di ingiunzione e non potrebbe estendersi al caso, come quello di specie, nel quale è stato emesso un verbale di accertamento che costituisce già titolo esecutivo. Pertanto la sanzione da ritardato pagamento dovrebbe essere costituita soltanto da quella stabilita dall’art. 203 C.d.S. e non anche dalla maggiorazione prevista dalla L. n. 689 del 1981, art. 27 pervenendosi altrimenti ad una illegittima duplicazione della sanzione.

La ricorrente aggiunge, inoltre, che gli interessi sarebbero comunque di carattere usurario.

La censura è infondata.

Recentemente questa Corte ha affermato il seguente principio:

“in materia di sanzioni amministrative per violazioni previste dal Codice della Strada va applicata la maggiorazione del dieci per canto semestrale, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 27 per il caso di ritardo nel pagamento della somma dovuta, sicchè è legittima l’iscrizione a ruolo e l’emissione della relativa cartella esattoriale per un importo che includa, oltre a quanto dovuto per la sanzione principale e per le spese del procedimento, anche l’aumento derivante dalla sanzione aggiuntiva” (Sez. 3, Sentenza n. 21259 del 20/10/2016, in corso di massimazione).

Tale soluzione interpretativa deve essere qui ribadita per le seguenti ragioni.

La lettera dell’art. 206 C.d.S., comma 1, (“se il pagamento non è effettuato nei termini previsti dagli artt. 202 e 204, salvo quanto disposto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 22, u.c. la riscossione delle somme dovute a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria e regolata dalla stessa L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 27”) potrebbe indurre a ritenere che il rinvio al citato art. 27 si riferisca esclusivamente alle modalità di riscossione mediante ruoli, non anche agli importi da iscrivere a ruolo, che resterebbero perciò disciplinati dall’art. 203 C.d.S., comma 3.

Vi sono tuttavia dati interpretativi di sistema che conducono ad affermare che il rinvio sia fatto alla norma nella sua interezza. In primo luogo, la mancata limitazione del rinvio ad uno, o più, dei diversi commi di cui l’art. 27 si compone. Inoltre, il testo dell’art. 203 C.d.S., comma 3 (per il quale “qualora nei termini previsti non sia stato proposto ricorso e non sia avvenuto il pagamento in misura ridotta, il verbale, in deroga alle disposizioni di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 17, costituisce titolo esecutivo per una somma pari alla meta del massimo della sanzione amministrativa edittale e per le spese di procedimento”), mentre contiene una deroga espressa alla L. n. 689 del 1981, art. 17, non altrettanto prevede rispetto all’art. 27, comma 6. Infine, quest’ultima norma attribuisce alla sanzione aggiuntiva la funzione di assorbire gli interessi eventualmente previsti dalle disposizioni vigenti: questa funzione è coerente con l’intero sistema di irrogazione e di riscossione delle sanzioni amministrative per violazioni previste dal Codice della strada (poichè gli interessi sono esclusi dalla previsione dell’art. 203 C.d.S. e non vi è alcuna norma apposita che ne regoli la riscossione in difformità da quanta previsto dall’art. 27).

E’ infine chiaro che un tasso fissato dalla legge – anche con funzioni sanzionatorie e non solo corrispettive o moratorie – non può essere definito contra legem, perchè eccessivo rispetto al c.d. “tasso soglia”. Non esiste infatti alcuna gerarchia delle fonti per le quali la legge ordinaria non possa prevedere, in talune ipotesi, come dovuto un tasso di interessi di misura superiore a quello previsto dalla legislazione antiusura.

Anche quest’ultimo motivo di ricorso va perciò rigettato

4. – Le spese, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.

Sussistono i presupposti per l’applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte sia dell’impugnante principale che di quelle incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da ciascuno proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 1.200,00, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, dal parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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