Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23561 del 23/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 23/09/2019, (ud. 28/03/2019, dep. 23/09/2019), n.23561

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18338-2018 proposto da:

I.SAL. INDUSTRIA SALUMI SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO

ALABISO;

– ricorrente –

contro

CMB SOCIETA’ COOPERATIVA MURATORI E BRACCIANTI DI CARPI, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA GERMANICO 109, presso lo studio dell’avvocato ENRICO

VOLPETTI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1755/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PELLECCHIA

ANTONELLA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. I.S.A.L., Industria Italiana Salumi s.p.a., ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 1755 del 20 marzo 2018 con la quale sono stati rigettati gli appelli promossi da G.I.F.I. srl, avverso la sentenza parziale n. 1003/2011 e definitiva n. 1036/2014 del Tribunale di Viterbo, in ordine alla risoluzione del contratto preliminare stipulato tra la G.I.F.I. srl e la EURECO srl.

2. Resiste con controricorso C.M.B. Cooperativa Muratori e Braccianti scrl.

3. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio, con le seguenti precisazioni di condividere la proposta del relatore.

5.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la “erronea applicazione dell’art. 1457 c.c. in relazione al contratto preliminare di compravendita 9/2/2006 – omessa motivazione”. G.I.F.I. sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da vizio di violazione dell’art. 1457 c.c., sostenendo che il termine indicato nel contratto preliminare sia un termine essenziale, contrariamente a quanto interpretato dalla Corte d’appello, la quale non avrebbe specificato le ragioni del rigetto.

A sostegno delle proprie ragioni il ricorrente richiama il comma 2 dell’art. 6 del contratto preliminare in oggetto, nella parte in cui viene prevista la clausola penale in caso di ritardo nella consegna. Questo dimostrerebbe l’essenzialità del termine, e che, in caso contrario, la G.I.F.I avrebbe diritto alla penale complessiva di Euro 600.000,00 (Euro 5.000,00 mensili per mesi 120). Inoltre, dovrebbe comunque essere considerato termine essenziale per la particolarità del contratto stesso. Per questi motivi, la motivazione risulterebbe omessa e contraddittoria nel rigettare il primo motivo di appello.

5.2. Con il secondo motivo deduce la “erronea valutazione del giudice sulla essenzialità del termine di consegna, fissato nel contratto preliminare di compravendita al 31 dicembre 2007”.

Viene ribadito, nel secondo motivo, l’essenzialità del termine di consegna dell’immobile, che risulterebbe dalla natura dell’oggetto del contratto e della diffida scritta inviata alla promittente venditrice il 16/5/2008, con la quale si chiedeva la consegna dell’immobile, entro e non oltre la data del 31/5/2008.

5.3. Con il terzo motivo lamenta la “tardività della produzione documentale di parte promittente venditrice”. Non apparirebbe condivisibile il ragionamento della Corte d’appello nel ritenere il ritardo di quattordici mesi dal termine per la consegna dell’immobile promesso in vendita, carente della documentazione del Comune di Viterbo sulla regolarità urbanistica dell’immobile stesso, non idoneo a determinare “uno squilibrio sinallagmatico del complesso rapporto economico tra le parti, idoneo a giustificare la richiesta risoluzione contrattuale”.

5.4. Con il quarto motivo viene denunciata la “errata valutazione del giudice di appello sulla mancanza dei presupposti di risoluzione del contratto preliminare a seguito della diffida di parte promissaria acquirente”.

Sarebbe errata l’interpretazione del giudice d’Appello nel ritenere infondata la domanda di risoluzione di diritto del preliminare dall’inutile decorso del termine intimato con la diffida del 16 maggio 2008.

Viene rilevato dal ricorrente che il termine contenuto nella diffida avrebbe carattere essenziale, e tale inutile decorso, giustificherebbe la risoluzione del contratto preliminare.

6. Il ricorso è inammissibile in quanto privo del requisito dell’esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1 n. 3. Detta esposizione costituisce un requisito di contenuto-forma del ricorso, che deve consistere in un sintetico resoconto dei fatti di causa idoneo a garantire a questa Corte, l’acquisizione di una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha generato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Sez. U., n. 11653 del 18/05/2006). Il ricorso è anche inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6. Ai sensi della predetta norma, è onere del ricorrente indicare in modo specifico gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda in modo da permettere alla Corte di valutare profili di illegittimità della sentenza di merito.

Ove si potesse, poi, passare all’esame dei motivi essi risulterebbero – fermo che non sono scrutinabili per la mancanza di conoscenza del fatto – inammissibili perchè violano il principio di specificità, essendosi tradotti in critiche generiche ponendosi e al di fuori dei limiti di ammissibilità del ricorso individuati dalle sentenze 8053 e 8054 del 2014 pronunciate dalle Sezioni Unite di questa Corte.

7. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione sesta della Corte Suprema di Cassazione, il 28 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2019

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