Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23566 del 27/10/2020

Cassazione civile sez. I, 27/10/2020, (ud. 07/07/2020, dep. 27/10/2020), n.23566

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10353/2016 proposto da:

G.E., elettivamente domiciliato in Roma, Via Pierluigi da

Palestrina n. 63, presso lo studio dell’avvocato Contaldi Mario, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Frumento Luca,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Generali S.p.a., già BSI Italia S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma,

Piazza dell’Orsa Maggiore n. 125, presso lo studio dell’avvocato

Fabbiani Elsa, rappresentata e difesa dall’avvocato Duykers Mannocci

Ricardo, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

M.R., elettivamente domiciliato in Roma, Via Appennini

n. 60, presso lo studio dell’avvocato Di Zenzo Carmine,

rappresentato e difeso dall’avvocato Della Croce Andrea, giusta

procura a margine dl controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1209/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 23/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/07/2020 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza del 27 aprile 2012 il Tribunale di La Spezia, in accoglimento delle domande proposte da M.R. nei confronti di BSI Italia s.p.a. (Banca Generali s.p.a. a seguito dell’attuata fusione per incorporazione), quale intermediario, e di G.E., quale promotore finanziario, dichiarava la nullità degli ordini di acquisto dei prodotti finanziari intestati all’attore e depositati sul conto deposito titoli di quest’ultimo e condannava i convenuti, in solido, al pagamento, in favore dell’attore, della somma di Euro 40.265,47, oltre interessi e spese; lo stesso Tribunale disattendeva la domanda di garanzia spiegata dalla banca nei confronti del promotore finanziario.

2. – Avverso tale sentenza proponeva appello G., il quale ne domandava la riforma, con rigetto delle domande proposte dall’attore nei propri confronti. La banca, nel costituirsi, spiegava un appello incidentale inteso al rigetto delle domande proposte da M. e, in subordine, all’accoglimento della propria domanda di manleva nei confronti di G..

Con sentenza del 23 ottobre 2015 la Corte di appello di Genova respingeva l’appello principale e, in parziale accoglimento di quello incidentale, dichiarava G. tenuto a manlevare la banca “da tutte le somme che essa (doveva) versare a M.R.”.

3. – G. ricorre per la cassazione della detta sentenza facendo valere tre motivi di impugnazione. Resistono con controricorso Banca Generali e M.. Tutte le parti hanno fatto pervenire memorie.

Il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo vengono denunciate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c., “per non essere l’esponente parte del rapporto contrattuale di investimento e, pur tuttavia, destinatario di statuizione di condanna restitutoria in base a declaratoria di nullità contrattuale”, oltre che dell’art. 31, comma 3, t.u.f. “per aver ritenuto l’applicazione del criterio di responsabilità solidale promotore-intermediario nel contesto di declaratoria di nullità del contratto (al di fuori quindi dell’ambito risarcitorio)”. Ricorda il ricorrente che i giudici di merito avevano accolto la domanda principale dell’attore volta alla declaratoria di nullità delle operazioni di investimento. Osserva, in proposito, che il promotore finanziario risultava essere terzo rispetto al rapporto contrattuale di investimento, onde egli difettava di legittimazione passiva, rispetto a tale domanda, o della titolarità, dal lato passivo, del rapporto controverso. Secondo il ricorrente, la Corte di merito aveva dunque violato la disposizione dell’art. 81 c.p.c.; il giudice di appello aveva inoltre applicato erroneamente l’art. 31 t.u.f., norma che trovava applicazione nell’ambito del giudizio risarcitorio, regolando, con riferimento ad esso, la responsabilità solidale dell’intermediario e del promotore, e non nel giudizio vertente sulla declaratoria di nullità degli ordini di investimento e sui conseguenti effetti restitutori.

Il motivo è fondato.

Il ricorrente assegna alla statuizione avente ad oggetto la somma di Euro 40.265,47, oggetto della condanna resa dal giudice di prima istanza, il contenuto di una pronuncia restitutoria: e tale rilievo si rivela corretto, dal momento che nel provvedimento impugnato è negato che la detta statuizione abbia carattere risarcitorio (pag. 3 della sentenza). D’altro canto, nel corso del giudizio di merito è stata accertata la nullità degli ordini di acquisto dei titoli, che risultavano recare sottoscrizioni apocrife: sicchè trovava sicuro fondamento giustificativo la condanna della banca alla restituzione delle somme riscosse (cui ha fatto da contrappunto la condanna dell’investitore alla restituzione dei prodotti finanziari acquistati). Come è noto, accertata la nullità del contratto d’investimento, il venir meno della causa giustificativa delle attribuzioni patrimoniali comporta l’applicazione della disciplina dell’indebito oggettivo, di cui agli artt. 2033 c.c. e segg., con il conseguente sorgere dell’obbligo restitutorio reciproco delle parti del negozio (Cass. 16 marzo 2018, n. 6664): in presenza di tale accertamento, infatti, l’azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito oggettivo (Cass. 15 gennaio 2018, n. 715). Appare, per contro, non conforme a diritto la condanna, per il medesimo titolo, del promotore finanziario, il quale non ha pacificamente mai assunto la veste di parte contrattuale e non può nemmeno considerarsi accipiens degli indebiti pagamenti. Per un verso, infatti, G. raccolse gli ordini recanti le false sottoscrizioni e li trasmise alla banca per l’esecuzione (cfr. sentenza, pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata), onde gli ordini di investimento di cui è stata accertata la nullità definiscono rapporti negoziali riferibili all’intermediario, e non al promotore (che, dunque, agì quale mero ausiliario di Banca BSI Italia); per altro verso, l’estraneità del ricorrente ai singoli negozi di investimento implica che la riscossione dei relativi pagamenti per l’acquisto dei titoli sia imputabile alla banca, non potendo assumere rilievo la circostanza che essi siano stati, in ipotesi, percepiti dal G. in nome e per conto del detto soggetto (visto che, come è noto, l’azione di ripetizione dell’indebito è circoscritta tra il solvens ed il destinatario del pagamento, sia che questi lo abbia incassato personalmente sia che l’incasso sia avvenuto a mezzo di rappresentante: Cass. 6 aprile 2011, n. 7871; Cass. 23 luglio 2004, n. 13829).

2. – Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 21, comma 1, t.u.f., art. 1325 c.c., n. 4, “stante il difetto di requisito di forma degli ordini esecutivi di investimento” e dell’art. 1325 c.c., n. 1, “in ragione della riconducibilità degli ordini alla volontà del cliente”. La censura investe l’affermazione della Corte di appello secondo cui la disciplina del testo unico sull’intermediazione finanziaria richiedeva per gli ordini di acquisto non impartiti in forma scritta, ma telefonicamente, la registrazione della chiamata, da conservarsi a cura della banca. Viene osservato che in materia risultava essere operante il principio di libertà delle forme, onde era ben possibile che le disposizioni di investimento fossero conferite dall’investitore per “comportamento concludente”, come nella fattispecie era avvenuto: viene aggiunto che nella fattispecie non poteva farsi del resto questione della violazione di un requisito formale, in quanto la modalità della formulazione dell’ordine mediante comunicazione telefonica non era prevista dalla legge a pena di nullità. L’istante osserva poi che per le quaranta disposizioni di investimento riferibili a M. la banca aveva recapitato altrettante conferme d’ordine e che lo stesso intermediario aveva regolarmente rendicontato l’investitore delle operazioni poste in essere.

Anche tale motivo è fondato.

In termini generali, l’art. 23 t.u.f., laddove impone la forma scritta, a pena di nullità, per i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento, si riferisce ai contratti quadro e non ai singoli ordini di investimento (o disinvestimento) che vengano poi impartiti dal cliente all’intermediario, la cui validità non è invece soggetta a requisiti formali, salva diversa previsione dello stesso contratto quadro (per tutte: Cass. 9 agosto 2017, n. 19759; Cass. 2 agosto 2016, n. 16053; Cass. 29 febbraio 2016, n. 3950).

L’art. 60 del reg. Consob n. 11522/98, che prescrive alla banca intermediaria di registrare su nastro magnetico, o altro supporto equivalente, gli ordini inerenti alle negoziazioni in valori mobiliari impartiti telefonicamente dal cliente, costituisce, poi, uno strumento atto a garantire agli intermediari, mediante l’oggettivo ed immediato riscontro della volontà manifestata dal cliente, l’esonero da ogni responsabilità quanto all’operazione da compiere, ma non impone, in assenza di specifica previsione, un requisito di forma, sia pure ad probationem, degli ordini suddetti, restando inapplicabile, in forza di esso, la preclusione di cui all’art. 2725 c.c. (Cass. 15 gennaio 2016, n. 612; in tema cfr. pure Cass. 8 febbraio 2018, n. 3087).

Nella propria memoria M. ha osservato come fosse il contratto quadro ad imporre la redazione per iscritto degli ordini di investimento. E’ questo, però, un profilo che la sentenza impugnata non affronta e che potrà essere esaminato, se ne ricorrono le condizioni, in sede di rinvio.

3. – Il terzo motivo censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 31, comma 3, t.u.f. “in punto lettura inversa della norma tale per cui il promotore finanziario è responsabile in solido con l’intermediario di appartenenza per fatto illecito di quest’ultimo” e dell’art. 112 c.p.c., per “avere positivamente ritenuto comportamento doloso del promotore (la consapevolezza dell’apocrifia delle sottoscrizioni in calce agli ordini) mai prospettato dalla banca, dissonante con le difese della stessa e comunque non provato”; il motivo prospetta, altresì, l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, oggetto del contraddittorio tra le parti, “quanto alla totale carenza delle premesse, in fatto e giuridiche, per l’esercizio della manleva”. L’istante si duole della statuizione avente ad oggetto l’accoglimento della domanda di garanzia della banca. La Corte di appello aveva basato la detta pronuncia di accoglimento sul comportamento del promotore, il quale – secondo quanto precisato in sentenza – aveva raccolto gli ordini, pur essendo consapevole che le firme erano apocrife, e li aveva poi trasmessi alla banca per l’esecuzione, contravvenendo, in tal modo, agli obblighi che il medesimo aveva sia nei confronti del cliente, che nei confronti dell’altra convenuta. Secondo l’istante, il giudice distrettuale aveva malamente applicato il criterio di responsabilità solidale di cui all’art. 31, comma 3, t.u.f., ritenendo il promotore responsabile in solido per l’accertato fatto illecito della banca e violato, inoltre, l’art. 112 c.p.c., basando la statuizione di accoglimento della domanda di manleva su di una prospettazione, circa la pretesa consapevolezza della falsità delle sottoscrizioni, che non era stata mai formulata dalla banca. Il motivo denuncia, inoltre, l’omesso esame di fatti decisivi rilevando le seguenti specifiche evenienze: la banca non aveva indicato alcuna specifica responsabilità del promotore; la banca non aveva dedotto alcuna violazione contrattuale avendo riguardo al rapporto ricorrente tra di essa e l’intermediario; nessuna violazione a norma di legge era stata imputata ad esso G.; era mancata alcuna deduzione ed alcun accertamento circa la consapevolezza della falsità delle sottoscrizioni degli ordini in capo al promotore.

Il motivo resta assorbito, stante l’accoglimento degli altri mezzi di censura.

3. – In conclusione, vanno accolti primo e secondo motivo, mentre il terzo è oggetto di assorbimento.

4. – La sentenza è cassata con rinvio della causa alla Corte di appello di Genova, che statuirà, in diversa composizione, pure sulle

spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il primo e il secondo motivo; dichiara assorbito il terzo;

cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2020

 

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