Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23577 del 11/11/2011

Cassazione civile sez. III, 11/11/2011, (ud. 14/10/2011, dep. 11/11/2011), n.23577

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4908/2009 proposto da:

M.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA G MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato MOSTARDA

Marco, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NITOGLIA

STEFANO giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA SCIENTIFICA, in persona del

Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è

difeso per legge;

– controricorrente –

contro

UNIVERSITA’ CATTOLICA SACRO CUORE FACOLTA’ MEDICINA E CHIRURGIA

AGOSTINO GEMELLI;

– intimati –

Nonchè da:

UNIVERSITA’ CATTOLICA SACRO CUORE FACOLTA’ MEDICINA E CHIRURGIA

AGOSTINO GEMELLI, in persona, del Rettore p.t. prof. O.

L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL VIMINALE 43,

presso lo studio dell’avvocato LORENZONI FABIO, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente incidentale –

contro

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA SCIENTIFICA, in persona del

Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è

difeso per legge.

– controricorrente all’incidentale –

e contro

M.R. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 4049/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/10/2008; R.G.N. 7556/2005.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/10/2011 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato RAFFELE MOTARDA;

udito l’Avvocato LORENZONI FIDUCCIA BEATRICE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per accoglimento ricorso principale;

accoglie ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p. 1. M.R. ha proposto ricorso per cassazione contro il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Scientifica e l’Università Cattolica del Sacro Cuore-Facoltà di Medicina e Chirurgia “Agostino Gemelli” avverso la sentenza del 13 ottobre 2008, con la quale la Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’appello da lui proposto avverso la sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Roma, che – investito di una domanda principale intesa ad ottenere (nel presupposto di avere frequentato a tempo pieno presso detta Università per quattro anni dal 1985-86 il corso di specializzazione in geriatria e gerontologia, conseguendo il relativo diploma di specializzazione, senza percepire alcuna borsa di studio o emolumento ed anzi corrispondendo per le tasse di iscrizione L. 2.000.000 all’anno) il trattamento previsto dal D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, per come adeguato dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, nonchè il risarcimento del danno nella misura di L. 8.000.000 per il detto esborso, e di una domanda subordinata di risarcimento del danno nella misura di detto trattamento e di quello stesso importo – aveva rigettato entrambe le domande (proposte nel luglio del 2001), quella risarcitoria per prescrizione nei riguardi del Ministero e per difetto di legittimazione nei riguardi dell’Università, e l’altra per la mancata prova del rispetto delle condizioni previste dalla normativa comunitaria per il diritto al compenso.

A sostegno delle domande il ricorrente aveva dedotto che il detto D.Lgs. n. 257 del 1991, nel recepire tardivamente le direttive comunitarie CEE 75/362/CEE e 82/76/CEE, rimaste inadempiute a far tempo dal 31 dicembre 1982, aveva illegittimamente limitato l’applicazione della remunerazione ai medici ammessi ai corsi di specializzazione successivi al 1991.

p. 2. La Corte territoriale ha rigettato l’appello del M.: a) reputando, quanto all’azione di risarcimento danni fondata la prescrizione, in particolare disattendendo la tesi dell’appellante che essa dovesse decorrere dalle sentenze della Corte di Giustizia CE 25 febbraio 1999 (C-131/97, Carbonari) e 3 ottobre 2000 (C-371/97, Gozza) e sostenendo che la decorrenza dovesse operare dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991; b) ritenendo, quanto alla domanda di riconoscimento dei diritti di cui al D.Lgs. citato, che non fosse sufficiente a giustificare tale riconoscimento, come sosteneva l’appellante, la dimostrazione dell’avvenuto rispetto delle regole di frequenza del corso di specializzazione e di avere svolto le attività didattiche e pratiche da esse stabilite, occorrendo, invece, dare prova dello svolgimento dell’attività a tempo pieno e secondo i criteri stabiliti dalle direttive comunitarie, nel mentre il ricorrente nemmeno aveva dedotto di non avere svolto altra attività di lavoro autonomo.

p. 3. Al ricorso del M. hanno resistito con separati controricorsi il Ministero e l’università.

Quest’ultima ha anche svolto ricorso incidentale condizionato, cui il Ministero ha resistito con controricorso.

p. 4. Il ricorrente e l’Università hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Preliminarmente il ricorso incidentale condizionato va riunito a quello principale in seno al quale è stato proposto.

p. 2. Il ricorso principale propone dodici motivi.

p. 2.1. I primi cinque, tutti dedotti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e conclusi da idonei quesiti di diritto, sono rivolti avverso la parte della decisione impugnata che ha ritenuto prescritta l’azione del ricorrente prospettata sub specie di azione risarcimento danni da illecito aquiliano.

In particolare, il primo prospetta la tesi della decorrenza della prescrizione dalle due citate sentenze della Corte di Giustizia.

Il secondo denuncia la violazione dell’art. 2935, per essere stata fatta decorrere la prescrizione dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991.

Il terzo rivendica, contestando che l’azione fosse stata esercitata con qualificazione di risarcimento danni da illecito extracontrattuale, l’applicabilità del termine di prescrizione ordinario decennale pur per l’ipotesi di decorrenza dall’entrata in vigore del detto D.Lgs. e, quindi, postula che tale termine non era decorso all’atto della citazione introduttiva del giudizio.

Il quarto contesta che l’eccezione di prescrizione fosse stata validamente proposta dal Ministero, adducendo che quest’ultimo aveva invocato la prescrizione decennale dall’iscrizione al corso di specializzazione, quella quinquennale nel presupposto della natura contrattuale dell’azione, decorrente dalla chiusura di ogni anno di specializzazione e quella quinquennale dal fatto dannoso ai sensi dell’art. 2947 c.c.. Ne deduce che, non essendosi in presenza di eccezione di prescrizione generica, male i giudici di merito avrebbero individuato la prescrizione secondo un’alternativa diversa da quelle prospettate.

Il quinto motivo prospetta la tesi della prescrizione decennale, assumendo che l’inadempienza alle direttive comunitarie darebbe luogo ad una responsabilità oggettiva dello Stato e come tale non si potrebbe applicare la prescrizione quinquennale.

p. 2.2. Il sesto, settimo, ottavo, nono e decimo motivo si rivolgono contro la parte della sentenza impugnata relativa alla domanda di riconoscimento di quanto previsto dal D.Lgs. n. 257 del 1991.

In particolare, il sesto motivo deduce che, in base alle citate sentenze rese nella causa C-131/97 (Carbonari) e nella causa C-371/97 (Gozza), il diritto degli specializzandi dipendeva solo da due condizioni, l’essere la specializzazione comune a tutti gli stati membri o a due o più di essi e compresa fra quelle menzionate negli artt. 5 e 7 della direttiva del Consiglio 73/362/CEE. Il settimo motivo prospetta che la giurisprudenza comunitaria imporrebbe l’applicazione del D.Lgs. n. 257 del 1991 e censura la qualificazione come extracontrattuale dell’azione.

L’ottavo, il nono ed il decimo motivo riguardano più specificamente la sentenza impugnata nel punto in cui ha ritenuto indimostrate le condizioni di espletamento della specializzazione previste dal diritto comunitario.

In particolare, l’ottavo motivo prospetta come vizio di omessa ed insufficiente motivazione il non avere considerato la Corte territoriale quanto dedotto con il sesto motivo, adducendo che con l’atto di appello il ricorrente aveva dedotto quanto ivi sostenuto.

Il nono motivo lamenta vizio di motivazione, sia per non avere la Corte territoriale indicato quale normativa di riferimento regolasse il corso di specializzazione seguito dal ricorrente, sia che essa non poteva prevedere le specifiche condizioni richieste dalla normativa comunitaria perchè lo Stato non si era adeguato ad essa.

Il decimo motivo prospetta altro vizio di motivazione per non essersi tenuto conto che il D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 5, considera gli emolumenti come borse di studio e non come corrispettivo di prestazioni, tanto che esse sono esenti da Irpef e Ilor.

L’undicesimo motivo si duole dell’affermazione della Corte che con le decisioni assunte “vengono, altresì, a cadere sia il motivo concernente il difetto di legittimazione del Ministero, perchè irrilevante in concreto, sia i motivi riguardanti l’appello incidentale dell’Università, essendo quest’ultimo gravame condizionato all’accoglimento dell’appello principale”. Vi si sostiene – evidentemente adducendo implicitamente che l’assorbimento delle relative questioni, ritenuto dalla sentenza impugnata non sarebbe stato corretto – che la legittimazione passiva alle azioni competerebbe ad entrambe le parti convenute.

In fine, il dodicesimo motivo, nel presupposto che la prescrizione fosse stata eccepita nei termini indicati a proposito del quarto motivo, prospetta vizio di motivazione per l’omesso esame di una difesa in proposito assunta nella memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., circa la mancanza di pertinenza della prescrizione eccepita alle domande de ricorrente.

p. 3. Con i due motivi di ricorso incidentale l’Università prospetta rispettivamente il proprio difetto di legittimazione passiva riguardo sia alla domanda di rivendicazione della borsa di studio prevista dal D.Lgs. n. 257 del 1991, sia alla domanda di risarcimento danni e l’applicabilità alla relativa pretesa della prescrizione di cui all’art. 2948 c.c., n. 4, con decorso dalla fine di ogni anno del corso di specializzazione.

p. 4. Il Collegio rileva che la struttura della sentenza impugnata impone preliminarmente una premessa.

Essa è giustificata dalla circostanza che parte ricorrente aveva proposto due distinte ed alternative domande, tendenti, però, a rivendicare lo stesso diritto sulla base di una diversa qualificazione giuridica, l’una fondata sulla prospettazione di una responsabilità extracontrattuale per l’inadempimento del diritto comunitario e l’altra sulla diretta rivendicazione dell’estensione del trattamento previsto dal D.Lgs. n. 257 del 1991 in quanto dovuto sul piano comunitario.

La premessa in questione è che, nell’esercizio delle proprie funzioni di garante dell’esatta osservanza della legge, questa Corte deve procedere all’individuazione dell’esatta qualificazione giuridica della vicenda dedotta in giudizio e, quindi, della domanda proposta in relazione ad essa dal ricorrente. A tale esatta qualificazione la Corte può e deve dar corso, perchè sul punto non si è formato alcun giudicato interno, cioè conseguente ad un’espressa decisione in proposito dei giudici di merito, nonchè per la ragione che l’individuazione di essa non suppone alcun accertamento di fatto, precluso in questa sede di legittimità.

Tale operazione di qualificazione la si compie nel solco di quanto questa Sezione della Corte, nell’affrontare la questione della configurazione dell’azione che i medici che avevano frequentato corsi di specializzazione iniziandoli successivamente al 31 dicembre 1982 e anteriormente all’anno 1991-1992, ha di recente ritenuto con le sentenze (sostanzialmente gemelle) nn. 10813, 10814, 10815 e 10816 del 2011. Ai principi con esse affermati, peraltro seguiti dalle altre sentenze su questioni simili successivamente depositate e relative a ricorsi decisi nella stessa udienza del 18 aprile 2011, il Collegio intende, infatti, dare continuità.

Nelle dette decisioni si è anzitutto inteso aderire all’insegnamento delle Sezioni Unite della Corte, di cui a Cass. sez. un. n. 9147 del 2009, circa l’esatta qualificazione e natura normativamente possibile riguardo all’azione esercitata per pretese come quella del ricorrente e circa il termine di prescrizione applicabile. Tale insegnamento, sopravvenuto alla sentenza impugnata e, quindi, non potuto considerare da essa, ha espresso il seguente principio di diritto:

“In caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto – anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria – allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno. Ne consegue che il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non è subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile, restando assoggettata la pretesa risarcitoria, in quanto diretta all’adempimento di una obbligazione ex lege riconducibile all’area della responsabilità contrattuale, all’ordinario termine decennale di prescrizione”.

Accogliendo tale insegnamento le citate sentenze di questa Sezione hanno precisato che “il concetto di responsabilità contrattuale è stato usato dalle Sezioni Unite palesemente nel senso non già di responsabilità che suppone un contratto, ma nel senso – comune alla dottrina in contrapposizione all’obbligazione da illecito extracontrattuale – di responsabilità che nasce dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, considerato dall’ordinamento interno, per come esso deve atteggiarsi secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, come fonte dell’obbligo risarcitorio, secondo la prospettiva scritta nell’art. 1173 c.c.”.

p. 4.1. Ora, come già questa Sezione ha osservato nella sentenza n. 10813 del 2011, sulla falsariga di quanto aveva ritenuto possibile già proprio dalla citata sentenza delle Sezioni Unite, in questa sede si deve procedere alla sostituzione a quelle alterative prospettate dal ricorrente della qualificazione in iure corretta ed adeguata rispetto alla richiesta di tutela giurisdizionale fatta valere dal ricorrente al contenuto sostanziale della domanda proposta dal ricorrente. Il che è possibile in questa sede, perchè i fatti storici posti a base delle due alternative domande del ricorrente ed il petitum di esse e, dunque, il bisogno di tutela giurisdizionale che ha determinato la controversia (rappresentato dal riconoscimento di quanto si sarebbe dovuto conseguire nel caso di adempimento delle direttive in modo che anche la posizione del ricorrente fosse stata contemplata, mentre il quantum invocato e le sue modalità di determinazione non rappresentano certo elementi individuatori del petitum, bensì elementi che individuano solo possibili modalità della sua soddisfazione), non mutano in alcun modo, ma sono soltanto ricondotti da questa Corte al loro corretto referente normativo astratto, nell’esercizio della mera attività di qualificazione in diritto della vicenda e segnatamente della domanda.

Ebbene, una volta qualificato il diritto fatto valere dal ricorrente, che pur prospettato con due qualificazioni e, quindi, domande alternative, non può che essere uno solo, nel modo indicato dalle Sezioni Unite e condiviso dalla giurisprudenza di questa Sezione, si ha che alla stregua di tale qualificazione, che corrisponde all’unico diritto configurabile in relazione alla vicenda concreta giudicata, la prescrizione operante è quella decennale.

p. 4.2. In base a quanto ritenuto da questa Corte nelle citate sentenze nn. 10813, 10814, 10815 e 10816 del 2011 il termine di prescrizione dell’azione esercitata dal ricorrente, una volta così qualificata, è decorso dal 27 settembre 1999.

Invero, nelle dette decisioni, sulla base di un’ampia ricognizione dell’evoluzione della giurisprudenza comunitaria a partire dalla nota sentenza sul caso Emmott, sono stati sanciti i seguenti principi di diritto: “la giurisprudenza della Corte di Giustizia, in tema di azione risarcitoria di diritto interno, da inadempimento di direttiva sufficientemente specifica nell’attribuire ai singoli diritti, ma non self-executing, evidenzia conclusioni certe nel senso: a) la regolamentazione delle modalità, anche quoad termini di decadenza o prescrizione, dell’azione risarcitoria da inadempimento di direttiva attributiva di diritti ai singoli compete agli ordinamenti interni;

b) in mancanza di apposita disciplina da parte degli Stati membri, che dev’essere ispirata ai principi di equivalenza ed effettività, il giudice nazionale può ricercare analogicamente la regolamentazione dell’azione, ivi compresi eventuali termini di decadenza o prescrizione, in discipline di azioni già regolate dall’ordinamento, purchè esse rispettino i principi suddetti e, particolarmente, non rendano impossibile o eccessivamente gravosa l’azione; c) l’applicazione di un termine di prescrizione che così ne risulti, cioè che derivi dal riferimento che il giudice nazionale fa ad una disciplina interna regolamentante altra azione, è possibile comunque solo se essa può considerarsi sufficientemente prevedibile da parte dei soggetti interessati, dovendo, dunque, il giudice nazionale procedere necessariamente a tale apprezzamento; d) l’eventuale termine di prescrizione può decorrere anche prima della corretta trasposizione della direttiva nell’ordinamento nazionale, se il danno, anche solo in parte (è questo il significato del riferimento ai primi effetti lesivi contenuto nella sentenza nella sentenza Danske Slagterier) per questo soggetto si è verificato anteriormente; e) l’applicazione del termine di prescrizione decennale, della quale sopra si è data giustificazione, ove sia apprezzata sotto il profilo della prevedibilità da parte dei soggetti interessati, appare prevedibile, tenuto conto che il termine di prescrizione decennale (di cui all’art. 2946 c.c.) è quello generale e certamente più favorevole rispetto ai termini speciali, più brevi. Risponde, quindi, al principio comunitario di effettività”.

p. 4.3 La sentenza n. 17868 del 2011, deliberata sempre nella udienza del 18 aprile 2011, ma depositata il 31 agosto successivo, ha precisato, inoltre, che la ricostruzione dello stato della giurisprudenza comunitaria fatta dalle citate sentenze gemelle risultava conforme a quanto, successivamente al loro deposito, aveva deliberato la Corte di Giustizia con la sentenza 19 maggio 2011, resa sulla causa C-452, su un rinvio pregiudiziale simile a quello richiesto dal ricorrente, operato dal Tribunale di Firenze (e considerato dalla dette sentenze, le quali avevano escluso, invece, ch’esso fosse necessario ed erano state, peraltro, depositate senza che le parti avessero fatto presente l’imminenza della discussione davanti a quella Corte il 19 maggio 2011 ed in situazione nella quale nel sito della Corte di Giustizia non risultava all’epoca della camera di consiglio e del deposito delle decisioni la calendarizzazione dell’udienza).

p. 4.4. Le citate sentenze gemelle e le altre che vi si sono accodate, dopo la ricognizione della giurisprudenza comunitaria e le conclusioni sulle sue implicazioni, hanno, quindi, affrontato il tema del dies a qua del termine prescrizionale e sono pervenute all’affermazione del seguente principio di diritto: “il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, insorto a favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica negli anni dal 1 gennaio 1983 all’anno accademico 1990-1991 in condizioni tali che se detta direttiva fosse stata adempiuta avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. n. 370 del 1999, art. 11”.

p. 4.5. A precisazione del riportato principio è opportuno qui specificare, per ragioni di nomofilachia, che esso è applicabile anche agli specializzandi che avendo iniziato il corso di specializzazione in anni fino all’anno accademico 1990-1991, non potevano vedere la loro situazione disciplinata dal D.Lgs. n. 257 del 1991, ancorchè parte del corso fosse stato seguito sotto la sua vigenza. Infatti, ai sensi dell’art. 8, comma 2, di tale D.Lgs. le disposizioni di cui all’art. 6 di esso, che aveva attuato tardivamente il diritto comunitario in parte qua le disposizioni del decreto si applicavano a decorrere dall’anno accademico 1991-92, il che comportava che esse fossero applicabili soltanto agli specializzandi che avessero iniziato il corso di specializzazione a decorrere dall’anno accademico de quo e non anche, sia pure per il periodo successivo all’entrata in vigore del D.Lgs., a coloro che avessero iniziato la specializzazione prima di quell’anno accademico e non l’avessero ancora terminata. In pratica la situazione di costoro rimase priva di disciplina statuale attuativa del diritto comunitario non diversamente da quella degli specializzandi che avessero frequentato corsi terminati nell’anno accademico 1990-1991.

Ne deriva che il principio di diritto sopra riportato va così riespresso: “il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, insorto a favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica iniziati negli anni dal 1 gennaio 1983 all’anno accademico 1990-1991 in condizioni tali che se detta direttiva fosse stata adempiuta avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. n. 370 del 1999, art. 11”.

p. 5. L’esame dei motivi di ricorso principale dev’essere, a questo punto, condotta sulla base dell’applicazione alla fattispecie di cui è processo dell’esatta qualificazione del diritto fatto valere dal ricorrente alla luce della richiamata giurisprudenza.

p. 5.1. Poichè il quarto motivo fa valere la pretesa irritualità dell’eccezione di prescrizione formulata dal Ministero ed il dodicesimo l’irritualità dell’esame della questione di prescrizione per non essere state considerate le eccezioni formulate nella memoria ai sensi dell’art. 183 del qui ricorrente, essi vanno esaminati per primi.

Entrambi i motivi, per quanto attiene alla indicazione delle norme di diritto violate, sono privi di pertinenza rispetto alla censura che prospettano: essa avrebbe dovuto proporsi – ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c. – come violazione dell’art. 112 c.p.c., mentre con il quarto motivo si è denunciata la violazione degli artt. 2938 e 2947 c.c. e con il dodicesimo vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. (là dove, invece, non viene in rilievo alcun vizio della sentenza rispetto alla ricostruzione della c.d.

quaestio facti).

I due motivi sono, pertanto inammissibili.

p. 5.1.1. Comunque, se pure i due motivi fossero stati dedotti adeguatamente sotto il profilo della indicazione della norma violata, l’assunto che li accomuna, cioè che, di fronte alla invocazione da parte dell’eccipiente della prescrizione con specifico riferimento ad un paradigma normativo il giudice non possa individuare il paradigma giusto, avendo quel potere solo in presenza di un’eccezione generica, sarebbe stato privo di fondamento: è sufficiente rimandare, ex multis e da ultimo, a Cass. n. 21752 del 2010, secondo cui “In tema di prescrizione estintiva, l’elemento costitutivo della relativa eccezione è l’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio e la manifestazione della volontà di profittare dell’effetto ad essa ricollegato dall’ordinamento, mentre la determinazione della durata della predetta inerzia, al pari delle norme che la disciplinano, rappresenta una mera quaestio juris, la cui identificazione spetta al potere-dovere del giudice, previa attivazione del contraddittorio sulla relativa questione; ne consegue che non incorre nelle preclusioni (nella specie, ex artt. 416 e 437 cod. proc. civ.) la parte che, proposta originariamente un’eccezione di prescrizione quinquennale (in materia di interessi su somme tardivamente corrisposte a titolo di pensione di invalidità civile), invochi nel corso del giudizio la prescrizione ordinaria decennale, o viceversa”.

p. 5.2. L’esame del primo, secondo, terzo e quinto motivo, tutti diretti a contestare la verificazione della prescrizione, giustifica, al lume della qualificazione corretta dell’azione in causa, il loro accoglimento sulla base di quest’ultima e comporta la cassazione della sentenza impugnata sul punto in cui ha ritenuto prescritta l’azione (pur qualificata come da illecito extracontrattuale), perchè l’applicazione del termine di prescrizione decennale del diritto fatto valere dal ricorrente e qualificato invece nei termini risultanti dalla ricordata giurisprudenza evidenzia che il diritto non era prescritto all’atto dell’inizio dell’azione giudiziale (senza nemmeno che occorra fare riferimento alla richiesta stragiudiziale pregressa, a quel che sembra inviata al Ministero).

p. 6. Il Collegio ritiene che a questo punto restino assorbiti i motivi sesto, settimo, ottavo, nono e decimo, poichè essi si rivolgono contro la parte della sentenza impugnata relativa alla domanda di riconoscimento di quanto previsto dal D.Lgs. n. 257 del 1991. Tale parte, alla luce della qualificazione dell’azione nel senso qui ritenuto sulla base della richiamata giurisprudenza, si intende caducata di riflesso anch’essa – come quella relativa alla illegittima declaratoria della prescrizione dell’azione aquilina – perchè, una volta accertato che quelle qualificazione è l’unica possibile, i ragionamenti svolti dalla sentenza impugnata con riferimento alla qualificazione dell’azione prospettata in via alternativa dal ricorrente costituiscono parte della sentenza dipendente da quella di cui si è disposta la cassazione: si tratta, infatti, di ragionamenti che hanno come presupposto una qualificazione dell’azione, ancorchè alternativamente prospettata dal ricorrente, che non solo confligge con quella individuata da questa Corte, ma che è anche priva di interesse per il medesimo.

p. 6.1. Tuttavia, al fine di evitare che il giudice del rinvio, nel procedere alla decisione della controversia sulla base della qualificazione del diritto oggetto della lite qui ritenuta valida, conforme a Cass. sez. un. n. 9147 del 2009 ed alla ricordata giurisprudenza di cui alle sentenze “gemelle”, reiteri le valutazioni censurate con i detti motivi a proposito di essa, il Collegio ritiene necessario ed opportuno, a fini di nomofilachia, precisare le linee sulla base delle quali il giudice di rinvio dovrà procedere nell’individuare quello che le Sezioni Unite hanno riconosciuto come danno originante da una responsabilità contrattuale (nel senso precisato dalle citate sentenze “gemelle” di questa Sezione) per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato di adempiere le direttive comunitarie sufficientemente specifiche – come nella specie da individuare una posizione di diritto dei singoli.

In proposito è necessario precisare quanto segue:

a) il danno del singolo che lo Stato è tenuto a risarcire ha come fatto costitutivo la sussumibilità della sua posizione nell’ambito di quelle riguardo alle quali doveva avvenire l’adempimento delle direttive comunitarie di cui trattasi;

b) le direttive di cui trattasi e segnatamente quella c.d. di coordinamento, cioè la direttiva 75/363/CEE, come modificata dalla direttiva 82/76/CEE nei suoi art. 2, n. 1 e 3, corredati del relativo allegato, imponevano allo Stato Italiano, in relazione alle specializzazioni contemplate nell’elenco dell’art. 5, n. 2 e 7, n. 2 della direttiva c.d. di riconoscimento (direttiva 75/362/CEE) – rispettivamente concernenti le specializzazioni che erano comuni a tutti gli Stati membri e quelle comuni a due o più fra di essi – di assicurare lo svolgimento del corso di specializzazione secondo quanto previsto in detti artt. 2, n. 1 e 3 e nel relativo allegato, che constava di un punto 1, concernente la formazione a tempo pieno e di un punto 2, riguardante la formazione a tempo parziale;

c) i corsi di specializzazione ricadenti nei citati artt. 5, n. 2 e 7 n. 2, a seguito della scadenza del termine di adempimento delle direttive (31 dicembre 1982) potevano, dunque, essere conformi al diritto comunitario soltanto se organizzati in uno dei due modi indicati nell’allegato;

d) ne discende che i medici iscritti ai corsi di specializzazione dall’anno 1983-84, la cui specializzazione ricadeva negli elenchi di cui a quelle norme, non essendo state le direttive adempiute, si vennero a trovare tutti, per il sol fatto della frequenza dei corsi, in una situazione nella quale venivano disconosciuti i diritti che loro sarebbero spettati per effetto dell’adempimento statuale e, quindi, in una posizione tale da risentire il danno derivante dalla loro mancata acquisizione;

e) i diritti disconosciuti erano rappresentati, sia dal non poter conseguire il diploma in modo certificato ai fini comunitari (e, quindi, in modo da poterlo utilizzare in ambito comunitario fuori dall’Italia), sia per quello che qui interessa – dalla negazione dell’adeguata remunerazione, prevista tanto per il caso di formazione a tempo pieno, quanto per il caso di formazione a tempo parziale, rispettivamente dall’ultimo inciso del comma 2 del punto 1 e dal comma 3 del punto 2 dell’allegato;

f) la negazione di tali diritti per l’inadempimento statuale ha determinato l’obbligo risarcitorio contrattuale ex le gè dello Stato Italiano;

g) tale negazione si configura come danno evento conseguente all’inadempimento delle direttive, nel senso che si tratta di una perdita sofferta dagli specializzandi, i quali, se l’adempimento vi fosse stato avrebbero potuto seguire i corsi di specializzazione organizzati nei termini voluti dal diritto comunitario e conseguire i suddetti diritti;

h) è da tale evento dannoso, del quale lo Stato Italiano è tenuto a rispondere a prescindere da colpa (come affermarono le Sezioni Unite nella sentenza n. 9147 del 2009), che da luogo all’obbligo risarcitorio di natura contrattuale (nel senso indicato dalle sentenze “gemelle”).

p. 6.2. Ora, rimanendo sul piano della lesione del diritto alla consecuzione dell’adeguata remunerazione, lo specializzando che azionava l’obbligo risarcitorio doveva dimostrare esclusivamente di avere frequentato – con iscrizione collocantesi a far tempo dall’anno accademico 1983-1984 fino a quello 1990-1991 – un corso di specializzazione comune a tutti gli Stati membri e, quindi, rientrante nell’elenco di cui al citato art. 5, n. 2, o ad almeno due o più fra essi e, quindi, rientrante nell’elenco di cui al citato art. 7, n. 2. Poichè la frequenza di tali corsi in mancanza dell’adeguamento alle direttive si concretava nella impossibilità di conseguire l’adeguata remunerazione, egli, nell’individuare e provare la pretesa risarcitoria conseguente all’inadempimento statuale non aveva altro onere che dimostrare detta frequenza. Essa, congiunta all’inadempimento statuale per come sopra indicato, integrava i fatti costituivi dell’obbligo risarcitorio dello Stato nei termini indicati dalla sentenza n. 9147 del 2009 e, quindi, della relativa domanda.

Viceversa, il concreto svolgimento del corso di specializzazione, secondo modalità di fatto corrispondenti al tempo pieno nei termini indicati dal comma 2 del punto 1 dell’allegato oppure secondo modalità corrispondenti al tempo ridotto nei termini indicati al comma 1 del punto 2, non poteva assurgere a fatto costitutivo dell’obbligo risarcitorio, per l’assorbente ragione che l’obbligo risarcitorio discende dal non avere provveduto lo Stato italiano ad organizzare in iure i corsi di specializzazione secondo l’una o l’altra modalità. Onde, non si comprende come ad una situazione di fatto, quella relativa allo svolgimento concreto del corso di specializzazione, si possa attribuire il valore di fatto costitutivo dell’obbligo risarcitorio e, quindi, del relativo diritto.

La frequenza in concreto di un corso di specializzazione con modalità non riconducibili nè a quelle a tempo pieno nè a quelle a tempo ridotto, d’altro canto, non potrebbe assumere nemmeno il valore di fatto impeditivo dell’insorgenza del diritto al risarcimento del danno, per l’assorbente ragione che essa di norma dipenderebbe da un fatto addebitabile allo Stato, il quale, in relazione al concreto corso di specializzazione di cui si tratti, non aveva assicurato lo svolgimento o secondo la modalità a tempo pieno o secondo la modalità a tempo parziale. Al riguardo va rilevato che fino all’entrata in vigore della riforma di cui alla L. 9 maggio 1989, n. 168, le università erano enti statali e successivamente competeva allo Stato legislatore dettare le regole interne di adeguamento alle note direttive. Si potrebbe semmai ipotizzare che, qualora lo svolgimento del corso di specializzazione fosse stato organizzato in concreto – secondo la legislazione vigente all’epoca – in modo tale da consentire allo specializzando di seguirlo o con modalità a tempo pieno o con modalità a tempo parziale o con modalità minori rispetto anche a quest’ultimo, l’avere lo specializzando scelto di seguirlo secondo la terza opzione concessa potrebbe assumere il carattere di fatto impeditivo dell’insorgenza del diritto al risarcimento.

Anche se occorrerebbe valutare che tale scelta sarebbe stata resa possibile proprio a cagione dell’inadempimento statuale all’obbligo di organizzare i corsi secondo le modalità a tempo pieno o parziale.

Poichè per tali corsi erano obbligatorie modalità organizzative a tempo pieno o a tempo parziale con adeguata remunerazione l’obbligo risarcitorio si ricollega, infatti, al non averle assicurate. Lo Stato risponde, cioè, proprio per non averle assicurate.

Ne deriva che allo specializzando attore che fa valere la pretesa all’adempimento dell’obbligo statuale ex lege di risarcire il danno da mancata attuazione delle direttive competeva e compete solo dimostrare di trovarsi in una situazione rispetto alla quale la direttiva doveva essere adempiuta e tale situazione, rappresentante il fatto costitutivo del danno da lui lamentato (perdita dei diritti che gli sarebbero spettati nel caso di adempimento della direttiva), inteso nel senso di c.d. danno evento, è data dalla mera frequenza di un corso ricadente nei due elenchi.

Le concrete modalità di svolgimento del corso potrebbero, in realtà, venire in rilievo solo quali circostanze rilevanti ai fini della quantificazione del risarcimento del danno, nel senso che quest’ultimo non può essere riconosciuto nella stessa misura allo specializzando che frequentò un corso con modalità simili a quelle a tempo pieno e ad uno specializzando che lo frequentò con modalità simili a quelle tempo parziale o addirittura minori rispetto a queste ultime. Ma ciò solo se la scelta dell’una piuttosto che dell’altra opzione sia dipesa dallo specializzando, che, avendo possibilità di optare per l’una o per l’altra in relazione alla circostanza che il corso era organizzato con due modalità, abbia preferito l’opzione a tempo parziale anzichè quella a tempo pieno. Se invece il corso era organizzato solo con modalità in fatto corrispondenti al tempo parziale, la negazione della possibilista di scelta evidenzia che lo specializzando perse – in ragione dell’inadempimento statuale – il diritto alla frequenza del corso a tempo pieno e, quindi, le corrispondenti utilità, in primis la remunerazione adeguata al tempo pieno.

Le circostanze relative allo svolgimento in concreto del corso saranno, però, deducibili e dimostrabili al fine di determinare il danno risarcibile dallo Stato, tenuto conto che l’organizzazione del corso di specializzazione seguito dallo specializzando era all’epoca dipendente in astratto dallo stato della legislazione statuale non rispettosa del diritto comunitario ed in concreto dalla scelta seguita nell’organizzazione del corso dalla singola università.

p. 6.3. Da quanto osservato consegue che il giudice di rinvio non potrà, come ha fatto la Corte d’appello nella sentenza impugnata – sia pure nella prospettiva della qualificazione dell’azione come diretta a rivendicare la diretta attribuzione dei benefici del D.Lgs. n. 257 del 1991 – addebitare al ricorrente di non avere provato le modalità di svolgimento del corso.

p. 7. Deve procedersi a questo punto, dovendo la sentenza impugnata essere cassata, all’esame del ricorso incidentale condizionato dell’Università.

E’ fondato il primo motivo di tale ricorso, con cui ci si duole che la Corte d’Appello – nel dare rilievo alla prescrizione quanto alla domanda risarcitoria ed alla mancata dimostrazione delle condizioni relative allo svolgimento del corso quanto a quella di riconoscimento dei diritti di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991 – abbia omesso di pronunciarsi sull’eccezione di difetto di legittimazione passiva proposta fin dal primo grado di giudizio dall’Università, riguardo sia alla domanda di riconoscimento dei diritti di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, sia alla domanda risarcitoria. Eccezione che era stata disattesa dal primo giudice e riproposta con appello incidentale dall’Università.

La fondatezza del motivo emerge perchè, nella qualificazione della domanda qui ritenuta corretta alla stregua di Cass. sez. un. n. 9147 del 2009 e delle sentenze gemelle) e che corrisponde all’unico diritto configurabile in relazione alla vicenda, la legittimazione passiva in senso sostanziale all’azione di risarcimento danni basata sull’obbligo insorto per effetto dell’inadempimento statuale quale altro fatto rilevante ai sensi dell’art. 1173 c.c., compete allo Stato Italiano e non, nemmeno concorrentemente, alle Università presso le quali la specializzazione venne acquisita. Al riguardo, proprio nella logica di qualificazione della domanda seguita dalle Sezioni Unite questa Corte si è già pronunciata con la sentenza n. 22440 del 2009, nonchè in una delle sentenze gemelle, precisamente nella sentenza n. 10814 del 2011. A tali decisioni è sufficiente rinviare.

La sentenza impugnata va, conseguentemente cassata sul punto in cui ha invece ritenuto sussistente la legittimazione dell’Università ricorrente, sia pure nella logica della diversa qualificazione dell’azione che ha seguito.

Poichè non occorrono accertamenti di fatto per decidere nel senso della insussistenza della legittimazione sostanziale dell’Università, la domanda proposta nei confronti di essa può, però, essere decisa nel merito e senz’altro rigettata, senza che debba farsi luogo a rinvio.

Il secondo motivo del ricorso incidentale resta assorbito.

p. 8. La sentenza impugnata, quanto invece al rapporto processuale fra il ricorrente ed il Ministero resistente dev’essere cassata con rinvio in accoglimento per quanto di ragione del primo, secondo, terzo e quinto motivo. Il quarto ed il dodicesimo motivo sono dichiarati inammissibili. Gli altri motivi del ricorso principale sono dichiarati assorbiti.

p. 9. Il giudice di rinvio si designa in altra Sezione della Corte d’appello di Roma, che deciderà comunque in diversa composizione anche sulle spese di questo giudizio di cassazione riguardo al rapporto fra ricorrente e Ministero resistente.

Dovendosi provvedere sulle spese di tutti i gradi di giudizio quanto al rapporto fra ricorrente e Università, il Collegio ritiene che l’oggettiva notoria incertezza della vicenda di cui è processo giustifichi l’integrale compensazione delle stesse. La compensazione è disposta per la stessa ragione anche nel rapporto fra Università e Ministero: quest’ultimo, infatti, ha resistito al ricorso incidentale, onde deve provvedersi anche sul relativo rapporto.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibili il quarto ed il dodicesimo motivo del ricorso principale. Accoglie per quanto di ragione il primo, il secondo, il terzo ed il quinto motivo di tale ricorso. Assorbiti gli altri motivi. Cassa con rinvio, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata quanto al rapporto fra ricorrente principale e Ministero resistente. Rinvia ad altra Sezione della Corte d’appello di Roma, che deciderà comunque in diversa composizione anche sulle spese del giudizio di cassazione. Accoglie il primo motivo del ricorso incidentale condizionato dell’Università. Dichiara assorbito il secondo. Pronunciando nel merito sul rapporto processuale fra ricorrente principale ed Università rigetta la domanda del M. nei confronti di quest’ultima. Compensa riguardo a tale rapporto processuale ed a quello fra Università e Ministero le spese di tutti i gradi di giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 14 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2011

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