Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23564 del 23/09/2019

Cassazione civile sez. II, 23/09/2019, (ud. 15/01/2019, dep. 23/09/2019), n.23564

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 23633 – 2015 R.G. proposto da:

C.M., – c.f. (OMISSIS), – + ALTRI OMESSI – rappresentati e

difesi in virtù di procura speciale a margine del ricorso

dall’avvocato Antonio Garibaldi ed elettivamente domiciliati in

Roma, presso la cancelleria della Suprema Corte di Cassazione.

– ricorrenti –

contro

CE.MA., – c.f. (OMISSIS) – rappresentata e difesa in virtù

di procura speciale in calce al controricorso dall’avvocato Riccardo

Passeggi ed elettivamente domiciliata in Roma, presso la cancelleria

della Suprema Corte di Cassazione;

– controricorrente –

e

V.R., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2/2015 della corte d’appello di Genova;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 15

gennaio 2019 dal consigliere Dott. Luigi Abete;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Dott. Capasso Lucio, che ha concluso in via preliminare per

la declaratoria di improcedibilità del ricorso ai sensi dell’art.

369 c.p.c., comma 2, n. 2, in ogni caso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto notificato a decorrere dal 10.5.2007 F.A. e Ce.Ma. (madre e figlia) citavano a comparire dinanzi al tribunale di Genova B.G., + ALTRI OMESSI.

Chiedevano accertare e dare atto dell’inadempimento dei convenuti ai contratti in data 20.8.1954 ed in data 3.8.1969 e conseguentemente dichiararne la risoluzione per inadempimento; accertare e dare atto dell’impossibilità e/o dell’illiceità e/o della sopravvenuta contrarietà a norme imperative di legge della causa e/o dell’oggetto dei contratti in data 1.9.1907, in data 25.8.1927, in data 20.8.1954 ed in data 3.8.1969 e conseguentemente dichiararne la nullità; condannare i convenuti singolarmente o in solido a rimettere, a loro cura e spese, il fondo di esse attrici nello status quo ante; il tutto con il favore delle spese di lite.

Si costituivano C.L., C.F. e C.M..

Deducevano che con gli atti in data 1.9.1907 ed in data 25.8.1927 erano stati costituiti sui fondi delle attrici diritti di natura reale ovvero, in alternativa, avevano provveduto ad acquisire per usucapione siffatti diritti, sottratti alle azioni ex adverso esperite.

Instavano per il rigetto delle avverse domande.

In via riconvenzionale chiedevano accertarsi e dichiararsi l’intervenuto acquisto da parte loro per usucapione della servitù di presa d’acqua continua e/o del diritto di superficie nonchè della servitù di acquedotto.

Si costituiva Ca.Da..

Deduceva che con atto in data 22.1.1937 suo padre e suo dante causa, Ca.Od., aveva acquistato la comproprietà di un piccolo bosco in (OMISSIS), denominato “(OMISSIS)”, ove sgorgava l’omonima sorgente, sicchè aveva senz’altro diritto ad attingerne l’acqua.

Instava per il rigetto delle avverse domande.

In via riconvenzionale subordinata chiedeva accertarsi e dichiararsi la sussistenza di una servitù di presa d’acqua continua in favore del fondo di sua proprietà ed a carico del fondo delle attrici ovvero la sussistenza di un diritto di superficie in suo favore e già in favore del suo dante causa sulle opere murarie di presa d’acqua (trogoli) nonchè la sussistenza di una servitù volontaria di acquedotto avente ad oggetto i tubi usati per l’emungimento ed il trasporto dell’acqua dalla sorgente e sino al confine del terreno delle attrici.

In via riconvenzionale subordinata ed alternativa chiedeva accertarsi e dichiararsi l’intervenuto acquisto da parte sua per usucapione della servitù di presa d’acqua continua e/o del diritto di superficie nonchè della servitù di acquedotto.

In ulteriore subordine deduceva che la L. 5 gennaio 1994, n. 36 cosiddetta Legge “Galli” – che ha dichiarato pubbliche tutte le acque sorgive – non impediva la captazione delle acque della sorgente “(OMISSIS)” e dunque non aveva reso nè impossibile l’adempimento nè impossibile o illecito l’oggetto e la causa dei contratti con i quali in tempi diversi erano stati alienati i diritti di comproprietà della sorgente.

Si costituivano B.G., + ALTRI OMESSI.

Deducevano che con gli atti in data 20.8.1954 ed in data 3.8.1969 erano stati costituiti sui fondi delle attrici diritti di natura reale, sottratti alle azioni ex adverso esperite.

Deducevano in subordine che siffatti diritti di natura reale avevano provveduto ad acquisire per usucapione.

Deducevano in ulteriore subordine che la Legge “Galli” non aveva reso nè impossibile l’adempimento nè impossibile o illecito l’oggetto e la causa dei contratti con cui erano stati alienati i diritti di comproprietà della sorgente “(OMISSIS)”.

Instavano per il rigetto delle avverse domande.

In via riconvenzionale chiedevano accertarsi e dichiararsi la sussistenza di una servitù di presa d’acqua continua in favore del fondo di loro proprietà ed a carico del fondo delle attrici ovvero la sussistenza di un diritto di superficie in loro favore e già in favore dei loro danti causa sulle opere murarie di presa d’acqua (trogoli) nonchè la sussistenza di una servitù volontaria di acquedotto avente ad oggetto i tubi usati per l’emungimento ed il trasporto dell’acqua dalla sorgente e sino al confine del terreno delle attrici.

In via riconvenzionale subordinata ed alternativa chiedevano accertarsi e dichiararsi l’intervenuto acquisto da parte loro per usucapione della servitù di presa d’acqua continua o del diritto di superficie nonchè della servitù di acquedotto.

I convenuti sostanzialmente premettevano

che Fe.An., proprietario di un piccolo bosco in (OMISSIS), denominato “(OMISSIS)”, ove sgorgava l’omonima sorgente, con atto per notar T. in data 1.9.1907, aveva venduto a Po.Lu.Do. la proprietà della sorgente per la quantità d’acqua che poteva derivarsi a mezzo di un tubo del diametro di 7 millimetri;

che, operato l’acquisto, Po.Lu.Do. aveva realizzato un trogolo, dal quale avevano inizio le tubazioni adducenti l’acqua alla villa di sua proprietà;

che L. e F.F. nonchè Tr.Lu., rispettivamente figli e vedova di Fe.An., con atto per notar Pa. in data 4.8.1911 – meglio definito con una scrittura transattiva siglata in data 11.7.1914 – avevano venduto a M.G.A. il diritto di captare mediante un tubo metallico l’acqua della sorgente sgorgante nel bosco “(OMISSIS)”, con attribuzione all’acquirente del diritto di realizzare accanto alla sorgente un recipiente in muratura;

che, operato l’acquisto, M.G.A. aveva realizzato, più a valle rispetto al primo trogolo – realizzato da Po.Lu.Do. – un secondo trogolo, che, mediante un tubo che dal primo trogolo si dipartiva, raccoglieva parte dell’acqua non utilizzata dal Po. e, mediante sette ulteriori tubazioni, diramava l’acqua raccolta in altre direzioni;

che F., a. e F.R., eredi di Fe.An., nonchè Cr.Em., con atto per notar R.G. in data 25.8.1927, avevano venduto a Po.Lu.Do. il diritto di captare dalla sorgente – a mezzo di un tubo del diametro di 10 millimetri – una quantità d’acqua maggiore rispetto a quella di cui al rogito T. in data 1.9.1907;

che F.L., in qualità di procuratore generale della sorella, F.R., con atto per notar R.L.F. in data 3.11.1927, aveva venduto ad M.A.A., Bo.Do. e G.C. ogni diritto alla sorella spettante sulla sorgente “(OMISSIS)”;

che, operato l’acquisto, M.A.A., Bo.Do. e G.C. avevano realizzato, più a valle rispetto al secondo trogolo – realizzato da M.G.A. – un terzo trogolo, che, mediante una delle sette tubazioni che dal secondo trogolo si dipartiva, raccoglieva l’acqua della sorgente “(OMISSIS)” e mediante altre tre tubazioni diramava ulteriormente l’acqua raccolta;

che f.a., con atto per notar Ba. in data 22.1.1937, aveva venduto ad Ca.Od. i diritti di comproprietà a lui pervenuti per successione dal padre, Fe.An., sul bosco “(OMISSIS)”, sulla sorgente che vi sgorgava, sui ripartitori dell’acqua e sulle relative derivazioni e canalizzazioni;

che nel corso degli anni successivi alla stipula del rogito T. in data 1.9.1907 “anche altri soggetti vennero ad utilizzare in base a titoli legittimi l’acqua della sorgente (OMISSIS) a favore delle loro case e pertinenti orti – giardini (…), come risulta dalla scrittura 3/8/1969” (così ricorso, pag. 16), ove, peraltro, si confermava quanto già concordato e stabilito in data 20.8.1954.

Premettevano altresì i convenuti che per effetto dei rogiti via via siglati la sorgente “(OMISSIS)” – bene immobile ai sensi dell’art. 812 c.c. – era divenuta di comproprietà di coloro che ne avevano acquistato i diritti pro quota e dei comproprietari del bosco “(OMISSIS)”, in (OMISSIS), ove sgorgava;

che i trogoli e le opere di presa e di adduzione dell’acqua erano da reputare oggetto di un diritto di superficie, radicatosi quanto meno per usucapione, in capo a coloro che avevano acquistato i diritti pro quota della sorgente e poi in capo ai loro aventi causa ovvero, in alternativa, oggetto di un diritto di servitù, radicatosi del pari quanto meno per usucapione, a favore dei cespiti immobiliari di proprietà di coloro che avevano acquistato i diritti pro quota della sorgente e poi dei loro aventi causa;

che più esattamente i diritti di comproprietà sulla sorgente “(OMISSIS)” nonchè il diritto di superficie ovvero, in alternativa, il diritto di servitù sui trogoli e sulle opere di presa e di adduzione dell’acqua si prefiguravano a vantaggio di C.M., C.F. e C.L., quali acquirenti con atto per notar D. del 5.8.1997 della villa di Po.Ma.Ro., erede ed acquirente – con atto del 18.5.1964 – delle quote degli altri eredi di Po.Lu.Do.;

di M.A.E.W. e di M.I., quali aventi causa di M.G.A., a sua volta acquirente da L. e F.F. nonchè da Tr.Lu. con atto per notar Pa. del 4.8.1911;

di B.G. ed B.E., successori di B.M., a sua volta avente causa di G.C., acquirente da F.R. con l’atto per notar R.L.F. del 3.11.1927;

di Fa.Or. e Fa.Ca., rispettivamente figlio e coniuge di Cr.Io., a sua volta figlia ed erede di Cr.Gi.Ba., a sua volta figlio ed erede di Cr.Em., comproprietario, questi, alla stregua dell’atto per notar R.G. del 25.8.1927 del bosco “(OMISSIS)” e dell’omonima sorgente;

di Va.An., unica figlia ed erede di Cr.An., a sua volta figlia ed erede di Cr.Em., comproprietario, questi, alla stregua dell’atto per notar R.G. del 25.8.1927 del bosco “(OMISSIS)” e dell’omonima sorgente;

di Cr.Ar. e Cr.Ri., figli ed eredi di C.G., a sua volta figlio ed erede di Cr.Em., comproprietario, questi, alla stregua dell’atto per notar R.G. del 25.8.1927 del bosco “(OMISSIS)” e dell’omonima sorgente; al contempo figli ed eredi di F.G., a sua volta figlia di F.F..

Indi esponevano che a seguito dell’entrata in vigore della Legge “Galli” 5 gennaio 1994, n. 36, era divenuta pubblica l’acqua della sorgente “(OMISSIS)”;

che nondimeno ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 93 il proprietario di un fondo “ha facoltà, per gli usi domestici, di estrarre ed utilizzare liberamente, anche con mezzi meccanici, le acque sotterranee nel suo fondo, purchè osservi le distanze e le cautele prescritte dalla legge”;

che avente diritto all'”uso domestico” dell’acqua sorgiva doveva considerarsi, alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente corretta, pur il terzo che avesse acquistato la sorgente ovvero una quota di comproprietà della sorgente dal proprietario del fondo ove la sorgente sgorga;

che la Regione Liguria, competente in materia di acque pubbliche ai sensi dell’art. 117 Cost., aveva approvato la L. 21 giugno 1999, n. 18, che all’art. 101 bis, quale aggiunto dalla L.R. Liguria 3 gennaio 2002, n. 2, art. 4 prevede che “sia garantito il libero utilizzo per gli usi domestici (…), da parte del proprietario, del conduttore di un fondo o dei loro aventi causa, delle acque sotterranee, fra cui sono comprese le manifestazioni sorgentizie, senza che ciò comporti l’acquisizione di un diritto esclusivo”.

Esponevano pertanto che avevano “diritto all’uso domestico delle acque in questione” (così ricorso, pag. 21), tanto più che riservarle unicamente all’attrice, Ce.Ma., comproprietaria del bosco “(OMISSIS)”, significava sprecare una buona quantità d’acqua, ovvero quella che difficilmente sarebbe stata utilizzata dall’attrice.

Esponevano inoltre che a seguito di loro domanda la “Città Metropolitana di Genova” aveva dato comunicazione dell’avvio del procedimento per il rilascio della concessione e del parere favorevole dell'”Autorità di Bacino”.

Con sentenza n. 2397/2012 il tribunale di Genova, respinte le eccezioni tutte di parte convenuta, dichiarava risolti per impossibilità sopravvenuta della prestazione i contratti in data 1.9.1907, in data 25.8.1927, in data 20.8.1954 ed in data 3.8.1969;

dichiarava la nullità del contratto in data 5.8.1997 a rogito notar D., con cui C.M., C.F. e C.L. avevano acquistato da Po.Ma.Ro. i diritti di proprietà e di derivazione delle acque meglio specificati nel rogito Ri. in data 18.5.1964;

condannava in solido C.M., + ALTRI OMESSI alla rimozione di tutti i manufatti (tubi ed ingombri vari) di loro proprietà installati sui terreni, in n. c.t. del Comune di (OMISSIS) al foglio (OMISSIS), di proprietà dell’attrice, Ce.Ma., pur in qualità di erede di F.A.;

rigettava le domande riconvenzionali tutte di parte convenuta;

condannava in solido i convenuti a rimborsare all’attrice le spese di lite.

Avverso tale sentenza proponevano appello C.M., + ALTRI OMESSI.

Resisteva Ce.Ma..

Non si costituivano e venivano dichiarati contumaci Me.An., + ALTRI OMESSI.

Comunque non proponevano appello Ce.Fu., + ALTRI OMESSI (vedi sentenza d’appello, pag. 4).

Spiegavano intervento ai sensi dell’art. 344 c.p.c. B.E. e Fa.Ca..

B.E. deduceva che, quale comproprietaria dei manufatti insistenti sui mappali (OMISSIS), aveva veste di litisconsorte necessaria in rapporto alla domanda di demolizione esperita dall’originaria attrice.

Fa.Ca. deduceva che, quale comproprietario del bosco “(OMISSIS)” e dell’omonima sorgente nonchè dei manufatti insistenti sui mappali (OMISSIS), aveva parimenti veste di litisconsorte necessario in rapporto alla domanda di demolizione spiegata dall’originaria attrice.

Chiedevano dichiararsi nulla ed inutiliter data la sentenza n. 2397/2012 del tribunale di Genova e che le parti fossero rimesse dinanzi al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c..

Con sentenza n. 2/2015 la corte d’appello di Genova rigettava il gravame e le domande degli intervenienti; condannava gli appellanti e gli intervenienti a rimborsare all’appellata le spese del grado.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso C.M., + ALTRI OMESSI; ne hanno chiesto sulla scorta di undici motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese.

Ce.Ma. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio e con condanna dei ricorrenti ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

Non hanno svolto difese V.R., + ALTRI OMESSI.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Del pari ha depositato memoria la controricorrente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Deve preliminarmente reputarsi tamquam non esset la costituzione per la controricorrente, in sostituzione dell’avvocato Riccardo Passeggi, officiato in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dell’avvocato Pier Luigi Luciano Pesce, giusta procura speciale in data 5.12.2018, in calce alla memoria di costituzione di nuovo difensore depositata in data 18.12.2018.

Invero il giudizio di prime cure ha avuto inizio con atto di citazione notificato a decorrere dal 10.5.2007.

Non si applica pertanto l’inciso, di cui all’art. 83 c.p.c., comma 3 “ovvero della memoria di nomina del nuovo difensore, in aggiunta o in sostituzione del difensore originariamente designato”, inciso aggiunto a decorrere dal 4.7.2009 dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 9, lett. a), ed applicabile, ai sensi dell’art. 58, comma 1 medesima legge ai giudizi iniziati dopo la data anzidetta, ossia iniziati in primo grado successivamente a tale data (l’espressione “giudizio” deve essere intesa similmente a quanto ritenuto da questa Corte – con riferimento alla L. n. 353 del 1990, art. 90 – con la pronuncia n. 11301 del 16.5.2007, secondo cui, ai fini della disciplina transitoria dettata dalla L. n. 353 del 1990, art. 90 (secondo la quale ai “giudizi pendenti” alla data del 30 aprile 1995 si applicano le disposizioni vigenti anteriormente a tale data), per stabilire se alle cause in corso a detta data trovi applicazione tale disposizione o il nuovo regime processuale introdotto dalla stessa legge, si deve far riferimento alla data di introduzione del giudizio di merito, solitamente coincidente con quella di notificazione della citazione davanti al giudice di primo grado; cfr. anche Cass. 18.2.2011, n. 4005).

Su tale scorta riveste valenza l’insegnamento di questa Corte secondo cui nel giudizio di cassazione la procura speciale non può essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal controricorso, stante il tassativo disposto dell’art. 83 c.p.c., comma 3 (nella formulazione, appunto, ratione temporis applicabile), che implica la necessaria esclusione dell’utilizzabilità di atti diversi da quelli suindicati; perciò, se la procura non è rilasciata contestualmente a tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal comma 2 cit. articolo, cioè con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, facenti riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata (Cass. sez. un. 12.6.2006, n. 13537).

Rimane impregiudicata l’elezione di domicilio della controricorrente presso la cancelleria di questa Corte di Cassazione (di cui alla procura speciale in calce al controricorso), viepiù che pur la procura speciale in calce alla memoria di costituzione di nuovo difensore depositata il 18.12.2018 reca elezione di domicilio presso la cancelleria di questa Corte.

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza; la violazione degli artt. 132 e 156 c.p.c. e degli artt. 24 e 111 Cost..

Deducono che nel testo originale, e nella motivazione e nel dispositivo, dell’impugnata sentenza molte parole sono incomplete, numerose e frequenti sono le lacune; che ne è pertanto impossibile la lettura certa.

Deducono quindi che il dictum della corte di Genova è nullo, perchè privo dei requisiti minimi di forma.

Il primo motivo va respinto.

Invero, benchè la lettura dia adito a talune difficoltà, il testuale dettato della impugnata statuizione risulta sufficientemente comprensibile (cfr. Cass. 14.3.2016, n. 4947, secondo cui, in mancanza di un’espressa comminatoria, non è configurabile nullità della sentenza nell’ipotesi di mera difficoltà di comprensione e lettura del testo, atteso che la sentenza non può ritenersi priva di uno dei requisiti di validità indispensabili per il raggiungimento dello scopo della stessa; Cass. 23.9.2016, n. 18663; nel caso di cui alle sentenza testè menzionate il testo era stato stilato in forma autografa dall’estensore).

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, la violazione degli artt. 24,42 e 111 Cost.; la violazione degli artt. 810,812,832 e 1079 c.c.; la violazione degli artt. 102,132 e 354 c.p.c.; la nullità della sentenza impugnata; la carenza assoluta di motivazione; l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deducono che B.E. è comproprietaria del terzo trogolo ed ha diritto reale di servitù sul primo e sul secondo trogolo; che Fa.Ca. è comproprietario del secondo trogolo ed ha diritto reale di servitù sul primo trogolo.

Deducono al contempo che la domanda attorea finalizzata a conseguire la demolizione dei trogoli non è stata proposta nei confronti altresì di B.E. e di Fa.Ca., senza dubbio litisconsorti necessari, sicchè il tribunale ha pronunciato a contraddittorio non integro.

Deducono ulteriormente che la corte di merito ha solo apparentemente motivato, allorchè ha escluso la veste di litisconsorti necessari di B.E. e di Fa.Ca.; che difatti è assolutamente irrilevante che l’acqua utilizzata attraverso i trogoli scaturisca immediatamente dal sottosuolo ovvero provenga dal trogolo precedente.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione degli artt. 102,300 e 354 c.p.c.; la nullità della sentenza; la violazione del principio del doppio grado.

Deducono che la morte di Fa.Ca. non è stata dichiarata dal suo difensore, sibbene in comparsa conclusionale dal difensore dell’attrice; che conseguentemente la corte distrettuale non doveva tenerne conto.

Deducono in ogni caso che, seppur la corte territoriale avesse potuto tenerne conto ed avesse potuto reputare Fa.Or. unico erede del padre, Fa.Ca., Fa.Or. sarebbe comunque subentrato nel diritto del genitore di far valere la nullità della sentenza del tribunale, siccome pronunciata a contraddittorio non integro.

Deducono inoltre che, contrariamente all’assunto della corte di Genova, la deduzione della nullità correlata alla violazione dell’art. 102 c.p.c. non postula l’indicazione degli argomenti difensivi di cui è stato impedito lo svolgimento.

Il secondo ed il terzo motivo sono strettamente connessi. Il che ne suggerisce la disamina simultanea. Ambedue i motivi in ogni caso sono fondati e meritevoli di accoglimento nei limiti che seguono.

Va premesso che, allorchè ha opinato per l’integrità del contraddittorio ed ha respinto l’eccezione che al riguardo era stata formulata, la corte genovese ha motivato in maniera articolata.

Ovvero ha esplicitato, con riferimento a Fa.Ca., che costui è deceduto nel corso del giudizio di appello “e la sua quota di comproprietà dell’immobile in questione è stata trasferita al figlio erede Fa.Or., che ha partecipato fin dal primo grado al giudizio in proprio” (così sentenza d’appello, pag. 11).

Ovvero ha esplicitato, e con riferimento a Fa.Ca. e con riferimento ad B.E., che costoro hanno un mero diritto di usufruire dell’acqua captata in eccesso dai trogoli posti a monte, sicchè i loro diritti “possono essere esercitati soltanto attraverso i trogoli di proprietà degli altri concessionari presenti in causa” (così sentenza d’appello, pag. 12).

Ebbene il complesso delle argomentazioni cui la corte d’appello ha dapprima, con esclusivo riferimento a Fa.Ca., inteso attendere, va di sicuro condiviso, sicchè è da escludere che si prospetti in relazione allo stesso Fa.Ca. un difetto di integrità del contraddittorio. Tanto ben vero a prescindere dalla inidoneità – di cui di seguito si dirà – del complesso delle argomentazioni cui la corte d’appello ha dipoi, con riferimento e a Fa.Ca. e ad B.E., inteso ulteriormente procedere (qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa: cfr. Cass. 14.2.2012, n. 2108).

Più esattamente, in ordine al complesso delle argomentazioni cui la corte di merito ha dapprima – con esclusivo riferimento a Fa.Ca. – fatto luogo (punto 4.6.1.), a nulla rileva che la morte di Fa.Ca. è stata dichiarata – in conclusionale d’appello – dal difensore di parte avversa, perchè nell’evenienza non si trattava propriamente di riscontrare l’interruzione del giudizio, sibbene, piuttosto, l’integrità del contraddittorio.

E nella circostanza, limitatamente a Fa.Ca., il contraddittorio era integro senza dubbio, giacchè il successore universale, l’unico successore universale di Fa.Ca., legittimato ex art. 110 c.p.c. a proseguire il processo, ovvero Fa.Or. – costituito in appello – era sin dal giudizio di prime cure parte convenuta ritualmente costituita (cfr. ricorso, pag. 24).

Dice bene quindi la corte distrettuale allorchè puntualizza che Fa.Or. “ha potuto così svolgere tutte le proprie difese (….), di modo che nessun interesse concreto difensivo ha (…) a richiedere la rimessione della causa in primo grado” (così sentenza d’appello, pag. 11. La denuncia di pretese violazioni di norme processuali non si giustifica a tutela dell’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, sibbene unicamente onde porre rimedio alla menomazione che al proprio diritto di difesa la parte ha subito in conseguenza della denunciata violazione; cosicchè è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito: cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26831).

D’altro canto in memoria (cfr. pag. 10) i ricorrenti riferiscono che è fuor di contestazione che Fa.Or. è l’erede universale – e dunque l’unico erede – di Fa.Ca.. Ciò viepiù che, seppur vi fossero stati altri eredi di Fa.Ca., sarebbe stato onere dei ricorrenti indicarli nominativamente (cfr. Cass. (ord.) 27.4.2018, n. 10168, secondo cui, in tema di litisconsorzio necessario, la parte che denunci per cassazione la violazione dell’art. 354 c.p.c., in relazione all’art. 102 c.p.c., ha l’onere di indicare nominativamente, nel ricorso, le persone che debbono partecipare al giudizio ai fini dell’integrità del contraddittorio, nonchè di documentare i titoli che attribuiscano ai soggetti pretermessi la qualità di litisconsorti, ricadendo sul ricorrente il dubbio in ordine a questi elementi, tale da non consentire alla Suprema Corte di ravvisare la fondatezza della dedotta violazione).

Viceversa il complesso delle argomentazioni cui la corte d’appello ha in secondo luogo, con riferimento (e a Fa.Ca. e) ad B.E., inteso procedere (punto 4.6.2. e punto 4.6.3.), va di sicuro censurato, sicchè è da ammettere che sussistesse in relazione unicamente ad B.E., di già innanzi al tribunale di Genova, un difetto di integrità del contraddittorio.

E’ da ritenere innanzitutto che B.E., siccome ha spiegato, seppur in appello, intervento in un giudizio iniziato nel maggio del 2007, antecedentemente al 4 luglio 2009, fruisse del termine “lungo” annuale e non già semestrale ai fini della proposizione del ricorso per cassazione. Va perciò respinto il contrario assunto espresso, in proposito, dalla controricorrente (cfr. controricorso, pagg. 9 – 10).

E’ da ritenere altresì che occorre prescindere da qualsivoglia rilievo in ordine alla ritualità dell’intervento spiegato in appello ed in ordine alla pretesa incompatibilità della posizione dell’interveniente – B.E. – rispetto alla posizione degli altri ricorrenti in questa sede (cfr. controricorso, pag. 8 e segg.; incompatibilità in verità da negare recisamente alla stregua della piena assimilabilità, quale emerge dalla ricostruzione in fatto in precedenza operata, della posizione della B. a quella degli altri originari convenuti): l’intervento in appello del litisconsorte pretermesso in prime cure deve indurre anche d’ufficio (cfr. Cass. 11.9.2000, n. 11916) il giudice del gravame, riscontrata la natura necessaria del litisconsorzio, a rimettere la causa al primo giudice con pregiudizialità assoluta (cfr. Cass. 15.5.2001, n. 6666).

Più esattamente si rileva quanto segue.

In primo luogo B.E., unitamente al fratello G., già convenuto in prime cure, è erede di B.M. – suo padre – avente causa, a sua volta di G.C. (cfr. ricorso, pagg. 14 – 15), il quale ebbe, unitamente ad M.A.A. e a Bo.Do., con atto per notar R.L.F. in data 3.11.1927, ad acquistare da F.L., in qualità di procuratore generale della sorella, F.R., ogni diritto a costei spettante “sopra una sorgente d’acqua posta in un terreno in (OMISSIS) regione (OMISSIS)” (così ricorso, pag. 10). D’altronde la sentenza in questa sede impugnata dà atto che “i diritti della B. derivano (…), per plurime successioni, da quelli di F.R., cedente con atto notaio R. del 3.11.1927, di ogni diritto ancora spettante sulla sorgente d’acqua” (così sentenza d’appello, pag. 11).

In secondo luogo “i tre acquirenti (…) usarono uno dei 7 tubi uscenti dal ripartitore ubicato nel secondo truogolo per addurre acqua della sorgente (OMISSIS) ad un terzo truogolo che essi costruirono a qualche metro di distanza dal secondo, a quota più bassa. All’interno di questo III truogolo si trova (…) un ripartitore dal quale partono tre tubazioni. Una di esse (…) adduce acqua agli immobili di proprietà di B.G. (…) e della sorella B.E. (…) costituiti da una casa di tre piani (…)” (così ricorso, pag. 10).

Cosicchè quanto meno una delle tre tubazioni che si diparte dal ripartitore all’interno del terzo trogolo è di fatto di uso comune di B.G. e di B.E., giacchè serve l’immobile di proprietà dell’uno e l’immobile di proprietà dell’altra.

In terzo luogo F.A. e Ce.Ma. ebbero – sì – con l’iniziale atto di citazione a domandare l’accertamento dell’inadempimento dei convenuti ai contratti in data 20.8.1954 ed in data 3.8.1969 e dunque la risoluzione degli stessi vincoli negoziali nonchè a domandare l’accertamento dell’impossibilità e/o dell’illiceità e/o della sopravvenuta contrarietà a norme imperative della causa e/o dell’oggetto dei contratti in data 1.9.1907, in data 25.8.1927, in data 20.8.1954 ed in data 3.8.1969 ed in pari tempo la declaratoria di nullità dei medesimi contratti, sicchè le testuali richieste di cui all’iniziale citazione (cfr. ricorso, pag. 23) non contemplavano l’atto per notar R.L.F. in data 3.11.1927, da cui “i diritti della B. derivano” (così sentenza d’appello, pag. 11). Nonostante ciò F.A. e Ce.Ma. ebbero a sollecitare la condanna dei convenuti “singolarmente e/o in solido fra loro a provvedere immediatamente, a propria totale cura e spesa, a rimettere in pristino stato il fondo delle attrici” (cfr. ricorso, pag. 23).

Sovviene pertanto, inevitabilmente, l’insegnamento di questa Corte a tenor del quale l’azione diretta alla demolizione di un bene comune a più persone, dovendo necessariamente essere proposta nei confronti di tutte, dà vita ad una ipotesi di litisconsorzio necessario, con la conseguenza che, ove, nel giudizio di primo grado, sia mancata l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli interessati non citati a comparire, il giudice di appello è tenuto a rimettere la causa al primo giudice a norma dell’art. 354 c.p.c., per la riassunzione del giudizio nei confronti di costoro (cfr. Cass. 11.2.1999, n. 1158; Cass. 17.11.1999, n. 12767).

Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’omessa pronuncia, la violazione dell’art. 112 c.p.c.; in subordine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la carenza assoluta di motivazione, la violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c..

Premettono che il tribunale ha pronunciato extrapetita, siccome ha accolto la domanda, non proposta e del tutto diversa, di risoluzione per impossibilità sopravvenuta sia dei rogiti in data 1.9.1907 ed in data 25.8.1927 sia delle scritture in data 20.8.1954 ed in data 3.8.1969.

Indi deducono che la corte di Genova, allorchè ha respinto il motivo di gravame, ha omesso ogni statuizione in ordine al profilo con cui avevano addotto che le originarie attrici avevano chiesto accertarsi la nullità dei rogiti in data 1.9.1907 ed in data 25.8.1927 e che l’iniziale domanda attorea di accertamento della nullità dei medesimi rogiti giammai avrebbe potuto giustificare la pronuncia di risoluzione per impossibilità sopravvenuta.

Il motivo è destituito di fondamento.

A rigore il vizio di (asserita) omessa pronuncia non risulta formulato in maniera rituale.

Tanto specificamente alla luce dell’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte n. 17931 del 24.7.2013 (nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge; cfr. altresì Cass. 29.11.2016, n. 24247).

Invero il mezzo di impugnazione in esame non solo non contiene alcun riferimento alla nullità della decisione, ma prospetta – in subordine – la totale carenza di motivazione.

In ogni caso la denunciata omissione di pronuncia e similmente la denunciata carenza di motivazione non sussistono.

Invero la corte di merito – onde escludere l’asserita extrapetizione in cui sarebbe incorso il primo giudice – ha puntualizzato che parte attrice aveva “prospettato espressamente (…) come causa dell’inadempienza il venir meno della commerciabilità del bene acqua corrente, presupposto fattuale da cui discende la qualificazione della fattispecie come risoluzione per impossibilità sopravvenuta derivante da factum principis” (così sentenza d’appello, pag. 14).

Il che non può non esplicare valenza – onde escludere l’asserita omissione di pronuncia in cui sarebbe incorso il secondo giudice – pur in rapporto ai rogiti in data 1.9.1907 ed in 25.8.1927, per i quali F.A. e Ce.Ma. in prime cure avevano sì invocato la declaratoria di nullità, nondimeno in quanto correlata al riscontro dell’accertamento dell’impossibilità e/o dell’illiceità e/o della contrarietà a sopravvenute norme imperative della causa e/o dell’oggetto dei rogiti medesimi (non è configurabile il vizio di omessa pronuncia quando il rigetto di una domanda sia implicito nella costruzione logico – giuridica della sentenza, con la quale venga accolta una tesi incompatibile con tale domanda: cfr. Cass. 29.4.2006, n. 10052; Cass. 20.2.2004, n. 3403).

D’altronde, se è vero che l’impossibilità iniziale dell’oggetto comporta, ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 2, u.p., la nullità del contratto, l’impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile alle parti – in particolare l’impossibilità giuridica di utilizzare il bene per l’uso convenuto – comporta l’estinzione dell’obbligazione cui l’impossibilità direttamente inerisce ed in pari tempo il venir meno dell’obbligazione con essa in funzionale correlazione sinallagmatica e quindi la risoluzione del contratto, da rilevarsi, a giudizio della dottrina, “d’ufficio, anche senza domanda di parte” (cfr. Cass. 20.12.2004, n. 23618, secondo cui, mentre l’impossibilità giuridica dell’utilizzazione del bene per l’uso convenuto o per la sua trasformazione secondo le previste modalità, quando derivi da disposizioni inderogabili già vigenti alla data di conclusione del contratto, rende nullo il contratto stesso per l’impossibilità dell’oggetto a norma degli artt. 1346 e 1418 c.c., nella diversa situazione in cui la prestazione sia divenuta impossibile per causa non imputabile al debitore ai sensi degli artt. 1256 e 1463 c.c., l’obbligazione si estingue; con la conseguenza che colui che non può più rendere la prestazione divenuta, intanto, definitivamente impossibile, non può chiedere la relativa controprestazione, nè può agire con l’azione di risoluzione allegando l’inadempimento della controparte).

Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, l’omessa pronuncia, la violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c.; la carenza assoluta di motivazione, la violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c..

Premettono che il tribunale per nulla aveva motivato la qualificazione dei rogiti dell’1.9.1907 e del 25.8.1927 in guisa di contratti ad esecuzione continuata con effetti obbligatori, comportanti cessione di un diritto personale.

Indi deducono che la corte distrettuale, allorchè ha respinto il motivo di gravame al riguardo esperito, analogamente ha omesso qualsivoglia motivazione ovvero ha motivato in maniera apparente.

Deducono segnatamente che l’asserita “completa assenza di descrizione dei fondi dei concessionari” è smentita dall’esame dei rogiti in data 1.9.1907 ed in data 25.8.1927 e comunque non ha valenza al fine di stabilire se gli stessi rogiti hanno ad oggetto la vendita di quote di comproprietà della sorgente “(OMISSIS)” ovvero meri obblighi di fornitura d’acqua.

Deducono ulteriormente che l’asserita insufficienza nella descrizione dei fondi dei concedenti è smentita dalla indicazione dei confini e dalla specificazione del nome del fondo.

Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1125,1131 – 1139 e 1448 c.c. del 1865; la violazione degli artt. 406 e 412 c.c. 1865; la carenza assoluta di motivazione, la violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c..

Deducono che l’impugnata sentenza, nella parte in cui, a conferma del primo dictum, ha qualificato i rogiti in data 1.9.1907 ed in data 25.8.1927 in guisa di contratti ad esecuzione continuata con effetti obbligatori, comportanti meri obblighi di fornitura d’acqua, ha violato le disposizioni del codice civile previgente in materia di interpretazione dei contratti.

Deducono segnatamente che i rogiti in data 1.9.1907 ed in data 25.8.1927, siccome si evince chiaramente dal relativo tenore letterale, hanno ad oggetto la compravendita di quote di comproprietà della sorgente “(OMISSIS)” – bene immobile – e la costituzione del diritto reale di servitù di acquedotto ovvero del diritto reale di superficie, finalizzati alla realizzazione dei trogoli e delle tubazioni necessarie per la captazione e l’adduzione dell’acqua.

Con il settimo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione dell’art. 101 c.p.c., u.c.; la violazione degli artt. 1131 – 1139 e 1448 c.c. del 1865.

Deducono che la corte territoriale ha rilevato ex officio la circostanza dell’insufficiente individuazione del fondo servente, quale presunto ostacolo alla qualificazione dei rogiti dell’1.9.1907 e del 25.8.1927 in guisa di contratti ad effetti reali.

Deducono comunque che i rogiti dell’1.9.1907 e del 25.8.1927 recano indicazione dei confini del bosco “(OMISSIS)” e d’altra parte l’atto dell’1.9.1907 indica pure il dante causa del venditore.

Con l’ottavo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, l’omessa pronuncia, la violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c.; la carenza assoluta di motivazione, la violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1125,1131 – 1139 e 1448 c.c. del 1865; la violazione degli artt. 406 e 412 c.c. 1865.

Deducono che la corte di Genova ha omesso – ai fini della corretta qualificazione ed interpretazione dei rogiti in data 1.9.1907 ed in data 25.8.1927 – di esaminare e decidere in ordine agli atti per notar Pa. in data 4.8.1911 e per notar R.L.F. in data 3.11.1927, atti ritualmente prodotti dagli intervenuti in appello.

Il quinto, il sesto, il settimo e l’ottavo motivo sono strettamente connessi. Il che induce ad esaminarli contestualmente. I medesimi motivi in ogni caso sono destituiti di fondamento.

Si rappresenta dapprima, con precipuo riferimento ai profili di censura espressamente ancorati alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 quanto segue.

In primo luogo che il giudizio di appello ha avuto inizio con citazione notificata in data 28.1.2013 (cfr. ricorso, pag. 26).

In secondo luogo che la statuizione di seconde cure ha in toto confermato la statuizione di prime cure.

In terzo luogo – conseguentemente – che si applica ratione temporis al caso di specie la previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” (cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26860, secondo cui l’art. 348 ter c.p.c., comma 5 non si applica ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11.9.2012). Si tenga conto che il rigetto dell’appello – precipuamente in parte qua agitur – si basa sulle medesime ragioni alla cui stregua il primo giudice aveva accolto la domanda di F.A. e Ce.Ma. (cfr. ricorso, pagg. 25 – 26, ove sono riassunte le motivazioni del primo dictum, e sentenza d’appello, punti 7.4., 7.4.1., 7.4.2., 7.5., 7.10.).

Si rappresenta dipoi – e comunque – che i mezzi di impugnazione in disamina danno corpo ad una “quaestio” “ermeneutico – qualificatoria”.

Cosicchè, ovviamente, esplicano valenza gli insegnamenti di questo Giudice del diritto.

Ossia l’insegnamento secondo cui, in tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima consiste nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti (cfr. Cass. 4.6.2007, n. 12946; cfr. Cass. 3.11.2004, n. 21064).

Ossia l’insegnamento secondo cui l’interpretazione del contratto costituisce un’attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; cfr. Cass. 2.5.2006, n. 10131).

Ossia l’insegnamento secondo cui nè la censura ex n. 3 nè la censura dell’art. 360 c.p.c., comma 1, ex n. 5 possono risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione. D’altronde – si soggiunge – per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; Cass. 2.5.2006, n. 10131).

In questo quadro l'”interpretazione – qualificazione” patrocinata dalla corte d’appello – allorchè ha considerato corretto il riscontro operato dal primo giudice, che aveva, a sua volta, reputato “quale insuperabile impedimento al riconoscimento di diritti reali la non sufficientemente precisa individuazione nei contratti degli immobili” (così sentenza d’appello, pag. 15) – è in toto inappuntabile, giacchè non si prospetta in spregio ad alcun criterio ermeneutico legale e risulta sorretta da motivazione esaustiva e coerente.

In questo quadro al contempo gli assunti dei ricorrenti si risolvono tout court nella critica del risultato interpretativo raggiunto dal secondo giudice.

Si tenga conto che la corte di merito ha specificato che “dalla disamina dei contratti in questione emerge la completa assenza di descrizione di fondi dei cessionari” (così sentenza d’appello, pag. 15) e che, “quanto al fondo dei concedenti, esso è indicato nei contratti del 1907 e del 1927 solo con indicazione della località e dei confini (…) e non è neppure chiaro in base agli atti se il fondo dei concessionari dell’acqua sia immediatamente adiacente al fossato o alla strada” (così sentenza d’appello, pag. 15). Ed ha soggiunto che “se, quindi, i fondi erano identificabili (…) ciò era possibile non in base alle indicazioni rinvenibili negli atti, ma in base ad elementi rinvenibili aliunde, il che (…) non è sufficiente per il sorgere dei diritti reali” (così sentenza d’appello, pagg. 15 – 16), che “la natura e funzione dei beni nell’economia dei contratti in questione rende chiaro che non si è in presenza di proprietà superficiarie” (così sentenza d’appello, pag. 18; “i truogoli e le tubazioni non costituiscono proprietà, oggetto di diritto di superficie, ma mere installazioni strumentali alla captazione e trasporto dell’acqua corrente”: così sentenza d’appello, pag. 17) e che “la principale ragione che impedisce di ritenere attualmente esistenti le servitù di presa d’acqua e acquedotto in questione è la natura pubblica del bene che ne è oggetto e la sua conseguente incommerciabilità tra i privati” (così sentenza d’appello, pag. 16) (per l’incommerciabilità cfr. Cass. sez. un. 17.9.2015, n. 18215).

In questo quadro del tutto ingiustificata è la denuncia di motivazione apparente (cfr. ricorso, pag. 44), del tutti ingiustificati, al cospetto dell’incisiva, di ampio spettro operazione “ermeneutico – qualificatoria” dalla corte compiuta, sono gli assunti circa pretesi rilievi officiosi (cfr. ricorso, pag. 47) e circa l’omesso esame di ulteriore documentazione (il riferimento è ai rogiti del 4.8.1911 e del 3.11.1927) pur acquisita agli atti del giudizio.

In questo quadro infine a nulla vale addurre, a supporto dell’interpretazione patrocinata dai ricorrenti, che si ebbe a pattuire il pagamento di un ingente corrispettivo (cfr. ricorso, pag. 46), che all’epoca dei rogiti il territorio del Comune di (OMISSIS) non era servito da alcun acquedotto pubblico (cfr. ricorso, pag. 46), che all’epoca dei rogiti il catasto ancora non esisteva, sicchè i terreni venivano individuati con il “nome proprio” (cfr. ricorso, pag. 48).

Difatti il cattivo esercizio del potere di apprezzamento degli elementi di prova non legale da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

Con il nono motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 617,618,629,2105,2106 e 2135 c.c. 1865; la violazione e falsa applicazione dell’art. 252 disp. att. e trans. c.c.; la violazione e falsa applicazione degli artt. 1158,1031 e 1061 c.c..

Premettono che la corte distrettuale ha disconosciuto l’intervenuto acquisto per usucapione della servitù di presa d’acqua e di acquedotto siccome incompatibile “con la pubblicità delle acque (…), che le rende insuscettibili non solo di cessione tra privati (…), ma anche di acquisto a titolo originario” (così sentenza d’appello, pag. 18).

Indi deducono che l’acquisto per usucapione della servitù di presa d’acqua e di acquedotto si è compiuto quanto meno cinquant’anni prima dell’entrata in vigore della Legge “Galli” n. 36 del 1994.

Il nono motivo similmente è destituito di fondamento.

Ovviamente tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche ai sensi della L. n. 36 del 1994, art. 1 sicchè – tranne particolari categorie oggetto di disciplina speciale – esse rientrano nel demanio idrico e sono incommerciabili, a prescindere dalla loro attitudine a soddisfare un pubblico interesse (cfr. Cass. sez. un. 17.9.2015, n. 18215. “(…) è escluso che tali beni (ovvero le acque) possono essere trasferiti da o a privati (…). Qualsiasi atto posto in essere in violazione di tali regole, è, di conseguenza, privo di effetti”: così in motivazione Cass. sez. un. 18215/2015. La L. 5 gennaio 1994, n. 36 è stata abrogata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 175).

Più esattamente le acque superficiali e sotterranee, giacchè pubbliche, sono demaniali ai sensi dell’art. 822 c.c., comma 1 sicchè come tali, per loro natura, non sono suscettibili di usucapione (cfr. Cass. 12.11.1979, n. 5835) e sono, ai sensi dell’art. 823 c.c., comma 1 inalienabili ed insuscettibili di formare oggetto di diritti a favore di terzi “se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano”.

Ebbene a nulla rileva che l’usucapione sarebbe giunta a maturazione “molti decenni prima dell’entrata in vigore della Legge Galli n. 36 del 1994” (così ricorso, pag. 51).

Infatti è vero che l’effetto acquisitivo dell’usucapione si compie ex lege, sicchè, per quanto l’usucapente abbia interesse a far riscontrare il suo acquisto in via ed in sede giudiziale, il correlato giudizio è di accertamento e la sentenza che lo conclude ha valore dichiarativo.

E tuttavia il diritto d’azione, nella specie il diritto dell’usucapente al riscontro giudiziale dell’acquisto asseritamente operato a titolo originario, postula ante omnia – siccome si spiega in dottrina – la condizione cosiddetta della “possibilità giuridica”, ossia che l’ordinamento contempli in astratto la pretesa sostanziale che si intende azionare, che si intende acclarare.

Astratta prefigurazione che, evidentemente, è da disconoscere con riferimento all’usucapione di beni demaniali, nella specie con riferimento all’usucapione della servitù di deduzione e conduzione d’acqua demaniale (di presa d’acqua demaniale e di acquedotto d’acqua demaniale).

D’altra parte, se è vero che le condizioni dell’azione possono utilmente sopravvenire sino al momento della decisione (cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26769, in relazione alla legittimazione ad agire rispetto all’actio negatoria servitutis), di certo al tempo e sino al tempo della decisione devono sussistere e perdurare.

E nella specie la “possibilità giuridica” di usucapire la servitù di presa d’acqua demaniale e di acquedotto d’acqua demaniale era senza dubbio da disconoscere, allorquando la vicenda giudiziaria de qua ha avuto inizio con la notificazione in data 10.5.2007 dell’atto introduttivo di prime cure, così come è senza dubbio da disconoscere allo stato.

Negli esposti termini a nulla vale – ovviamente – addurre che ai fini dell’estinzione della supposta servitù di acquedotto “doveva maturare un ventennio di non uso a norma dell’art. 1074 c.c.” (così ricorso, pag. 51) e che i ricorrenti tuttora continuano ad usare i trogoli e le opere di presa e di adduzione dell’acqua.

Con il decimo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 36 del 1994, art. 28, comma 5, del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 167, comma 5, del T.U. n. 1775 del 1933, art. 93 della L.R. Liguria 21 giugno 1999, n. 18, art. 101 bis come modificato dalla L.R. Liguria 3 gennaio 2002, n. 2, art. 101 bis.

Premettono che la Regione Liguria, competente in materia di uso delle acque pubbliche ai sensi dell’art. 117 Cost., ha approvato la L. 21 giugno 1999, n. 18 che all’art. 101 bis, quale aggiunto dal L.R. Liguria 3 gennaio 2002, n. 2, art. 4 prevede che “sia garantito il libero utilizzo per gli usi domestici (…), da parte del proprietario, del conduttore di un fondo o dei loro aventi causa, delle acque sotterranee, fra cui sono comprese le manifestazioni sorgentizie, senza che ciò comporti l’acquisizione di un diritto esclusivo”.

Indi deducono che la surriferita norma regionale induce a reputare interpretazione costituzionalmente corretta del R.D. n. 1775 del 1933, art. 93 quella per cui avente diritto all'”uso domestico” dell’acqua sorgiva deve considerarsi anche il terzo che, con atto antecedente all’entrata in vigore della Legge “Galli”, abbia acquistato dal proprietario del fondo la sorgente ovvero una quota di comproprietà della sorgente ovvero ancora la servitù di presa e di acquedotto dell’acqua sorgiva.

Deducono ulteriormente che Fa.Or., Va.An. e Cr.Ar. hanno piena facoltà di utilizzare le acque della sorgente “(OMISSIS)”, in quanto comproprietari dell’omonimo fondo boschivo, ove la sorgente sgorga; che invero Fa.Or., V.A. e Cr.Ar. traggono titolo da Cr.Em., comproprietario del bosco e della sorgente “(OMISSIS)” alla stregua del rogito per notar R.G. del 25.8.1927.

Con l’undicesimo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, il difetto assoluto di motivazione, la violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 36 del 1994, art. 34 come prorogato dalla L. n. 136 del 1999, art. 28, comma 1, dal D.Lgs. n. 266 del 2004, art. 19 octies e dal D.Lgs. n. 273 del 2005, art. 23 quater; del R.D. n. 1775 del 1933, art. 17, comma 6, come modificato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 96, comma 4,; del T.U. n. 1775 del 1933, artt. 3 e 4; della L.R. Liguria 21 giugno 1999, n. 18, artt. 101 bis e 114 dell’allegato della Delib. giunta regionale Liguria n. 1586 del 2005 e dell’art. 10 regolamento Regione Liguria 7.2.2012, n. 1.

Premettono che hanno presentato, in quanto aventi titolo legittimo, alla Provincia di Genova domanda per ottenere la concessione ad uso irriguo dell’acqua della sorgente “(OMISSIS)”; che i titoli legittimi sono costituiti dagli atti notarili in virtù dei quali i loro danti causa hanno acquistato quote della sorgente “(OMISSIS)” nonchè la servitù di presa d’acqua e di acquedotto ovvero il diritto di superficie sui trogoli e sugli ulteriori manufatti.

Premettono che ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 96, comma 6 “in pendenza del procedimento istruttorio della concessione in sanatoria, l’utilizzazione dell’acqua può proseguire, fermo restando l’obbligo del pagamento del canone per l’uso effettuato”.

Indi deducono che la corte di Genova ha errato a non tener conto di tale disposizione e a reputare che la stessa concerne i rapporti con l’ente pubblico.

Deducono altresì che ha errato la corte genovese a ritenere che non è stato provato il pagamento del canone; che difatti in considerazione della quantità d’acqua prelevata vi è esenzione dal pagamento del canone.

Il decimo e l’undicesimo motivo sono strettamente connessi. Il che ne giustifica l’esame contestuale. Entrambi i motivi comunque sono fondati e meritevoli di accoglimento nei limiti che seguono.

Si è anticipato che la corte d’appello, per un verso, ha ineccepibilmente e congruamente disconosciuto che i titoli negoziali per i quali è controversia fermo quel che si dirà con riferimento ad Fa.Or., Va.An. ed Cr.Ar. – fossero da qualificare come traslativi di quote di comproprietà della sorgente “(OMISSIS)” ovvero come costitutivi di un diritto (reale) di superficie sui trogoli e sulle opere poi costruite di deduzione e di adduzione dell’acqua ovvero ancora come costitutivi di un diritto (reale) di servitù di deduzione (presa) e conduzione (acquedotto) d’acqua per il tramite delle opere apparenti poi costruite sul fondo “(OMISSIS)”, asseritamente servente.

Si è anticipato che la corte d’appello, per altro verso, ha avallato il dictum di prime cure, nella parte in cui i diritti di deduzione e conduzione dell’acqua della sorgente “(OMISSIS)” erano stati qualificati in guisa di diritti meramente personali, siccome traenti titolo da contratti ad effetti meramente obbligatori, risoltisi ex art. 1463 c.c. per impossibilità sopravvenuta a seguito ed a motivo dell’entrata in vigore della Legge “Galli” e del regime pubblico e demaniale delle acque superficiali e/o sotterranee scaturitone, quale implicante l’incommerciabilità delle acque medesime (cfr. Cass. sez. un. 17.9.2015, n. 18215).

Ebbene alla luce di siffatti rilievi è da escludere che il disposto della L.R. ligure n. 18 del 1999, art. 101 bis quale aggiunto dalla L.R. ligure n. 2 del 2002, art. 4 e quale correlato – al T.U. n. 1775 del 1933, art. 93, comma 1, lett. a) possa indurre a disconoscere in particolare l’effetto della risoluzione per impossibilità sopravvenuta dei vincoli negoziali de quibus agitur.

L’interpretazione costituzionalmente corretta della locuzione “aventi causa” che figura alla L.R. ligure n. 18 del 1999, art. 101 bis, comma 1, lett. a) (quale aggiunto dalla L.R. n. 2 del 2002, art. 4), è nel senso che la medesima locuzione è da circoscrivere rigorosamente, onde non vanificare il regime di incommerciabilità delle acque demaniali, a colui che abbia, a coloro che abbiano acquistato a titolo oneroso ovvero gratuito, con atto inter vivos ovvero mortis causa, a titolo universale ovvero a titolo particolare la proprietà o altro diritto reale di godimento sul fondo ovvero un diritto personale o subpersonale correlato al fondo, non già sulle acque ovvero correlato alle acque superficiali e/o sotterranee che vi sorgano.

D’altronde è significativo rimarcare che il R.D. n. 1775 del 1933, art. 93, espressamente richiamato nel corpo della L.R. ligure n. 18 del 1999, art. 101 bis, comma 1, lett. a) prefigura unicamente ed esclusivamente per “il proprietario di un fondo”, “anche nelle zone soggette a tutela della pubblica amministrazione”, la “facoltà, per gli usi domestici, di estrarre ed utilizzare liberamente, anche con mezzi meccanici, le acque sotterranee nel suo fondo, purchè osservi le distanze e le cautele prescritte dalla legge”.

Va condivisa pertanto la puntualizzazione della corte distrettuale secondo cui è “incompatibile la cessione dell’acqua a terzi, da parte del proprietario del fondo, con la proprietà pubblica” (così sentenza d’appello, pag. 17).

Nei termini esposti è innegabile in pari tempo che i ricorrenti – fermo quel che si dirà con riferimento ad Fa.Or., Va.An. ed Cr.Ar. – non possono vantare titolo legittimo alcuno – nè reale (ineccepibilmente disconosciuto dai giudici di merito) nè personale (risoluto ex art. 1463 c.c.) – onde ottenere dalla Provincia di Genova la concessione per gli usi domestici dell’acqua della sorgente “(OMISSIS)”.

Nei termini esposti – evidentemente – non rivestono valenza alcuna nè la circostanza per cui nessun canone sarebbe dovuto nè la circostanza per cui la Città metropolitana di Genova ha comunicato il favorevole avvio del procedimento amministrativo.

Si rileva tuttavia che con il gravame esperito avverso la sentenza n. 2397/2012 del tribunale di Genova gli appellanti prospettarono che Fa.Or., Va.An., Cr.Ar. e Cr.Ri. fossero aventi causa di Cr.Em., comproprietario del bosco “(OMISSIS)” e dell’omonima sorgente, sicchè quali comproprietari, a loro volta, del fondo avevano “diritto di uso dei truogoli” (così ricorso, pag. 29, ove è riferimento all’atto d’appello).

Le controdeduzioni in proposito della controricorrente risultano estremamente generiche (cfr. controricorso, pag. 28 – 29).

In ogni caso si rileva quanto segue.

Da un lato, effettivamente nell’atto per notar R.G. in data 25.8.1927 Cr.Em. ebbe a costituirsi unitamente ed a fianco dei fratelli F., L. ed fe.an., ebbe con costoro a concedere a Po.Lu.Do. la facoltà “di sostituire al tubo attualmente esistente (…) altro tubo in metallo del diametro netto interno di millimetri dieci, onde possa derivare maggiore quantità dalla sorgente (…)”, ed ebbe con gli ulteriori cedenti a garantire “la piena proprietà del terreno nel quale scaturisce la sorgente di cui fa parte la quantità d’acqua venduta” (cfr. ricorso, pag. 9, ove in nota è riprodotto ampio stralcio dell’atto per notar R.G.. Cfr. Cass. sez. un. 9.2.2011, n. 3162, secondo cui, a norma della L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 34 e del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 96, comma 7, i soggetti che avevano un diritto di derivazione riguardante acque che hanno assunto natura pubblica ai sensi della citata L. n. 36 del 1994, art. 1 sono titolari di un vero e proprio diritto soggettivo – analogamente a quanto disposto, a suo tempo, dal R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 2,3 e 4 per le c. d. “antiche utenze” – ad ottenere il rilascio della concessione in relazione a tali acque, con un provvedimento avente effetto “ex tunc”, in quanto meramente dichiarativo del diritto di uso dell’acqua divenuta pubblica).

Dall’altro, effettivamente la corte territoriale non ha in alcun modo vagliato siffatta prospettazione, in tal guisa incorrendo – siccome denunziano, tra gli altri, Fa.Or., Cr.Ar. ed Va.An. ( Cr.Ri. non è ricorrente in questa sede) – nel vizio di falsa applicazione della L.R. Liguria n. 18 del 1999, art. 101 bis quale aggiunto dalla L.R. Liguria n. 2 del 2002, art. 4 e come da interpretare, in rapporto alla locuzione “aventi causa” che vi figura, nei termini in precedenza enunciati (cfr. Cass. 26.9.2005, n. 18782, secondo cui l’espressione falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, descrive e rispecchia il momento dell’applicazione della norma al caso concreto una volta correttamente individuata ed interpretata).

Il riscontro, in esito all’accoglimento – nei limiti suenunciati – del secondo e del terzo motivo di ricorso, della qualità di litisconsorte necessario di B.E., pretermessa in prime cure, sì che la corte d’appello avrebbe dovuto provvedere ai sensi dell’art. 354 c.p.c., comma 1, giustifica la cassazione della sentenza n. 2/2015 della corte genovese (nei limiti, appunto, in cui il secondo ed il terzo mezzo sono stati accolti) ed il rinvio ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 3 al tribunale di Genova, in persona di diverso giudice, innanzi al quale le parti tutte del giudizio di prime cure unitamente alla stessa B.E. vanno rimesse.

Si badi che la nullità del giudizio di prime cure, quale scaturita dalla pretermissione della litisconsorte necessaria B.E., resta circoscritta propriamente alla domanda delle originarie attrici di condanna degli originari convenuti “singolarmente e/o in solido fra loro a provvedere immediatamente, a propria cura e spesa, a rimettere in pristino stato il fondo delle attrici”.

Invero si è anticipato che la sentenza in questa sede impugnata dà atto che “i diritti della B. derivano (…), per plurime successioni, da quelli di F.R., cedente con atto notaio R. del 3.11.1927, di ogni diritto ancora spettante sulla sorgente d’acqua” (così sentenza d’appello, pag. 11; si veda in tal senso altresì il ricorso pagg. 14 – 15).

Ed il rogito per notar R.L.F. del 3.11.1927 è non solo estraneo alla griglia degli atti oggetto degli accertamenti e delle declaratorie che le originarie attrici ebbero ad invocare con la citazione di prime cure (il riferimento era unicamente ai contratti in data 20.8.1954, in data 3.8.1969, in data 1.9.1907 ed in data 25.8.1927: cfr. ricorso, pag. 23), ma è estraneo pur al dictum di prime cure, giacchè il tribunale di Genova con la sentenza n. 2397/2012 ha dichiarato risolti per impossibilità sopravvenuta i contratti in data 20.8.1954, in data 3.8.1969, in data 1.9.1907 ed in data 25.8.1927 ed ha dichiarato nullo il contratto a rogito notar D. del 5.8.1997.

Del resto si spiega che non sussiste il litisconsorzio necessario tra più parti che hanno autonomamente stipulato singoli contratti di compravendita immobiliare anche se trasfusi in un unico e contestuale documento negoziale, essendo irrilevante la proposizione con unico atto di citazione della domanda di risoluzione riguardante ciascuno di essi (cfr. Cass. 9.9.2008, n. 23343).

Al contempo, con riferimento alle domande riconvenzionali che i convenuti in primo grado ebbero ad esperire (al riguardo cfr. ricorso, pagg. 23 – 25), si rappresenta – onde disconoscere in relazione alle medesime domande la veste di litisconsorte necessaria in capo ad B.E. – quanto segue.

In primo luogo, quando l’azione ha per oggetto l’accertamento o l’esclusione di un diritto di servitù (nel caso di specie di una servitù di presa d’acqua continua e di acquedotto), risolvendosi questo, nel suo aspetto passivo, in un obbligo negativo del proprietario del fondo servente, tale obbligo può essere utilmente accertato o escluso nei confronti di uno solo dei più proprietari del fondo dominante (cfr. Cass. 10.11.1976, n. 4142).

In secondo luogo, in tema di giudizio diretto all’accertamento dell’usucapione (nel caso di specie di un diritto reale di servitù ovvero della proprietà superficiaria), la fattispecie del litisconsorzio necessario ricorre esclusivamente nel caso in cui la pluralità soggettiva sia rinvenibile dal lato passivo del rapporto, cioè tra coloro in danno dei quali la domanda è diretta, non anche nell’ipotesi in cui essa si riscontri dal lato attivo, atteso che, in tale evenienza, l’azione proposta è diretta a costituire una situazione compatibile con la pretesa che i soggetti non citati in giudizio potranno eventualmente vantare in futuro (cfr. Cass. 20.3.2006, n. 6163; Cass. 14.8.2012, 14522).

In terzo luogo le azioni di accertamento di diritti reali immobiliari (nel caso di specie della proprietà superficiaria) non danno luogo a litisconsorzio necessario nei confronti di tutti coloro che vantano la comunione del diritto preteso (cfr. Cass. 4.12.1982, n. 6606).

Il tribunale di Genova provvederà – per quel che rileva ai fini e nei limiti del disposto rinvio ex art. 383 c.p.c., comma 3, – alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

In accoglimento – nei limiti suenunciati – del decimo e dell’undicesimo motivo di ricorso la sentenza n. 2/2015 della corte d’appello di Genova (nei limiti, appunto, in cui il decimo e l’undicesimo mezzo sono stati accolti) va cassata con rinvio ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 1 ad altra sezione della stessa corte d’appello innanzi alla quale le parti tutte del presente giudizio e la medesima B.E. vanno rimesse.

Si badi che il rinvio ex art. 383 c.p.c., comma 1, ad altra sezione della corte d’appello di Genova resta circoscritto all’accertamento del preteso diritto di Fa.Or., Va.An. e Cr.Ar., quali asseriti aventi causa di Cr.Em., comproprietario giusta l’atto per notar R.L.F. del 3.11.1927 del bosco “(OMISSIS)” e della sorgente omonima che vi sgorga, di utilizzare liberamente per gli usi domestici, ai sensi della L.R. Liguria n. 18 del 1999, art. 101 bis come modificato dalla L.R. Liguria n. 2 del 2002, art. 4 le acque della sorgente e con esse i trogoli e le altre opere realizzate sul fondo (trogoli ed altre opere di cui le originarie attrici, eventualmente mere comproprietarie, hanno, di contro, domandato l’eliminazione onde ripristinare l’originario stato del fondo).

In dipendenza del buon esito – nei limiti suenunciati – del decimo e dell’undicesimo motivo di ricorso, formulati – tra l’altro – ed accolti nel segno della previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 si attende, giusta il disposto dell’art. 384 c.p.c., comma 1, all’enunciazione del principio di diritto – al quale la corte d’appello di Genova si dovrà uniformare in sede di rinvio – nel modo che segue:

la locuzione “aventi causa” che figura alla L.R. Liguria n. 18 del 1999, art. 101 bis, comma 1, lett. a), quale aggiunto dalla L.R. Liguria n. 2 del 2002, art. 4 è da circoscrivere, onde non vanificare il regime di incommerciabilità delle acque demaniali, a colui che abbia, a coloro che abbiano acquistato a titolo oneroso ovvero gratuito, con atto inter vivos ovvero mortis causa, a titolo universale ovvero a titolo particolare la proprietà o altro diritto reale di godimento sul fondo ovvero un diritto personale o subpersonale correlato al fondo, non già sulle acque o correlato alle acque superficiali e/o sotterranee che vi sorgano.

La corte d’appello di Genova provvederà – per quel che rileva ai fini e nei limiti del disposto rinvio ex art. 383 c.p.c., comma 1 – alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Il ricorso è da accogliere; non sussistono i presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, i ricorrenti siano tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13 D.P.R. cit., comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte così provvede:

accoglie nei limiti di cui in motivazione il secondo motivo ed il terzo motivo di ricorso;

accoglie nei limiti di cui in motivazione il decimo motivo e l’undicesimo motivo di ricorso;

rigetta il primo motivo, il quarto motivo, il quinto motivo, il sesto motivo, il settimo motivo, l’ottavo motivo ed il nono motivo;

cassa la sentenza n. 2/2015 della corte d’appello di Genova (nei limiti in cui il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono stati accolti) e rinvia ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 3 al tribunale di Genova, in persona di diverso giudice, innanzi al quale rimette le parti tutte del giudizio di prime cure nonchè B.E.;

rimette al tribunale di Genova – per quel che rileva ai fini e nei limiti del disposto rinvio ex art. 383 c.p.c., comma 3 – la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità;

cassa la sentenza n. 2/2015 della corte d’appello di Genova (nei limiti in cui il decimo e l’undicesimo motivo di ricorso sono stati accolti) e rinvia ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 1 ad altra sezione della stessa corte d’appello innanzi alla quale rimette le parti tutte del presente giudizio nonchè B.E.;

rimette alla corte d’appello di Genova – per quel che rileva ai fini e nei limiti del disposto rinvio ex art. 383 c.p.c., comma 1 – la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 15 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2019

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