Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23567 del 27/10/2020

Cassazione civile sez. I, 27/10/2020, (ud. 07/07/2020, dep. 27/10/2020), n.23567

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10504/2016 proposto da:

M.V., quale erede di M.A., elettivamente

domiciliato in Roma, Largo Gerolamo Belloni n. 4, presso lo studio

dell’avvocato Polisini Nicola, rappresentato e difeso dagli avvocati

Caruso Giovanni, Decima Lucia, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca di Credito Cooperativo Piove di Sacco – Società Cooperativa,

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via F. Confalonieri n. 5, presso lo studio

dell’avvocato Manzi Andrea, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Maggiolo Marcello, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 720/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 18/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/07/2020 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato il 14 giugno 2004 M.A. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Padova Banca di Credito Cooperativo Piove di Sasso soc. coop. chiedendo che venisse dichiarato nullo o annullato un ordine di acquisto di obbligazioni della Repubblica Argentina impartito il 28 dicembre 2000 e che gli venisse restituito l’importo di Euro 24.821,61, oltre che risarcito il danno; in subordine chiedeva che fosse accertata la responsabilità della convenuta a norma dell’art. 1176 c.c. e che la stessa venisse condannata al risarcimento del danno, pari alle somme impiegate per l’acquisto. Deduceva che per la sua età avanzata e l’inesperienza totale in materia finanziaria, egli non aveva compreso la natura e i possibili rischi dell’operazione rispetto alla quale era mancata una adeguata informazione.

Costituitasi in giudizio, la banca deduceva, tra l’altro, che l’attore già nel dicembre 1997 aveva acquistato bond argentini e che, alla scadenza di tali titoli, soddisfatto dell’investimento, aveva inteso rinnovarne l’acquisto tramite l’ordine oggetto di causa: avvisato che nel frattempo il titolo obbligazionario in questione aveva subito un downgrading e costituiva, in quel momento, un prodotto più rischioso, egli aveva nondimeno insistito per concludere l’acquisto, sottoscrivendo il modulo recante l’avvertimento circa l’inadeguatezza dell’operazione finanziaria.

Il Tribunale respingeva le domande proposte.

2. – L’impugnazione spiegata da M. avverso la pronuncia di primo grado veniva rigettata dalla Corte di appello di Venezia con sentenza del 18 marzo 2015. Osservava il giudice distrettuale che l’appellante, contrariamente a quanto sostenuto nell’atto introduttivo del giudizio, aveva pratica di investimenti finanziari internazionali, avendo riscosso le cedole relative ai titoli acquistati in precedenza; rilevava che, in occasione dell’acquisto del 2000, l’istante era stato informato dalla banca del fatto che l’operazione risultava essere per lui inadeguata e che, ciononostante, il medesimo aveva comunque disposto darsi corso all’operazione; la Corte di appello sottolineava, poi, come i termini dell’interlocuzione della banca con l’investitore, con specifico riguardo al tema dell’inadeguatezza dell’investimento, trovasse conferma nelle risultanze dell’istruttoria testimoniale espletata.

3. – Avverso la pronuncia della Corte veneta M. ha proposto un ricorso per cassazione articolato in tre motivi, illustrato da una memoria che risulta però pervenuta tardivamente. Resiste con controricorso la nominata Banca di Credito Cooperativo, che pure ha sottoposto alla Corte una memoria.

Il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 21, lett. a) e b), t.u.f., nonchè dell’art. 28, comma 2 e art. 29 reg. Consob n. 11522/1998 e dell’art. 1176 c.c.. Rileva il ricorrente che in occasione dell’investimento del 4 dicembre 1997 in titoli obbligazionari argentini, la banca non aveva fornito alcuna informazione sull’operazione da eseguirsi e che esso istante – pensionato di 67 anni con un’istruzione limitata alla seconda elementare – era stato ritenuto un investitore esperto; deduce, al riguardo, come, ai fini del giudizio circa l’adempimento dell’intermediario agli obblighi informativi, sia irrilevante il fatto che l’investitore si sia in precedenza cimentato in altre operazioni finanziarie. Aggiunge che la Corte di merito aveva errato nel ritenere soddisfatto l’obbligo informativo da parte dell’istituto di credito attraverso la segnalazione di inadeguatezza dell’operazione finanziaria: oppone, in proposito, che il documento da lui sottoscritto non recava l’indicazione delle ragioni per le quali la banca riteneva l’operazione stessa inadeguata.

Col secondo motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2725 c.c., in relazione all’art. 29, comma 3, reg. Consob n. 11522/1998. Ricorda il ricorrente di aver eccepito l’inammissibilità della prova testimoniale poi esperita rilevando come le circostanze che il testimone avrebbe dovuto riferire andavano provate per iscritto, a mente del cit. art. 29, comma 3. Osserva, in proposito, che il modulo sottoscritto da esso ricorrente non riproduceva le avvertenze ricevute, che invece dovevano essere esplicitate per iscritto, ovvero registrate, e che la carenza documentale non poteva essere superata a mezzo della prova testimoniale. Deduce infine che, ove pure la deposizione testimoniale fosse ammissibile, la Corte di merito non avrebbe potuto ritenerla determinante dal momento che nel documento firmato da esso istante non risultava precisato il rischio cui egli andava incontro.

I due motivi possono scrutinarsi congiuntamente, in ragione dei profili di connessione che evidenziano, e non sono fondati.

Nelle azioni risarcitorie proposte dall’investitore la giurisprudenza fa da tempo applicazione di un principio che è comune a tutte le azioni in cui si faccia questione del danno da inadempimento contrattuale: viene cioè affermato che l’investitore ha l’onere di allegare l’inadempimento delle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione da parte dell’intermediario, mentre quest’ultimo ha l’onere di provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte e, sotto il profilo soggettivo, di aver agito con la specifica diligenza richiesta (Cass. 24 maggio 2019, n. 14335; in tal senso pure: Cass. 19 gennaio 2016, n. 810; Cass. 6 marzo 2015, n. 4620; Cass. 29 ottobre 2010, n. 22147; Cass. 17 febbraio 2009, n. 3773): coerentemente ai principi propri della responsabilità contrattuale, il giudice di merito, per assolvere l’intermediario finanziario dalla responsabilità conseguente alla violazione degli obblighi informativi previsti dalla legge, non può limitarsi ad affermare che manchi la prova della sua negligenza ovvero dell’inadempimento, ma deve accertare se sussista effettivamente la prova positiva della sua diligenza e dell’adempimento delle obbligazioni poste a suo carico (così Cass. 15 marzo 2016, n. 5089; Cass. 19 ottobre 2012, n. 18039).

A monte di tale onere probatorio, si delinea, in capo all’investitore, il richiamato onere di allegazione quanto all’inadempimento dell’intermediario alle obbligazioni che a questo fanno capo (segnatamente agli obblighi informativi): affermazione ineludibile a mente del fondamentale insegnamento di Cass. Sez. U. 30 ottobre 2001, n. 13533. Tale onere trova del resto giustificazione, sul piano logico, in due rilievi: anzitutto tale allegazione è necessaria al fine di consentire alla banca di provare il proprio adempimento (prova che va rapportata alle informazioni che l’investitore assume di non aver ricevuto; in secondo luogo, un tale onere è da correlare a quello concernente la prova del nesso di causalità (prova che si basa su di un giudizio controfattuale: e cioè sulla verifica, in base all’id quod plerumque accidit, che l’investitore, ove adeguatamente informato, avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole). L’onere di allegazione investe, per queste ragioni, informazioni specifiche: l’investitore che lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario ha cioè l’onere di allegare specificamente l’inadempimento di tali obblighi, mediante la pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrare (Cass. 24 aprile 2018, n. 10111).

Ora, il ricorrente ha lamentato, con la prima censura del primo motivo, che la banca avrebbe mancato di fornire alcuna informazione sull’investimento da eseguirsi (quello relativo ai titoli argentini acquistati il 28 dicembre 2000), ma la circostanza è smentita da due dati: il ricorrente era stato reso in precedenza edotto, su di un piano generale, dei rischi insiti in investimenti quale quello che si accingeva a porre in atto (avendo proceduto all’acquisto di titoli argentini nel 1997) (cfr. sentenza, pag. 11); a M. era stato specificamente rappresentato, da parte del funzionario della banca, escusso con la prova testimoniale, che l’emittente del titolo – lo Stato argentino – era stato declassato dalle agenzie di rating ed esisteva il concreto rischio di un prossimo default del medesimo (cfr. sentenza, pagg. 9 s.). L’istante, pur avendone l’onere, secondo quanto sopra ricordato, non ha d’altro canto precisato di aver allegato, nel corso del procedimento, le ulteriori informazioni che avrebbe dovuto ricevere dall’intermediario con riferimento all’operazione in questione (così da consentire alla banca di darne prova).

Quanto osservato vale ad escludere che in questa sede lo stesso ricorrente possa dolersi di un inadempimento della controparte agli obblighi informativi di cui all’art. 28, comma 2, reg. Consob n. 11522/1998.

Considerazioni del tutto analoghe a quelle da ultimo svolte vanno formulate con riguardo al diverso tema della segnalazione di inadeguatezza, contemplata dall’art. 29, comma 3, reg. Consob cit..

L’esonero della banca dalla responsabilità in cui essa incorre per dare esecuzione ad un ordine inadeguato non dipende dalla semplice conferma scritta del cliente (o dalla registrazione dell’ordine, se impartito telefonicamente), rilevando, piuttosto, che il giudizio di inadeguatezza espresso dall’intermediario segua a una chiara esplicitazione delle ragioni che sconsigliano l’operazione. In base dell’art. 29, citato comma 3, infatti, gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. In tal senso, è stato rilevato che solo in presenza di un preciso riscontro quanto all’adempimento di siffatto obbligo informativo si possa ritenere che quella di voler dare corso all’operazione costituisca una scelta libera e consapevole del cliente (così Cass. 6 agosto 2014, n. 17726, non massimata): tale, cioè, da giustificare l’esclusione della responsabilità dell’intermediario.

Ebbene, secondo la giurisprudenza di questa Corte, cui si vuole dare continuità, la segnalazione di inadeguatezza contemplata dal cit. art. 29, comma 3, laddove si riferisce ad “esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”, non richiede l’indicazione del contenuto delle informazioni al riguardo somministrate dall’intermediario; in mancanza di indicazione del contenuto delle informazioni omesse, la sottoscrizione da parte del cliente della segnalazione di inadeguatezza non incide sul riparto del relativo onere di allegazione e prova, nè tantomeno costituisce prova dell’adempimento, da parte dell’intermediario, dell’obbligo informativo posto a suo carico, ma fa soltanto presumere che l’obbligo sia stato assolto, sicchè, ove il cliente alleghi quali specifiche informazioni siano state omesse, grava sull’intermediario l’onere di provare, con ogni mezzo, che invece quelle informazioni siano state specificamente rese, ovvero non fossero dovute (Cass. 24 aprile 2018, n. 10111 cit.; nel medesimo senso, Cass. 6 giugno 2016, n. 11578).

Per un verso, dunque, va disattesa la doglianza basata sull’inammissibilità della prova testimoniale esperita (attraverso cui è stato accertato quali fossero le motivazioni, prospettate dall’intermediario, poste a fondamento della rilevata inadeguatezza dell’investimento: e cioè il downgrading dello Stato argentino e il rischio di default del medesimo). Per altro verso, è escluso che il ricorrente possa qui lamentare una carente rappresentazione, da parte dell’intermediario, delle ragioni che, in concreto, sconsigliavano l’operazione, giacchè lo stesso M. non deduce di aver allegato, nel corso del giudizio di merito, che, nell’evenienza occorsa, la banca avesse dovuto fornirgli talune (ulteriori) informazioni, specificamente individuate.

Va aggiunto che, proprio in quanto non è necessaria l’esplicitazione scritta delle regioni di inadeguatezza dell’operazione, prospettata come non opportuna per l’investitore, non ha fondamento la censura, svolta nell’ultima parte del secondo motivo di ricorso, con cui M. si duole dell’improprio rilievo che la Corte di appello avrebbe conferito alla deposizione testimoniale raccolta. La deduzione è, del resto, e sotto altro riflesso, del tutto priva di decisività: come si è detto, infatti, è solo a fronte della contestazione del cliente, il quale alleghi l’omissione di specifiche informazioni ex art. 29, comma 3, del reg. Consob n. 11522 del 1998, che grava sulla banca l’onere di provare, con qualsiasi mezzo, di averle specificamente rese; per conseguenza, ove pure volesse prescindersi dalla prova positiva circa i ragguagli in proposito forniti verbalmente al cliente dalla banca, l’inadempimento di questa sarebbe da escludere in un caso come quello in esame, in cui non è stata puntualmente dedotta, da parte dell’investitore, la suddetta omissione.

2. – Il terzo mezzo prospetta il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 per violazione dell’art. 28, comma 1, art. 29, comma 2, reg. Consob n. 11522/1998 e dell’art. 21, lett. a) e lett. b), t.u.f.. Secondo il ricorrente la Corte di appello non avrebbe tenuto in considerazione la propria situazione personale finanziaria, avendo particolare riguardo al fatto che egli era un pensionato di 67 anni, che aveva svolto il lavoro di muratore, che aveva una scolarità limitata, che non aveva mai avuto un conto corrente e che aveva investito nell’operazione del 28 dicembre 2000 tutto il denaro che possedeva.

Il motivo è inammissibile.

Dalla sentenza impugnata risulta che il giudice distrettuale ha ritenuto assorbente quanto accertato in ordine alla pregressa esperienza del ricorrente in titoli esteri e quanto alle elargite informazioni con riguardo alla situazione gravemente incerta che riguardava l’emittente, sconsigliando, proprio per tali ragioni, l’investimento. In tal senso, il denunciato omesso esame risulta investire fatti non decisivi. Tale conclusione va ribadita in base all’ulteriore rilievo per cui il ricorrente non deduce di aver ottemperato, nel giudizio di merito, al proprio onere di allegazione, precisando quali specifiche informazioni, diverse da quelle di cui si è tratto riscontro, avrebbe dovuto ricevere nella contingenza che interessa; sicchè egli finisce per opporre alla sentenza impugnata l’astratto richiamo di aspetti della propria situazione e della propria vicenda personale, pretendendo di raccordare tali elementi a un inadempimento che risulta però privo di contorni sufficientemente definiti: tale, quindi, da non poter essere preso in considerazione ai presenti fini.

3. – In conclusione, il ricorso è respinto.

4. – Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, sempre che questo sia dovuto.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2020

 

 

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