Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2357 del 03/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 03/02/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 03/02/2021), n.2357

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24652-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

LANTERNA GIOCHI SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 490/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LIGURIA, depositata il 26/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ENZA

LA TORRE.

 

Fatto

RITENUTO

che:

L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR della Liguria, indicata in epigrafe, che in controversia su impugnazione da parte Lanterna giochi srl di avviso di accertamento per IRES e Irap anno 2008, per ricavi non contabilizzati, ha accolto l’appello della società.

La CTR ha ritenuto fondato il motivo di impugnazione proposto sulla mancanza di un preventivo verbale di constatazione, in violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, necessario per consentire al contribuente di far valere le proprie ragioni prima dell’emissione del provvedimento impositivo e sanzionatorio; rilevava la mancata dimostrazione dei motivi di particolare urgenza che avrebbero potuto giustificare l’emissione immediata del provvedimento sanzionatorio (dichiarava poi assorbito il secondo motivo dell’appello, sulla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, non avendo l’Agenzia prodotto la delega del direttore dell’Ufficio al funzionario firmatario).

La società è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con l’unico motivo del ricorso si deduce violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, e della L. n. 4 del 1929, art. 24, ex art. 360 c.p.c., n. 3.

La ricorrente Agenzia delle entrate premette che la contribuente era stata invitata a produrre la documentazione contabile e fiscale, relativa a tributi non armonizzati, per l’anno 2008, con riferimento anche ai rapporti instaurati con i concessionari di rete; e che dall’esame dei prospetti della società risultava una somma complessiva che rappresentava i ricavi derivanti dall’attività di gestione degli apparecchi, somma che erroneamente era stata contabilizzata fra i costi. Dal controllo incrociato e dalla documentazione prodotta emergeva pertanto una differenza, data dai ricavi non contabilizzati, oggetto dell’accertamento impugnato.

Il motivo è fondato, mancando il presupposto di applicabilità della norma (L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7), che prevede la necessità del contraddittorio solo in caso di accertamento a seguito di accessi, ispezioni e verifiche nei locali del contribuente, trattandosi nella fattispecie di accertamento c.d. a tavolino, per il quale non è irragionevole la disparità di trattamento in relazione al diverso grado di intrusione nella sfera privata del contribuente (questione dichiarata inammissibile da Corte Cost. n. 187/2017).

Le Sezioni Unite di questa Corte – nell’affermare che, in tema di tributi non armonizzati, “non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino” – hanno ribadito l’orientamento maggioritario già formatosi in materia, secondo cui le garanzie fissate nella L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente. Ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che l’operazione abbia o meno comportato constatazioni di violazioni fiscali (Cass. n. 15010/14; 9424/14, 5374/14, 20770/13, 10381/14), rilevando che nel senso indicato militano univocamente il dato testuale della rubrica (“Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali) e, soprattutto, quello della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 1, (coniugato con la circostanza che l’intera disciplina contenuta nella disposizione risulta palesemente calibrata sulle esigenze di tutela del contribuente in relazione alle visite ispettive subite in loco) che, esplicitamente si riferisce agli “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”. Quanto detto trova conferma anche in considerazione anche delle peculiarità di dette verifiche, in quanto caratterizzate dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca, quivi, di elementi valutativi a lui sfavorevoli: peculiarità, che specificamente giustifica, quale controbilanciamento, il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali (SS.UU. n. 24823/15 cit., seguita da successive delle sezioni semplici, fra le quali, Cass. n. 6219 del 14/03/2018, Cass. n. 20036/2018).

Risulta peraltro dalla sentenza impugnata, e non contestato, che la società ha prodotto documentazione contabile e fiscale a seguito di notifica di invito da parte dell’Ufficio, così mettendo il contribuente in condizione di prevenire o delimitare l’azione accertativa, senza tuttavia che tale invito possa modificare la tipologia di accertamento, che resta un accertamento c.d. a tavolino (v. Cass. n. 6219/18 cit., Cass. 8246/2018; Cass. 18103/2018, Cass. n. 20036/2018).

Quanto al mancato rispetto del termine dilatorio, va ribadito che per i tributi cd. “non armonizzati” (come nella fattispecie, in cui si verte in tema di Irpef, Irap) il termine dilatorio di 60 giorni previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, si applica solo ai casi espressamente contemplati di accesso, ispezione o verifica nei locali del contribuente, e non anche agli accertamenti cd. “a tavolino”, effettuati cioè in Ufficio, in base a notizie e documenti acquisiti presso terzi o fornite dal contribuente mediante questionari o colloqui, in tal senso militando sia il dato testuale della norma che le peculiarità delle verifiche in loco (Cass. SU 24823/15, n. 15744/16, n. 24199/16, n. 24368/16; n. 24386/17; n. 27420 del 29/10/2018).

La sentenza impugnata è univocamente difforme da tali principi di diritto, essendo del tutto pacifico che quello in questione è un avviso di accertamento emesso “a tavolino”, non essendovi stato alcun previo accesso presso i locali di esercizio dell’attività della contribuente.

Il ricorso va conseguentemente accolto e la sentenza cassata con rinvio alla CTR della Liguria, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Liguria, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2021

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